Lezioni sulla vita spirituale – Terza lezione
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Quali sono i grandi motivi che devono ispirare un’anima verso la seconda conversione? Quali i frutti più evidenti? Innanzitutto, un primo motivo che deve spingere alla seconda conversione è l’ascolto del precetto supremo di Nostro Signore: Gli rispose: ««Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente» (Lc 10, 27). Questo precetto richiede l’amore di Dio per se stesso e non per interesse o attaccamento a qualche soddisfazione o realizzazione personali; inoltre afferma che dovremo amare Dio con tutta la nostra forza e con tutta la nostra mente, cioè con la totalità della nostra persona, per adorarLo in spirito e verità. Questo comando del Signore Gesù, essendo il primo dovere della Carità, è senza limiti: la perfezione della Carità è il fine verso cui ogni battezzato deve tendere, ciascuno nel proprio stato di vita, desiderando Dio nel proprio cuore, amandoLo sopra ogni cosa, ascoltando la sua voce nel magistero della Chiesa, testimoniandoLo nelle opere per goderne la visione beatifica nell’eternità. A partire dal grado di Carità con cui lasceremo questa vita avremo una visione più piena del volto di Dio in Paradiso. Per amare sempre più perfettamente Dio e quindi il prossimo è necessario essere sempre più distaccati da sé stessi, dagli interessi personali e dall’amor proprio che spesso ci fa o trattenere l’amore oblativo o agire con un secondo fine.
A tal proposito, è utile ancora una volta ascoltare la voce di S. Caterina da Siena che, nel Dialogo della Divina Provvidenza (cap. 60), afferma: Alquanti sonno che sonno facti servi fedeli, cioè che fedelmente mi servono, senza timore servile (servendo solo per timore della pena), ma servono con amore. Questo amore, cioè di servire per propria utilitá o per dilecto o piacere che truovino in me, è imperfecto. Sai chi lo’ ’l dimostra che l’amore loro è imperfecto? quando sonno privati della consolazione che trovavano in me. E con questo medesimo amore imperfecto amano el proximo loro. E però non basta né dura l’amore: anco allenta, e spesse volte viene meno. Allenta inverso di me quando alcuna volta Io, per exercitargli nella virtú e per levarli dalla imperfeczione, ritrago a me la consolazione della mente e permecto lo’ bactaglie e molestie. E questo fo perché vengano ad perfecto cognoscimento di loro, e conoscano loro non essere, e neuna grazia avere da loro. E nel tempo delle bactaglie rifuggano a me, cercandomi e cognoscendomi come loro benefactore, cercando solo me con vera umilitá. E per questo lo’ ’l do e ritrago da loro la consolazione, ma non la grazia. Questi cotali alora allentano, voltandosi con impazienzia di mente. Alcuna volta lassano per molti modi e’ loro exercizi, e spesse volte socto colore di virtú, dicendo in loro medesimi: — Questa operazione non ti vale, — sentendosi privati della propria consolazione della mente. Questi fa come imperfecto che anco non ha bene levato el panno de l’amore proprio spirituale della pupilla de l’occhio della sanctissima fede. Però che, se egli l’avesse levato in veritá, vedrebbe che ogni cosa procede da me e che una foglia d’arbore non cade senza la mia providenzia; e che ciò che Io do e permecto, do per loro sanctificazione, cioè perché abbino el bene e il fine per lo quale Io vi creai. Questo debbono vedere e cognoscere, che Io non voglio altro che il loro bene, nel sangue de l’unigenito mio Figliuolo, nel quale sangue sonno lavati dalle iniquitá loro. In esso sangue possono cognoscere la mia veritá, che, per dar lo’ vita etterna, Io gli creai a la imagine e similitudine mia, e ricreai a grazia, col sangue del Figliuolo proprio, loro, figliuoli adoptivi. Ma perché essi sonno imperfecti, servono per propria utilitá e allentano l’amore del proximo. E’ primi vi vengono meno per timore che hanno di non sostenere pena. Costoro, che sonno e’ secondi, allentano, privandosi de l’utilitá che facevano al proximo, e ritragono a dietro da la caritá loro, se si vegono privati della propria utilitá o d’alcuna consolazione che avessero trovata in loro. E questo l’adiviene perché l’amore loro non era schiecto; ma, con quella imperfeczione che amano me (cioè d’amarmi per propria utilitá), di quello amore amano loro. Se essi non ricognoscono la loro imperfeczione col desiderio della perfeczione, impossibile sarebbe che non voltassero el capo indietro. Di bisogno l’è, a volere vita etterna, che essi amino senza rispecto: non basta fuggire il peccato per timore della pena né abracciare le virtú per rispecto della propria utilitá, però che non è sufficiente a dare vita etterna; ma conviensi che si levi del peccato perché esso dispiace a me, e ami la virtú per amore di me. È vero che quasi el primo chiamare generale d’ogni persona è questo; però che prima è imperfecta l’anima che perfecta. E da la imperfeczione debba giognere a la perfeczione: o nella vita mentre che vive, vivendo in virtú col cuore schiecto e liberale d’amare me senza alcuno rispecto; o nella morte, riconoscendo la sua imperfeczione con proponimento che, se egli avesse tempo, servirebbe me senza rispecto di sé. Di questo amore imperfecto amava sancto Pietro el dolce e buono Iesú, unigenito mio Figliuolo, molto dolcemente sentendo la dolcezza della conversazione sua. Ma, venendo el tempo della tribolazione, venne meno; tornando a tanto inconveniente che, non tanto che egli sostenesse pena in sé, ma, cadendo nel primo timore della pena, el negò, dicendo che mai non l’aveva cognosciuto. In molti inconvenienti cade l’anima che ha salita questa scala solo col timore servile e con l’amore mercennaio. Debbansi adunque levare ed essere figliuoli, e servire a me senza rispecto di loro. Benché Io, che so’ remuneratore d’ogni fadiga, rendo a ciascuno secondo lo stato ed exercizio suo. E se costoro non tassano l’exercizio de l’orazione sancta e de l’altre buone operazioni, ma con perseveranzia vadano aumentando la virtú, giogneranno a l’amore del figliuolo. E Io amarò loro d’amore filiale, però che con quello amore che so’ amato Io, con quello vi rispondo: cioè che, amando me sí come fa el servo el signore, Io come signore ti rendo el debito tuo, secondo che tu hai meritato.
Come si evince dalle parole di S. Caterina, il secondo motivo che deve ispirare la seconda conversione è il prezzo del Sangue del nostro Salvatore: quel Sangue che ci ha redenti sulla Croce; che ci ha rigenerati del Battesimo; che ci purifica nella Penitenza; che ci santifica nell’Eucarestia. Se pensassimo a qual prezzo tutto ciò è avvenuto – la morte del Figlio di Dio Gesù Cristo –, con quanta maggiore umiltà e devozione assisteremmo alla S. Messa, rinnovazione incruenta del Calvario, sorgente inesauribile di Carità verso Dio e verso il prossimo!
Un terzo motivo, infine, che deve ispirare la seconda conversione è l’amore verso le anime da salvare. Ogni cristiano, laico o sacerdote, non può non avere a cuore il destino eterno di tante anime, che vivono lontane da Dio, o nell’errore e nel peccato. Un cristiano, che voglia essere veramente tale, non può separare l’amore di Dio da quello per il prossimo. E se ha ben compreso il valore del Sacrificio di Cristo per salvarci e per meritarci il Paradiso, come può non desiderare che tanti altri fratelli abbiano a fruire di sì immensi benefici?
Da ultimo, convertirsi significa anche sacrificarsi, in spirito di preghiera, riparazione, sacrificio a vantaggio di chi non prega, ma impreca; non ripara, ma pecca; non si sacrifica, ma dissipa, affinché la salvezza possa essere anche per lui meta da raggiungere, e non solo possibilità perduta. Nostro Signore si è incarnato per salvarci, usando misericordia all’uomo peccatore; i redenti dal Sacrificio di Cristo sono chiamati a “completare nella propria carne ciò che manca ai patimenti di Cristo” per la salvezza del mondo. E così operando per amore di Dio e del prossimo, sempre più ci convertiremo, facendo morire l’uomo vecchio per lasciare crescere l’uomo nuovo creato a immagine del nostro Redentore (Rom 13, 14; Col 3, 10).
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(continua)