San Giorgio è uno dei più importanti santi della storia della Chiesa, anche se venne bistrattato pesantemente dal Concilio Vaticano II e, al riguardo, il grande scrittore Eugenio Corti ebbe a scrivere pagine memorabili. Il suo nome in greco significa “contadino”, ma il santo con questo nome divenne il simbolo per eccellenza della milizia cavalleresca, di colui che affronta coraggiosamente il Male, rappresentato dal drago. Il cavaliere è colui che lo diventa, magari partendo dalla condizione di contadino, di colui che ha i piedi per terra, che conosce e ama e difende la terra.
Una sorta di rivisitazione in chiave moderna della storia e dell’esempio di san Giorgio lo troviamo nel romanzo intitolato semplicemente George, di Siobhan Nash-Marshall, docente di filosofia, saggista e scrittrice, è titolare della Mary T. Clark Chair of Christian Philosophy al Manhattanville College di New York. Autrice di libri e articoli accademici di filosofia teoretica, negli ultimi anni ha dedicato particolare attenzione, con articoli e conferenze in tutto il mondo, allo studio dei genocidi. In particolare, si è dedicata a quello del popolo armeno e al negazionismo turco.
George ci racconta una storia di oggi, ambientata in un clima di terrore delle epidemie e del contagio indotto mediaticamente, dove la Sicurezza viene innalzata a valore supremo. Le radici di questo romanzo breve stanno però in una profonda conoscenza di quelle di ieri, meditate a lungo, assorbite e prese come materiali di base: e il riverbero del passato rende più comprensibili e fluidi molti sentimenti, molte emozioni attuali che ci sembra di faticare a cogliere. Si tratta di un romanzo breve, nello spirito e nella forma di quello che gli anglosassoni chiamano novel. Nella prefazione di Antonia Arslan, grande armenista e con il merito di aver fatto conoscere in Italia l’autrice americana, si legge: “Penso che questo sia un libro da divorare, e poi da rileggere riflettendo, lasciandosi conquistare”. Non si può darle torto.
La storia di George è quella di una vita costretta in quella che viene letteralmente definita una nuova normalità, ovvero un’esistenza vissuta sotto una cappa di paura, come un fumo che esce dalle fauci di un drago, che si avviluppa intorno ai corpi e alle anime, riducendo l’uomo ad una sola dimensione. Una nuova vita, da condurre in nome del bene comune, moralisticamente e legalmente doveroso. Una vita che ha perduto il sapore della realtà.
Uno scenario che non è più, purtroppo, solo fiction e fantasia distopica. Questo emerge dai capitoli di apertura del romanzo: l’ambientazione è una casa, molto grande. George – uomo di grande successo che incappa, a un certo punto, in un Drago – si occupa di portare il cibo ai familiari; cibo che arriva in anonime scatole grigie. Troppo cibo, ma soprattutto cattivo! I fratelli e le sorelle sono stravaccati sui divani, davanti allo schermo, essere vivi, ma privi di vitalità. Solo George, misteriosamente, pare avvertire che qualcosa non va; che qualcosa di non-umano si sta impadronendo delle persone a lui vicine (e forse non solo): che si sta perdendo la realtà Il mondo così come lo si era conosciuto non esiste più, cancellato dalla ferocia del Drago che ha portato distruzione e morte e che chiede continui sacrifici ai superstiti paralizzati dal terrore. Nella «nuova normalità» gli uomini conducono esistenze opache, chiusi ermeticamente nelle proprie case, dominati dalla paura del mondo esterno, fissi come automi di fronte agli schermi azzurri dei televisori. George non si arrende. È uno strano eroe: non è né un contadino né un cavaliere, ma un ex uomo d’affari dalla complicata vita sentimentale, ma che non si arrende alla menzogna, e che affronta l’avventura della ricerca della verità. È questo che lo rende un uomo vivo e vero in mezzo alle ombre di un mondo dove l’inganno è diventato sistema.