Luce d’alba/forma dei Troni,/al cielo m’incanta.
Ogni giorno il buon Dio ci dona uno spettacolo meraviglioso. Dovremmo provare a fermarci prima di alzare gli occhi al cielo – ascoltare nel silenzio – poi guardare… E nell’incanto, ogni volta, si apre un palcoscenico unico.
Questo doveva essere lo spettacolo immaginifico visto – con gli occhi della fede – da chi per secoli ha proiettato la mente e il corpo al cielo; riuscendo a ben rappresentarlo nelle volte delle nostre, un tempo tutte, belle chiese d’Italia.
Oggi non abbiamo certo il tempo di stare fermi a guardare al cielo, impegnati in mille attività – immersi nel “multitasking”, dedicando spesso i momenti liberi non solo alla preghiera… E poi va a finire che ci ritroviamo a commentare sui social network e sui blog le ultime chicche di omissis & co. Anche se ormai ci si stupisce più che altro quando – forse per sbaglio o per un grappino di troppo – a volte, riescano addirittura a barbugliare – sempre sottovoce, s’intende – qualcosa di verosimilmente cattolico.
Questo stare con lo sguardo rivolto verso il basso – spesso su di uno schermo rettangolare – ci ha fatto perdere il senso del bello (e quindi buono e vero) tra quello che vediamo e ascoltiamo, senza più poterlo quasi riconosce e amare. Se alzassimo nuovamente, come facevano con semplicità i nostri avi, gli occhi e lo spirito al cielo, potremmo anche noi tornare a guardare, e magari contemplare lo spettacolo perfetto: quello creato da Nostro Signore.
Chissà se un giorno riprenderemo nuovamente a fare arte come riconoscimento, lode, ispirazione, imitazione del Creatore ed espressione della creazione. Il teatro e il cinema, avvalendosi di tutte le forme d’arte per la loro realizzazione, dovrebbero tendere a questo. Purtroppo, è diventato predominante negli ultimi decenni il vedere le varie arti esclusivamente come mero intrattenimento e non più come mezzo per elevare lo spirito.
Adesso, insieme a voi, vorrei provare a riscoprire alcune perle del teatro, del cinema e non solo, per aiutarci a tornare a guardare il mondo con occhi curiosi e con mente vigilante. Certo, senza dimenticarci mai che: noi siamo nel mondo ma non del mondo.
Comincerei questo nostro piccolo percorso con meditare una frase di William Shakespeare, che in una sua commedia, in “Come vi piace”, ci ha suggerito:
“Tutto il mondo è teatro …”
Leggendola, mi son ricordata di Carlo Campanini, il celebre attore convertito da Padre Pio da Pietrelcina. Una volta Carlo Campanini si lamentò con il Padre per il fatto che doveva truccarsi come un pagliaccio per stare sul set. Al che Padre Pio gli rispose con la sua ironia tipicamente partenopea:
“Uagliò, ognuno deve fare il pagliaccio dove Dio lo mette!”.
Mi pare che Padre Pio non gli abbia mai detto di lasciare il mondo dello spettacolo, a conferma che anche questo deve essere indirizzato a Dio e può essere mezzo di evangelizzazione.
Grazie a l’avvento di internet, oggi troviamo facilmente un’infinità di spettacoli e di film che si possono vedere comodamente da casa. Ma come riconoscere la buona recitazione? Anche in questo ci viene in soccorso il nostro Shakespeare, facendocelo sapere direttamente dalla voce di Amleto:
“Dai voce alla parola, ti prego, come te l’ho pronunciata, facendola danzare sulla lingua; ma se la sberci come molti dei nostri attori fanno, per me sarebbe come se un banditore di piazza vociasse i miei versi. E non smuovere troppo l’aria con la mano, così, ma con moderazione; giacché nel torrente della tempesta, e oserei dire, nell’impeto della passione, tu devi acquisire e mantenere una temperanza che le possa dare una certa agevolezza. Come mi offende l’anima sentire un rutilante imparruccato individuo lacerare una passione a brandelli, farla a stracci, spaccare le orecchie agli spettatori, i quali, per la maggior parte, non capiscono null’altro che inspiegabili spettacoli demenziali rumorosi. L’avrei frustato un tipo del genere per strafare Termagante; farsi più-erode di Erode. Te ne prego evitalo. …
Non essere nemmeno troppo arrendevole, ma permetti alla tua facoltà di giudizio di farti da guida. Accorda l’azione alla parola, la parola all’azione; con questa speciale osservanza, che tu non oltrepassi la modestia della natura; perché tutto ciò che è esagerato è lontano dallo scopo dell’arte drammatica, il cui fine, sia dagli inizi che adesso, fù ed è di sostenere, com’era, lo specchio sulla natura; di far vedere alla virtù la sua caratteristica; al vizio la sua propria immagine, e del tempo e l’età l’orma. …” (*)
Il buon Shakespeare ci aiuta a capire che dire un testo a memoria ad alta voce, non è fare teatro. Un attore, per essere capace di ben interpretare un personaggio e quindi risultare credibile e non enfatico, oltre a imparare la tecnica, facendo un duro lavoro su se stesso (essendo lui il suo strumento), deve soprattutto riuscire a farsi piccolo, per essere umile abbastanza da poter guardare il mondo con curiosità e stupore, con la semplicità di un bambino attento, per poi riuscire a ben interpretarlo.
Questa capacità di sguardo, che reputo molto importante, non solo per gli attori, la vorrei prendere a prestito per aiutarci a ritrovare uno sguardo cattolico sul mondo: farsi piccoli e umili, per aiutarci a guardarci intorno con gli occhi della grazia.
In questo noi siamo facilitati, in quanto abbiamo tanti cari amici in cielo che ci possono venire in nostro soccorso. A partire da San Francesco D’Assisi, con il suo bel cantico delle creature:
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.
Ho riportato il testo originale per leggerlo con attenzione; meditando ogni parola per provare a guardare il creato con gli occhi del nostro caro santo. Si potrebbe addirittura stampare o trascrivere il cantico su di un piccolo foglio e uscire fuori all’aperto – chi può – per ben meditarlo; poi andare a far visita al cimitero della nostra città o paese.
Al camposanto, oltre naturalmente a pregare per i defunti – e magari fare una Via Crucis in loro suffragio nella chiesa o cappella del cimitero, dato che siamo in tempo di quaresima – si può facilmente meditare la vita e la morte delle persone che lì vi si trovano sepolte. Ad esempio: “Si sa per fede che il corpo, o quel che vi rimane, si trova qui sotto e l’anima si è separata nel momento della morte. Chissà che vita avrà vissuto? Come sarà morto? Chissà com’è stato giudicato dopo la morte, se la sua anima si trovi in purgatorio o in paradiso? E se fosse all’inferno?”
Ogni lapide è il ricordo di una vita vissuta da un’anima immortale, la sua storia.
In genere non facciamo troppo caso al fatto che le storie dei personaggi dei libri, degli spettacoli, dei film, siano ispirate molto spesso da qualche persona relmente esistita e probabilmente adesso defunta. Ad esempio: citando un personaggio di un autore caro ad Alessandro Gnocchi – pensiamo al personaggio di Peppone nel Mondo piccolo di Guareschi. Ebbene, fu ispirato da un uomo che Giovannino Guareschi conosceva da sempre. Una persona reale e non di fantasia, a cui Giovannino voleva bene e che vide morire solo, povero, dimenticato da tutti.
Si potrebbe dire che ogni uomo ha una sua storia e in ogni storia c’è almeno un uomo, quindi un’anima immortale.
Infine, per aiutarci a recuperare questo sguardo, come non pensare a una nostra cara amica, un “fiorellino” del cielo… Una santa che ha saputo unire l’arte drammatica, la recitazione, al farsi piccola e guardare il creato con gli occhi della grazia. Sicuramente avrete capito che mi riferisco a Santa Teresina. Però, non tutti sanno che la nostra cara santa scrisse e rappresentò tanti testi, recitando lei stessa in vere e proprie rappresentazioni teatrali nel convento di Lisieux, su richiesta della madre superiore. Ebbene, chi meglio di lei poteva fare teatro!
Per ora vi lascio con una sua poesia che mi è piaciuta molto e che mi pare possa completare quanto ho provato a meditare in questo nostro primo piccolo passo insieme.
“Quando il Cielo azzurro diventa scuro
e sembra abbandonarmi,
la mia gioia, è di restare nell’ombra
di nascondermi, abbassarmi.”
(Santa Teresa di Lisieux)
Sia Lodato Gesù Cristo
(*) Discorso di Amleto agli attori, W. Shakespeare, Amleto, atto III, scena II – Traduzione di Linda Manfredini.
1 commento su “Lo sguardo sulla natura. Quando lo spettacolo diventa arte – di Linda Manfredini”
Un articolo così intriso di pensieri delicati e direi soavi sembra scritto in tempi lontani, quando la semplicità del vivere portava a guardare più verso il cielo che verso la terra. Mi pare di capire che il suggerimento di Linda Manfredini sia l’ esercizio evangelico di “diventare come bambini” e di assumere quell’atteggiamento che è ormai divenuto difficilissimo per l’uomo di oggi, così concentrato su se stesso e sulle sue infinite capacità, da non vedere nulla al di là della propria presunzione e della propria superbia. Senza più considerare poi, che proprio per aver ascoltato l’essere che si è rovinato a causa della sua estrema superbia, ha perso la possibilità di essere veramente felice. E se parlare di peccato originale ormai non e piu di moda, come poter capire che sono tutti i peccati che vengono dopo a renderci così ciechi da non riuscire più a scorgere e distinguere la vera bellezza?