ho appena finito di leggere l’ottimo articolo di Fabio Trevisan “Una Suor Angelica deturpata” (del quale condivido ogni sillaba) e vorrei dire tutta l’indignazione che anche io provo da appassionata musicofila come l’amico Trevisan – anche se, come lui, non sono musicista né musicologa – assistendo ai moderni spettacoli di quei capolavori musicali tipicamente italiani che costituiscono l’Opera Lirica.
Premetto che, essendo figlia di due appassionati musicofili, ho succhiato con il latte materno la grande musica europea, sia lirica che sinfonica, e sono almeno quarant’anni che non salto un abbonamento alle stagioni del Teatro dell’Opera e dell’Accademia di S. Cecilia. Ma da qualche anno si direbbe che i registi lirici, assunti con lauti contratti soprattutto, ma non solo, tra quelli cinematografici che meno conoscono il teatro lirico (però si permettono di disprezzare il grande Franco Zeffirelli) facciano di tutto per scoraggiare i veri appassionati dal rinnovare i loro abbonamenti. Taccio i nomi per non essere cattiva.
L’anno scorso a Roma abbiamo assistito a quel gioiello che è “Così fan tutte” di Mozart (il cui sottotitolo sarebbe “La scuola degli amanti”) ambientato in una squallida scuoletta moderna con i due giovani ufficiali Guglielmo e Ferrando vestiti in jeans e felpe sdrucite come due bulletti di periferia e le due fanciulle Fiordiligi e Dorabella (dame ferraresi) con fuseaux, minigonna e scarpe da ginnastica. Abbiamo visto un “Trovatore” ambientato durante la guerra civile spagnola con il Conte di Luna che, al finale dell’opera, dopo aver cantato “La scure al figlio ed alla madre il rogo”, uccide Manrico con un colpo di pistola (già, è vero: negli anni ’30 del XX secolo quei due tipi di esecuzione erano passati di moda). Qualche anno fa, allo Sferisterio di Macerata abbiamo sentito un “Nabucco” ambientato nell’Iraq del XX secolo con Nabucodonosor vestito e truccato come il Saddam Hussein suoi tempi d’oro, mentre il ritorno degli Ebrei in Palestina era rappresentato da una scalcinata camionetta che avanzava nel vasto palcoscenico di quel teatro carica di vecchie valige legate con lo spago.
Mi risulta poi che a Londra abbiano rappresentato una “Traviata” ambientata in pieno ‘900 (come se la storia di Violetta Valery fosse ancora attuale nel XX secolo: infatti quella vicenda sopravvive oggi per la meravigliosa musica di Verdi, mentre non mi sembra che “La Signora delle camelie” di Dumas sia rappresentata molto spesso). A Chicago si è visto un “Rigoletto” ambientato tra i gangster del proibizionismo (già: era Chicago!).
Ho citato solo pochi casi, ma potrei elencarne a decine. Se i registi moderni non esitano a far rivoltare nelle loro tombe i grandi musicisti italiani, come possiamo meravigliarci che vogliano adulterare anche l’altissimo significato cristiano di un’opera come “Suor Angelica” che Trevisan ha così ben descritto? Mi viene da sospettare che vogliano impedire allo Spirito Santo di servirsi di quella musica colma di Fede per toccare l’animo di qualche spettatore miscredente e tornare a Dio.
I veri cristiani dovrebbero disertare quegli spettacoli, ma come si fa a vivere senza musica e senza quella magia, tipica del Grande Teatro, che dovrebbe sprigionarsi all’aprirsi del sipario e che io aspetto sempre, anche se il più delle volte resto delusa? Forse dovremmo tenere gli occhi chiusi aspettando gli spettatori comincino finalmente a fischiare (come è antica tradizione teatrale, anche se io non ne sono capace) e i registi rinsaviscano.
Grazie per avermi letto e grazie a Fabio Trevisan per aver dato il “la” al mio sfogo.
Carla D’Agostino Ungaretti
9 commenti su “Lo scempio della lirica – una lettera di Carla D’Agostino Ungaretti”
Come la capisco! A teatro non ci vado più; il cinema lo diserto.
Mio padre mi ha fatto conoscere la musica classica a 4 anni. Ho studiato danza.
Sa cosa mi resta della lirica? I miei dischi di vinile, alcuni a 78 giri. Cari e preziosi.
Mi chiudo in camera mia e me li ascolto lì. MI RIFIUTO DI ASSISTERE A TALI DISASTRI CHE SONO UN AFFRONTO VERSO COMPOSITORI E LIBRETTISTI.
Che pena. Se potessero tornare redivivi…. oh! Ne sentiremmo delle belle…..
Tutto questo non è che l’ennesima conferma che l’uomo moderno, perso Dio, perde la bellezza e diviene dedito alle brutture, in ogni campo, in ogni ambiente, in ogni settore. Questo articolo mi ha ricordato solo le squallide chiese hangar al posto delle cattedrali, le tristi periferie delle antiche città, i miseri capi di abbigliamento con cui oggi tutti ci vestiamo. Nessuno fischia più a teatro perchè le coscienze sono sopite…
Cara Carla, sono sostanzialmente d’accordo con lei, anche se ritengo che la decadenza della parte registica vada di pari passo con la decadenza (se possibile ancor più drammatica) della parte musicale. E basta guardarsi qualche spettacolo anche solo di venti o trent’anni fa per rendersene conto. Il problema non sono tanto gli allestimenti “moderni” tipo quello del capolavoro mozartiano da lei citato. Ricordo la “Traviata” che lanciò la Netrebko al festival di Salisburgo in ambientazione assolutamente contemporanea, ma tuttavia riuscitissima perché NON tradiva nel modo più assoluto lo spirito dell’opera verdiana o le intenzioni di denuncia sociale dell’autore; così come una “Bohème” allo Sferisterio di Macerata in epoca anni 60 in verisone “hippy” che a sua volta non stravolgeva affatto le intenzioni di Puccini. Ma sono quasi sempre eccezioni; oramai la volontà di scandalizzare prende il sopravvento e così tutte le critiche si concentrano (giustamente) sulla parte registica. Ma forse è quello cui tanti sovrintendenti mirano.
Grazie a Carla D’Agostino Ungaretti. Anch’io condivido le sue parole e condivido pure il commento di Annalisa P. Per cercare di recuperare la bellezza, così come l’avevano pensata i compositori (e librettisti), proporrei di andare a sentire, come esempio, la romanza: “Senza mamma” nel finale di “Suor Angelica”, magari nell’interpretazione fedele ed appassionata di Renata Scotto. Si trova tranquillamente su you tube. Fabio Trevisan
Grazie lo faccio!
per il mio commento si vada alla’articolo di Trevisan.
Anch’io, ormai, ho come unico “strumento” di ascolto i dischi.
Cari amici, grazie a voi e soprattutto a Fabio Trevisan per aver commentato il mio sfogo. Che si può riassumere in unica triste considerazione: il mondo moderno, come sta perdendo la Fede, così ha già perduto il senso della bellezza e del buon gusto. MI scuserà Franz 75 se non condivido il suo giudizio sulla Bohème di Macerata: Mimì che muore per overdose con un ago infilato nel braccio mi sembrò un insulto a Puccini e ai suoi librettisti. Per fortuna alcuni direttori come Riccardo Muti si sono fatti sentire e finché lui è stato a Roma abbiamo avuto scenografie e regie accettabili. Poi siamo ricaduti nella volgarità. Un’osservazione: siamo in epoca di crisi e i teatri si lamntano degli scarsi finanziamenti pubblici ma i loro magazzini sono pieni delle splendide scene di qualche decennio fa di Zeffirelli, Visconti, Lyla de’ Nobili, Salvatore Fiume di cui ricordo uno splendido Nabucco, perché non tirano fuori quelle? Risparmierebbero e i giovani conoscerebbero i grandi scenografi del passato. Ma ormai il cattivo gusto la fa da padrone.
Grazie per avermi letto.
Leggo solo ora il commento della signora Carla D’Agostino Ungaretti a proposito della Bohéme di Macerata: ci mancherebbe; alla fine su queste cose non è poi un gran male non essere d’accordo… 🙂
Come argomentazione “a contrario”: qualche sera fa è andato in diretta su Rai Cinque “Il Ratto dal Serraglio” di Mozart in diretta dalla Scala. Il livello davvero penoso dell’esecuzione musicale non è fortunatamente riuscito a rovinare la poetica, delicatissima bellezza dello spettacolo di Strehler, forse il suo vero capolavoro in ambito di opera lirica (anche più del celebrato Macbeth)…è un caso che uno spettacolo del genere, nato nel 1965 per Salisburgo, ancora oggi risulti splendido ed attualissimo ? Delle vergognose porcherie con cui Bieito ha violentato lo stesso capolavoro mozartiano, invece, fortunatamente fra qualche anno non se ne ricorderà più nessuno…