Uno spettro si aggira per il secolo: è lo spettro demoniaco della volgarità. Giovani e vecchi che sfregiano il loro corpo con i tatuaggi come facevano i carcerati con le pareti delle loro celle, preti e suore che sfregiano il corpo delle loro chiese con riti tribali simili quelli degli indios amazzonici tanto cari a Bergoglio… Sono solo i due estremi di una via dell’informe percorribile in entrambi in sensi senza mai essere contromano. Ogni sosta alimenta l’euforia che spinge inevitabilmente alla tappa successiva, senza possibilità di fermarsi, come in un girone infernale.
Si salva solo chi comprende che l’assenza di forma è il limite estremo dell’eresia, il punto di non ritorno nel rifiuto dell’essere, oltre il quale nulla e nessuno può essere sanato, nulla e nessuno può sanare. Il Signore nel Vangelo si china sul deforme, e non sull’informe, ne guarisce il corpo e l’anima perché l’uomo, pur provato dalla sofferenza, non ha rinunciato all’uno e all’altra. Ma nulla viene fatto per trattenere Giuda quando, provato dal bene illusorio del denaro, sceglie di perderli entrambi, materia e forma. Uno viene salvato perché chiede senza pretendere mentre l’altro si danna perché pretende senza chiedere, uno agisce con grazia e ottiene la Grazia mentre l’altro rifiuta la Grazia e agisce con volgarità, uno è formale mentre l’altro è formalista.
Per fuggire allo spettro demoniaco del secolo bisogna tornare con devozione alle pagine evangeliche che celebrano e insegnano la formalità, agli episodi e ai versetti in cui la Buona Novella si fa per le buone maniere come lo stampo per la cera. È la buona creanza di Gesù risorto a sanare la sgarbata incredulità di Tommaso. Per lui, che otto giorni prima non era presente alla sua apparizione nel cenacolo, il Signore torna a mostrare con mansuetudine cerimoniosa le piaghe sul suo corpo: “Metti qua il tuo dito, osserva le mie mani, accosta la tua mano, e mettila nel mio costato: e non essere più incredulo, ma credente”. “Mio Signore e mio Dio”: vinto dall’estrema grazia con cui lo ha trattato il suo Signore e suo Dio, Tommaso ne confessa la divinità come nessun altro apostolo aveva fatto fino ad allora e poi ne porterà la lieta notizia fino in Persia e in India, fino al martirio.
È in questo intrattenersi così intimo e cerimonioso, dove la forma purissima del sacro fa da calco alla materialità del gesto e della parola, che l’uomo ha fruttuosa relazione con Dio. Qui dimora la saldezza delle vere conversioni, a patto che la cerimonia diventi rito. “Il ritardo dei discepoli a credere alla risurrezione del Signore” spiega San Gregorio Magno nel “Terzo Notturno dell’Ascensione” “più che a dimostrare la debolezza loro, servì a nostra maggiore garanzia. Infatti il loro dubbio fu occasione che la risurrezione venisse dimostrata con molte prove (…). La storia della Maddalena così pronta a credere, è meno utile a me che non quella di San Tommaso che dubitò per tanto tempo, poiché questo apostolo, nel suo dubbio, toccò le cicatrici del Signore e così tolse dal nostro cuore la piaga del dubbio”. La cerimoniosità rituale risponde alla natura liturgica dell’uomo: cosicché Leon Bloy diceva che “solo le persone senza profondità non si fidano delle apparenze”.
Ma oggi si manifesta un cristianesimo che si sente tanto più autentico quanto più si fa nemico del minimo fremito di reverenza per la forma. La pratica religiosa ormai si gloria di attingere solo alla sostanza finendo per rimestare nella materia lasciata a se stessa. La solita borghesissima rivolta antiborghese ha instaurato una sorta di eresia dell’informe che si nutre di esegesi del brutto come unica lettura del Vangelo. Eppure, la vita e l’insegnamento di Gesù, i gesti più veri di chi gli sta intorno sono uno spreco di bellezza, parto della devozione spirituale al mistero di tutto ciò che esiste. Negli eventi grandiosi e nelle cose minime, nei gesti regali e nelle piccole attenzioni quotidiane, i personaggi del Vangelo sono gentiluomini vocati alle buone maniere.
Tra gli esempi più luminosi vi è la cena di Betania, nella casa di Simone. Una cerimonia così densa di gesti e di significati ulteriori che necessitano di diversi racconti evangelici per essere colti tutti. Quella sera, racconta San Luca, Gesù entrò nella casa di Simone il fariseo e si mise a tavola. “Ed ecco una donna, che era peccatrice in quella città, appena seppe che egli era a mangiare nella casa del fariseo, portò un alabastro d’unguento e stando ai piedi di lui, di dietro, con le lacrime cominciò a bagnarne i piedi e coi capelli del suo capo li asciugava e li baciava e li ungeva d’unguento”. Il padrone di casa, costernato per tanta attenzione donata a una peccatrice, aveva certamente organizzato un pranzo di grande livello, con accurata distribuzione dei commensali, precisione del servizio, qualità delle pietanze. Ma l’invitato per il quale tutto questo era stato preparato lo rimprovera perché quelle buone maniere solo materiali non sono degne della Buona Novella che lui porta in dono: “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; ma essa li ha bagnati colle sue lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, ma lei da che è venuta non ha smesso di baciarmi i piedi. Tu non hai unto d’olio il mio capo, ma essa con l’unguento ha unto i miei piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui poco si perdona, poco ama”. Minuzie da povero formalista, si direbbe oggi, eppure Gesù, perfetto Dio e perfetto uomo, ne nota l’assenza. Poiché il rito con cui si adora il Signore e la cerimonia con cui si rende omaggio al prossimo non raggiungono il loro scopo se non compiono tutto ciò che è prescritto.
Nella sua cronaca, San Matteo si sofferma sull’indignazione dei discepoli: “A che tale sciupìo? Quest’unguento si poteva venderlo caro e darne il ricavo ai poveri”. Ma rimarca soprattutto il rimprovero che tale moto terreno e sentimentale provoca da parte del Signore: “Perché date noia a questa donna? Ella ha fatto una buona azione verso di me. Infatti voi avrete sempre i poveri con voi, ma non sempre avrete me. Costei, spargendo quest’unguento sul mio corpo, lo ha fatto per la mia sepoltura. Io vi dico in verità che dovunque sarà predicato questo vangelo, sarà pur raccontato a sua memoria ciò ch’ella ha fatto”. E San Giovanni precisa che il discepolo scandalizzato è Giuda Iscariota, il traditore, che preferisce i poveri a Dio.
Lungo il cortese sentiero dell’omaggio alla maestà divina si erano già incamminati i magi poco dopo la nascita di Gesù. E vi si inoltreranno Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, con circa cento libbre di mistura di mirra e aloe da spargere sul corpo del Maestro dopo la sua morte. Solo il riconoscimento del primato di Dio e delle attenzioni che gli sono dovute permette di tributarne di grandi agli uomini. Questa certezza permette al buon Samaritano di rovesciare radicalmente la prospettiva di Giuda. È il suo amore per Dio a fermarlo lungo la strada in soccorso dello sconosciuto ferito dai ladri. E con quanta delicatezza si appressa al suo prossimo. “Ne fasciò le piaghe versandovi sopra olio e vino; e, collocatolo sulla propria cavalcatura, lo condusse all’albergo e si prese cura di lui. Il giorno dopo, tratti fuori due denari li diede all’oste e gli disse: Prenditi cura di lui, e quanto spenderai di più te lo pagherò al mio ritorno”.
È la stessa attenzione che Maria presta al Signore venuto a farle visita in casa sua. Gli siede ai piedi e sta ad ascoltare la sua parola. E a Marta, la sorella che si lamenta di essere lasciata sola a servire i commensali, Gesù risponde: “Marta, Marta, tu t’affanni e t’inquieti per troppe cose. Eppure una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”.
Ma la cerimonia, così come il rito di cui è riflesso a uso di chi pratica il mondo, è fatta di manifestazioni inesplicabili ad occhio laico tanto quanto i nascondimenti cui non può rinunciare. Per questo, nel Vangelo di San Matteo, il Maestro prescrive: “Quando digiunate, non vogliate imitare gli ipocriti, che prendono un’aria malinconica e sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico che han già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece quando digiuni, ungiti il capo e lavati la faccia, affinché non agli uomini tu appaia come uno che digiuni, ma al Padre tuo, che è nel segreto; ed il Padre tuo, che vede nel segreto, ti darà la ricompensa”.
Non vi è precetto più alto che scandisca il tempo dell’eleganza e della grazia. La sua pratica è un atteggiamento morale che, un passo prima della santità, si chiama sprezzatura. Equilibrio tra rigore e levità che si traduce in rispetto per il soffio divino nascosto anche nella più piccola scaglia di creato. Nasce da questa radice l’amore con cui Maria accetta la morte del Figlio inchiodato alla croce. Dolorosa e gioiosa comprensione del mistero più grande, radicata nell’adesione all’annuncio dell’angelo Gabriele: “Ecco l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola”. Il racconto dell’annunciazione può essere letto come un trattato di buone maniere, un capolavoro della cerimonia che non ha uguali. Non vi si trova una parola fuori posto, non vi è un fremito che tradisca cedimento, non un’ombra di rinuncia: e si sta decidendo il destino dell’universo.
Principio della santità, le buone maniere sono efficace difesa contro le trappole del demonio. Incapace di conoscere i pensieri dell’uomo perché di altra natura, insegna San Giovanni Cassiano nella “VII Conferenza ai monaci”, il principe di questo mondo li può indovinare osservando i movimenti del corpo: “A nessuno viene il dubbio che gli spiriti immondi riescano a conoscere la natura dei nostri pensieri; quegli spiriti però possono arrivare a individuarli fondandosi sugli indizi sensibili che ad essi appaiono dal di fuori, vale a dire dalle nostre disposizioni o dalle nostre parole, e anche dalle tendenze alle quali ci scorgono inclinati con maggiore apprensione”.
Cassiano è fonte della Regola di San Benedetto, quella mappa per la santificazione fatta solo di minuziose prescrizioni per il comportamento nella vita quotidiana dei monaci. Giunto agli ultimi due gradini dell’umiltà, Benedetto si sofferma su dettagli incomprensibili al cristianesimo maleducato di oggigiorno: “L’undicesimo gradino dell’umiltà è quello del monaco che, quando parla, lo fa delicatamente e senza ridere, con umiltà e compostezza, e dice poche e assennate parole e non fa chiasso con la voce (…). Il dodicesimo gradino dell’umiltà si ha se il monaco non solo coltiva l’umiltà nel cuore, ma la mostra anche con l’atteggiamento esterno a quelli che lo vedono: cioè nell’ufficio divino, in chiesa, nell’interno del monastero, nell’orto, per via, nei campi, dappertutto insomma, quando siede, cammina o sta in piedi, ha sempre il capo chino e lo sguardo fisso a terra”.
Rispetto alla solidità dei primi gradini, pare quasi che questi ultimi siano esili e persino evanescenti. Ma lo sono soltanto allo sguardo di chi non vi coglie la perfezione prendere forma in esistenze capaci di indurre alla conversione con un semplice gesto: un atto di riverenza davanti al Crocifisso, una genuflessione. Il buon cristiano è tale quando ripugna il mondo per ciò che testimonia e non per come si presenta. Se deve versare il sangue, tra i suoi modelli contempla Tommaso Moro, che il 6 luglio 1535 salì al patibolo portando come ultimo bagaglio la sua santità, le buone maniere e una parola di conforto per il boia: “Amico io sono pronto e voi fatevi coraggio… Vi avverto che ho il collo corto e perciò state attento a colpire giusto per non macchiare la vostra buona fama”.
6 commenti su “L’eresia dell’informe, la volgarità del diavolo e la formalità della Grazia”
sempre all’altezza, un grazie… emanuel
Dio è amore e armonia. Lo si ama nella bellezza. La Sua creatura è bella, il Creato è bello. L’essere Suoi figli, ci porta naturalmente a cercare il bello.
Quando cerchiamo o vogliamo il brutto, siamo lontani da Lui. La ricerca del brutto è la ricerca del male. Stringiamoci ancora una volta a Maria, la tutta bella, per essere sicuri di seguire l’Amore.
Molte riflessioni induce a fare questo articolo di grande raffinatezza che conferma in sé la giustezza del suo contenuto. Vi si trova in fondo la dimostrazione che ogni comportamento, ogni azione che parte dall’amore di Dio, cioè che si compie per amore di Dio, non può non essere grazioso, ricettacolo di Grazia e ringraziamento del Suo amore per noi. E dunque, si può forse sfigurare il corpo con orrendi tatuaggi o con ripugnanti aggeggi applicati a orecchie, nasi, lingue e posti vari? Sfacciata mancanza di rispetto per l’opera delle Sue mani, volgarità senza limite. Lo stesso può dirsi per ogni sciatteria da parte di uomini di chiesa e da parte di chi in chiesa entra in maniera discinta o trasandata.
Mentre scrivo al fresco di un terrazzo in cerca di refrigerio dall’afa guardo la luna e quella stella che la segue nel cammino: quanta bellezza ed eleganza sprigiona la divina creazione! Questa notte serena è tutta una compostezza, una eterna cerimonia, un rito che si ripete dall’inizio dei tempi. Non si può non adorare e onorare il Signore di fronte a tanta grazia e non si può non tradurre questo onore con gesti raffinati, o pensieri elevati o tralasciare l’adeguata riverenza preferendo una “sostanza” che odora di sfregio.
Suscita amare riflessioni la frase su Giuda Iscariota, “il traditore, che preferisce i poveri a Dio”. È quel “traditore” che fa venire i brividi evocando una realtà che ci addolora e ci ferisce. Questo “cristianesimo maleducato” non può piacere a Dio, piace piuttosto al Suo eterno nemico. Per questo termino come sempre invitando a pregare molto perché ci si converta ed abbia fine questo terribile e indicibile oltraggio.
Bellissima riflessione, grazie.
Certi paragoni tra la Grazia, che si veste con la sobria compostezza, e gli sbraghi, cui nostro malgrado siamo costretti ad assistere, andrebbero evitati. Gnocchi fa bene a non farne, ma com’è difficile trattenersene, almeno in cuor nostro. LJC da Gotham, il Pinguino.
Le espressioni figurative del cattolicesimo di oggi, con i cartelli con il cicciotto, il kitsch usato nel rappresentare il Signore e Sua Madre, gli orribili Rupnik, i murales negli oratori, i giornaletti parrocchiali, i presepi alternativi, le carnevalate a Messa, offrono uno spettacolo desolante. Ormai sembra che cattolico e volgare coincidano.