di Léon Bertoletti
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La domenica di Pentecoste, all’ora del Vespro, il cielo si era fatto nero. Vento irruente, nuvole mostruose, fiammate di lampi, rimbombo di tuoni. Poi scrosci violenti di pioggia e una grandinata tremenda. Come tutti gli altri umili contadini abruzzesi della zona, anche il settantenne Alessandro Muzio di Pollutri aveva temuto molto per la sorte del suo campicello di grano. Così il giorno dopo, lunedì, tornata una parvenza di sereno nell’aria, si era incamminato di prima mattina verso Casalbordino per verificare i disastri del maltempo. Il poveruomo avanzava triste, sconsolato, di cattivo umore, con i piedi che affondavano nel fango. Teneva una coroncina consunta che sembrava perfino più piccola nella sua grande, robusta mano callosa e sgranandola, muovendo appena le labbra, un passo pesante dopo l’altro, recitava il Rosario. Giunto nei pressi di un bosco e ormai vicino anche al suo terreno, aveva sentito la campana della chiesa parrocchiale, dove proprio in quel momento si stava celebrando la Messa, suonare in corrispondenza dell’elevazione dell’Ostia divenuta Corpo di Cristo. Buono, giusto, mansueto e pio come lo ritraggono, si era quindi inginocchiato sul suolo e pregava così: «Signore e Redentore del genere umano, che sei disceso dal Cielo per incarnarti nel ventre della gloriosa Vergine Maria, madre tua santissima e mia avvocata, per atto di vera carità, soltanto per redimere l’umanità, abbi compassione di me, peccatore scellerato».
Fu allora, mentre stava piegato nel pantano invocando misericordia per sé e per la campagna, che vide la Madonna. Apparve all’improvviso, in uno splendore luminoso. «Mio devoto, non dubitare» lo rassicurò. «Ieri sera il mio Figliolo aveva deciso di distruggere tutto con la grandine e la tempesta. Ma tu, devoto mio, vai pure allegramente al tuo campo perché non troverai alcun danno. Al ritorno, però, recati dall’arciprete e raccomandagli di far osservare i giorni di precetto, di far santificare le feste. Per questa ragione, perché se ne dimenticano, per il peccato dell’uomo il mio Figliolo manda sulla terra, a volte, tempesta, grandine e vento nocivo». Detto questo, sparì. Tutt’intorno era bagnato, ma il fazzoletto di terra dove si era manifestata la Regina risultava completamente asciutto. Era l’11 giugno 1576. Muzio ebbe modo di riscontrare le perfette condizioni del podere. Seguì con scrupolo le istruzioni ricevute. L’apparizione venne riconosciuta autentica e, negli anni, il culto crebbe.
Oggi il santuario della Madonna dei Miracoli di Casalbordino, nella diocesi di Chieti-Vasto, si presenta come una bella, ordinata, vivace, preziosa meta cattolica. Ogni domenica e solennità la basilica si riempie, il confessionale lavora. Il vicino monastero ospita una comunità benedettina con una decina di monaci e una biblioteca che è una gemma per il territorio, custodendo tra gli altri importanti testi di spiritualità e teologia, patristica e diritto canonico, conservando manoscritti, incunaboli, cinquecentine, seicentine e avendo accolto, dopo la chiusura, anche i volumi di una realtà benedettina genovese. Ora, al di là della curiosità storica e cronistica, non dovrebbe esserci bisogno di ricordare questa vicenda vecchia di quattro secoli, questo luogo e la sua costante, leale, affettuosa devozione, ancora così viva e presente, così simile per storia e contenuti a migliaia di altre in Italia e nel mondo. Non dovrebbe esserci bisogno, se non fossimo sotto l’assedio di dotti cialtroni, di accatto-teologi, di clerico-truffatori deliranti che – con la scusa logora dei tempi, dell’aggiornamento, del rinnovamento, del dialogo, dell’esistenza comoda, della felicità, del gusto, dell’opinione personale e del piacere individuale – pretendono di modificare la fede dei padri, svuotarne il depositum, stravolgerne le regole, riscriverne i contenuti, alterarne le forme e le pratiche. Auspicano la carità e l’accoglienza? Bene. Poiché la prima forma di carità, di accoglienza è il rispetto, i dottori del tempio comincino a mostrare considerazione, deferenza, reverenza, ossequio alla verità e genuinità della pietà popolare. Non credono più al mistero, al soprannaturale, al divino, al metafisico, alla consacrazione eucaristica, alla Trinità, alla Vergine, al demonio, alla vita eterna, a nulla? Affaracci loro. Per carità e accoglienza, abbandonino la creazione e la diffusione compiacente di strampalate, superbe, scandalose teorie, trasgressioni, forse eresie.
Imparino il riguardo nei confronti della tanta gente modesta che con semplicità, spontaneità, fervore, sincerità ancora si inginocchia, crede, spera, implora, versa lacrime, si affida, confida nella Provvidenza, attende lo svelarsi del soprannaturale. Smettano di insultarla, denigrarla, offenderla dagli amboni, dalle cattedre, dalle testate giornalistiche autorevoli, facendosi potenti con titoli altisonanti e incarichi prestigiosi. Non è debole, non è indietro e non è ignorante, quella gente, quel popolo; niente affatto. È molto più forte, avanti e sapiente di loro.
6 commenti su “Lettera da Casalbordino: la pietà del popolo e i dottori del tempio – di Léon Bertoletti”
Ha ragione l’Autore. Senza sosta e non di rado con acrimonia una miriade di giornalisti – blogger – opinionisti varii – salvatori della Patria e dell’universo, turisti della Teologia, non risparmiano invettive, ordini veri e propri sul governo della Chiesa, sul Catechismo, e persino sui Sacramenti. Sui Pontefici, canonizzati o sulla via della beatificazione, piombano come siluri pagelle con valutazioni molto al di sotto della sufficienza. All’appello non manca quasi nessuno : laici, Consacrati, Sacerdoti, ex Sacerdoti, simil Sacerdoti. C’è una risposta (tutta umana, solo contingente, pragmatica) per ogni problema, ma la magna cartha risolutiva di solito può essere racchiusa in una semplice parola : “aggiornamento”. Sdoganamento. Tutto quanto ci è stato tramandato è vecchio, superato, inadeguato. Certo, si straparli pure di accoglienza -il figurone è assicurato- mentre il Paese annaspa, il lavoro non c’è e se c’è non è più adeguatamente garantito e retribuito, le famiglie patiscono, l’assistenza sanitaria spesso è insufficiente rispetto alle esigenze dei malati o disabili…
più gravi, mancano i fondi per le attività ordinarie delle Forze dell’Ordine, e – quasi nessuno se n’è accorto – tragicamente vengono meno i mezzi per gli Istituti di Pena : nell’ultimo periodo molti detenuti sono evasi, gli Agenti di Polizia Penitenziaria lavorano nelle ristrettezze, è difficile garantire ai reclusi le opportunità di reinserimento e recupero sociale. Poi ci sono le tragedie della natura, i Paesi distrutti dai terremoti e dai cataclismi, case, scuole e ospedali da ricostruire. Persino l’età pensionabile si allunga inesorabilmente, mentre gli anziani supportano – sino a che il Signore li sostiene – famiglie disagiate e giovani, divenuti anziani a loro volta. Molti hanno perso il sostegno della Fede, e questa è la tragedia più grande. Non è più possibile continuare ad ignorare la linfa della nostra esistenza. Dio è sempre presente, e per Lui non esiste passato. Esiste solo il Bene assoluto che è senza tempo e la speranza che non avrà mai fine.
“In quel tempo Gesù prese a dire: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto.” (Mt. 11, 25-26)
Bellissimo articolo. Grazie mille!!!!
Un po’ più di umiltà a tutti questi cattedratici del cattolicesimo adulto non farebbe male. Che scendano dalle rispettive torri d’avorio e si rendano disponibili nuovamente ad un intimo rapporto con Cristo Gesù e Maria Vergine
Cito: “abbandonino la creazione e la diffusione compiacente di strampalate, superbe, scandalose teorie, trasgressioni, forse eresie”. A parte il “forse”, a metà strada tra l’ironico ed il pietoso, credo che lei, caro Bertoletti, abbia preso un grosso abbaglio. Questa gente, chiunque essa sia, non abbandonerà mai “la creazione e la diffusione compiacente di strampalate, etc. etc.”, per la semplicissima ragione che queste sono (da almeno 50 anni circa) le verità ufficiali ed incontestabili. Vederle cadere significherebbe il disastro di comode carriere curiali, la catastrofe di chiarissime cattedre universitarie, il falò delle vanità libresche, l’ignominia cui andrebbe incontro tutto quel clero che su tali scemenze ha fondato se stesso, e le proprie omelie balorde. Oltretutto condito da fantozziane sedute di autocritica collettiva cui si dovrebbero sottoporsi vescovi e preti neomodernisti (e che terminerebbero con la colossale pernacchia che ormai – credo – sia nei sogni di tutti i cattolici tradizionalisti). Per carità, lasciamo perdere…