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Calendario tradizionale. Giovedì 2 giugno 2016 – per il Martirologio clicca qui
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Gentili amici,
manteniamo con fedeltà il nostro impegno nella preghiera di riparazione, in particolare perchè ogni giorno dobbiamo dolorosamente assistere alla blasfema negazione dell’unicità della Fede cattolica per la salvezza. Preghiamo anche perché il Signore voglia presto darci Santi Pastori che possano guidare i fedeli in questa epoca di smarrimento, di confusione e di empietà.
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Per la nostra formazione, leggiamo la prima parte della Scala claustralium di Guigo II Certosino. Il testo potrà anche essere scaricato in formato pdf cliccando qui; in tal modo potrete costituire e conservare la vostra biblioteca di letture di formazione.
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NOTIZIE E AVVISI
– Ogni domenica e festa di precetto a Bergamo, alle ore 9.00, nella chiesa della Madonna della Neve, viene celebrata la Santa Messa in rito antico. Per le altre celebrazioni del mese di giugno, clicca qui.
– Ogni domenica e festa di precetto a San Lorenzo, frazione di Pizzoli (AQ), alle ore 18.00, presso l’Abbazia di Sant’Equizio, viene celebrata la Santa Messa in rito antico.
– Ogni domenica e festa di precetto a Milano, nella chiesa di Santa Maria della Consolazione, in largo Cairoli, viene celebrata alle 10.00 la Santa Messa in Rito ambrosiano antico. Per informazioni:http://messatradizionalemilano.blogspot.it/
– Ogni domenica e festa di precetto, a Monza, viene celebrata la Santa Messa in rito antico alle 18.45, nella chiesa delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento, via Italia 37. Per informazioni, cliccare “La Messa di sempre – Monza” .
– Ogni primo venerdì del mese, al Priorato Madonna di Loreto, a Rimini-Spadarolo, alle ore 21, Adorazione Eucaristica notturna per riparare le offese e gli oltraggi al Sacro Cuore di Gesù.
– a Firenze, nell’Oratorio di S. Francesco Poverino, Santa Messa domenicale in rito antico alle ore 10 e tutti i venerdì, alle ore 18.30, Preghiera di Riparazione (S. Rosario, Litanie del Sacro Cuore, Atto di riparazione ed altre preci anche per impetrare l’aiuto divino alla Chiesa martire della ferocia islamica). Per informazioni: Dante Pastorelli, dante.pastorelli@virgilio.it, tel. 055.600804
– Ogni venerdì un gruppo di fedeli si ritrova per la preghiera a Cremona. Per informazioni: Mauro Faverzani – mauro.faverzani@gmail.com
– Ogni primo venerdì del mese viene celebrata la Santa Messa in rito antico alle 19.30 a Modena nella parrocchia dello Spirito Santo in via Fratelli Rosselli. Vi partecipano alcuni aderenti alla Lega di riparazione secondo le intenzioni proposte dalla nostra iniziativa. Ricordiamo che nella medesima chiesa viene celebrata ogni domenica alle 17 la S. Messa (dal 2007) e, a richiesta, anche gli altri sacramenti.
– Se altri sacerdoti fossero disposti a fare lo stesso nella zona in cui operano, ce lo facciano sapere e provvederemo a darne comunicazione.
– Ricordiamo che è possibile anche il semplice incontro tra laici che preghino secondo le intenzioni della Lega come già indicato. Anche in questo caso, sarebbe utile segnalarcelo in modo da poterne dare comunicazione. Rimane il fatto che lo strumento più efficace per la diffusione è il passaparola, che sarebbe meglio chiamare apostolato.
– Nei limiti delle nostre forze, siamo a disposizione per incontrare gli amici che intendono impegnarsi in questa impresa. Per questo, si faccia riferimento all’indirizzo di posta elettronica della Lega di riparazione, legariparazione@email.it , e troveremo il modo e il tempo per farlo.
Paolo Deotto – Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
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LETTURA DI FORMAZIONE
GUIGO II CERTOSINO
Scala claustralium (prima parte)
per scaricare il testo in formato pdf, clicca qui
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1- Il fratello Guigo all’amatissimo fratello suo Gervaso: trovi la sua gioia nel Signore. Sono in debito d’amore, fratello, verso di te, perché ti sei messo per primo ad amarmi; e sono obbligato a risponderti perché con la tua lettera mi hai prima di ogni altro invitato a scrivere. Mi sono così proposto di trasmetterti alcune idee che mi son venute alla mente sull’attività spirituale dei monaci. Sono cose che tu hai imparato attraverso l’esperienza meglio di quanto abbia fatto io nell’impegno intellettuale: dunque giudica e correggi queste mie riflessioni. È ben giusto che a te io offra le primizie freschissime della mia fatica, in modo che tu possa raccogliere i primi frutti di questa giovane piantagione che sono io: tu mi hai strappato con lodevole furto alla schiavitù del faraone e a un’individualistica ricerca di raffinatezze per collocarmi nella schiera ordinata di chi va in battaglia, innestando con sapienza nel buon olivo il ramo tagliato con arte dall’oleastro.
2- Un giorno, mentre ero occupato nel lavoro manuale, presi a riflettere sull’attività spirituale dell’uomo. Allora improvvisamente quattro gradini spirituali si offersero all’intima mia riflessione, e cioè la lettura, la meditazione, l’orazione e la contemplazione. Questa è la scala dei monaci, grazie alla quale essi sono elevati dalla terra al cielo. È una scala con pochi gradini, ma di un’altezza incommensurabile, indicibile. La sua estremità inferiore è fissata alla terra, la cima penetra nelle nubi e sonda i segreti del cielo. Quanto ai gradini, così come sono diversi nel nome e nel numero sono pure distinti nella successione e nel valore; e a colui che si pone a esaminare con attenzione le loro caratteristiche e il loro modo di agire, e l’efficacia di ciascuno di essi su di noi, e le rispettive differenze e i rapporti di subordinazione, ogni cosa parrà breve e facile, quale che sia la fatica e l’applicazione che avrà dedicato a tale opera: grande ne è infatti l’utilità e la dolcezza.
La lettura è dunque un accurato esame delle Scritture che muove da un impegno dello spirito. La meditazione è un’opera della mente che si applica a scavare nella verità più nascosta sotto la guida della propria ragione. L’orazione è un impegno amante del cuore in Dio allo scopo di estirpare il male e conseguire il bene. La contemplazione è come un innalzamento al di sopra di sé da parte dell’anima sospesa in Dio, che gusta le gioie della dolcezza eterna.
Descritti in tal modo i quattro gradini, resta da vedere la loro azione su di noi.
3- La lettura indaga sulla dolcezza della vita beata, la meditazione la trova, l’orazione la chiede, la contemplazione la assapora. La lettura si può dire che porti alla bocca cibo solido, la meditazione lo mastica e lo macina, l’orazione ne sente il sapore, la contemplazione è la dolcezza stessa che dona gioia e ricrea le forze. La lettura rimane sulla scorza, la meditazione penetra nel midollo, l’orazione si spinge alla richiesta suscitata dal desiderio, la contemplazione riposa nel godimento della dolcezza raggiunta. Perché ciò possa esser compreso più chiaramente prendiamo un esempio fra molti.
4- Alla lettura sento queste parole: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8). È un detto breve, ma ricolmo di dolcissimi significati differenti per il nutrimento dell’anima. È offerto a noi come un grappolo; l’anima lo vaglia con attenzione, poi dice fra sé: «Qui ci può essere qualcosa di buono: tornerò al mio cuore e vedrò se sono in grado di capire questa purezza e di trovarla per me: è una cosa preziosa e desiderabile se i suoi possessori sono detti beati, se le viene promessa la visione di Dio che è la vita eterna, se viene lodata da tante testimonianze della sacra Scrittura». E così, desiderando spiegare a se stessa compiutamente tutto ciò, comincia a masticare e a macinare questo grappolo, lo mette nel torchio, spinge insomma la ragione a indagare cosa sia e come si possa ottenere questa purezza tanto preziosa.
5- Comincia così un’accurata meditazione, che non rimane all’esterno, non si attarda alla superficie, ma rivolge il suo passo più in alto, penetra nel profondo, sonda ogni particolare. Riflette attentamente sul fatto che non è detto: «Beati i puri nel corpo», ma «i puri di cuore». Infatti non basta avere le mani innocenti dalle opere malvagie se non si è purificati nella mente dai pensieri perversi: lo conferma l’autorità del profeta, che dice: «Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro» (Sal 24,3-4). Riflette poi a quanto lo stesso profeta desideri questa purezza di cuore quando prega così: «Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Sal 51,12), e ancora: «Se nel mio cuore avessi cercato il male, il Signore non mi avrebbe ascoltato» (Sal 66,18). Pensa a quanto fosse sollecito il beato Giobbe nel custodire il suo cuore, se poteva dire: «Avevo stretto con gli occhi un patto di non fissare neppure una vergine» (Gb 31,1). Come si dominava quell’uomo santo, se chiudeva gli occhi per non vedere cose vane (Sal 119,37), per non rivolgere un’attenzione non dovuta a ciò che in seguito avrebbe potuto divenire un desiderio non voluto!
Dopo essersi soffermata su queste cose e su altre dello stesso genere a proposito della purezza di cuore, la meditazione comincia a pensare al premio, a quale gloria e quale allegrezza sarebbe la visione del volto desiderato di Dio, il volto più bello di tra i figli dell’uomo (Sal 45,3), non più disprezzato e rifiutato, non nell’aspetto ch’egli ha ricevuto da sua madre, ma rivestito di una veste d’immortalità, con la corona che gli pose suo Padre nel giorno della risurrezione e della gloria, nel giorno fatto dal Signore (cf. Sir 6,31 e Ct 3,11). Pensa che in questa visione è quella sazietà di cui dice il profeta: «Mi sazierò quando apparirà la tua gloria» (Sal 17,15). Vedi quanto mosto è scaturito da un piccolissimo grappolo, quale fuoco si è levato da una scintilla? Un così piccolo impasto, «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio», sull’incudine della meditazione si è esteso davvero molto!
E fin dove potrebbe ancora estendersi se vi si accostasse qualcuno che ne ha fatto l’esperienza? Perché sento che il pozzo è profondo (Gv 4,11) e che io, recluta inesperta, ho trovato appena di che attingere poche gocce. L’anima, infiammata da questi bagliori, stimolata da questi desideri, rotto ormai il vasetto di alabastro (Mc 14,3; Gv 12,3) comincia a presentire, non ancora con il gusto ma come con l’odorato la soavità dell’unguento: e da ciò deduce quanto sarebbe dolce aver esperienza di questa purezza la cui sola meditazione le è fonte, essa lo vede, di sì grande gioia.
Ma che fare? Essa arde dal desiderio di possedere e tuttavia non trova in se stessa come giungere a possedere; e quanto più ci pensa tanto più ne ha sete. Rende più intensa la meditazione, rende più intensa anche la sofferenza, perché non prova quella dolcezza che la meditazione gli mostra racchiusa nella purezza di cuore e che però non gli dona. Non appartiene infatti né a chi legge né a chi medita il provare questa dolcezza, se non è stato dato dall’alto (Gv 19,11). Leggere e meditare è sia dei buoni che dei malvagi, e gli stessi filosofi pagani hanno saputo trovare, sotto la guida della ragione, in che consiste l’essenza del vero bene. Ma poiché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria come a Dio, e anzi, troppo presumendo delle proprie forze dicevano: «Magnificheremo la nostra lingua, le nostre labbra sono in nostro potere» (Rm 1,21; Sal 12,5), non hanno meritato di afferrare ciò che pure erano riusciti a scorgere. Hanno vaneggiato nei loro ragionamenti ed è svanita la loro perizia (Rm 1,21; Sal 107,27), acquisita com’era nello studio delle discipline umane invece che nello Spirito di sapienza. Eppure è lui che solo dà la vera sapienza, cioè quella scienza saporosa che rallegra con un nutrimento di inestimabile prelibatezza l’anima in cui penetra; quella sapienza di cui è detto: «La sapienza non entra in un’anima che opera il male» (Sap 1,4). Essa procede unicamente da Dio: per cui così come il Signore concesse a molti il potere di battezzare ma tenne per sé il potere e l’autorità di rimettere i peccati nel battesimo, onde Giovanni solo di lui poté dire, ad esclusione di chiunque altro: «Egli è colui che battezza» (Gv 1,33), allo stesso modo noi possiamo dire di lui: «Egli è colui che dà sapore alla sapienza e rende saporosa per l’anima la scienza». La parola è data a tutti, la sapienza interiore a pochi, perché è il Signore che la distribuisce a chi vuole e quando vuole.
6- L’anima vede dunque che non può giungere con le sue forze alla dolcezza della conoscenza e dell’esperienza, oggetto del suo desiderio. Vede anzi che quanto più nel suo cuore s’innalza, Dio si fa distante (Sal 64,7-8). Allora si umilia e si rifugia nell’orazione. Così essa parla: «Signore che non ti lasci vedere se non dai cuori puri, io mi applico attraverso la lettura e la meditazione a capire cosa sia e come si possa ottenere la vera purezza di cuore, sì da giungere attraverso di essa a conoscerti foss’anche in misura minima. Ho cercato il tuo volto, Signore, il tuo volto, Signore, ho cercato; ho meditato a lungo nel mio cuore, e nella meditazione è divampato un gran fuoco (Sal 27,8; Sal 77,7; Sal 39,4) e un immenso desiderio di conoscerti più a fondo. Tu spezzi per me il pane della sacra Scrittura e nello spezzare del pane ti fai conoscere a me (Lc 24,35). Avviene allora che quanto più ti conosco, tanto più desidero conoscerti, non soltanto nella scorza della lettera, ma nella percezione sensibile dell’esperienza. Non lo chiedo a causa dei miei meriti, Signore, ma per la tua misericordia. Io sono un’anima indegna e peccatrice, lo confesso; ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni (Mt 15,27). Dammi dunque un pegno dell’eredità futura, Signore, dammi almeno una goccia di pioggia celeste che procuri un po’ di refrigerio alla mia sete, perché sono febbricitante d’amore» (cf. Lc 16,24; Ct 2,5).
7- Con queste e altre simili ardenti parole l’anima infiamma il desiderio; mostra così il potere della sua invocazione e con la malia di questi canti attira a sé lo Sposo. Il Signore, i cui occhi sono sui giusti e i cui orecchi non sono solo attenti alle loro preghiere, ma sono nelle loro preghiere (Sal 34,16; 1Pt 3,12), non attende che il discorso sia finito: spezza il fluire tranquillo dell’orazione e sollecito irrompe, sollecito viene incontro all’anima desiderante, tutto cosparso di quella rugiada che è la dolcezza del cielo, profumato di delicatissimi unguenti. Viene a ricreare l’anima affaticata, a rianimare quella affamata, a saziare quella inaridita; viene a farle dimenticare le cose della terra, mirabilmente vivificandola mediante la mortificazione nell’oblio di se stessa e rendendola sobria mediante l’ebbrezza. Avviene che in certi atti carnali l’anima sia vinta dalla brama della carne fino a perdere del tutto l’uso della ragione, per cui l’uomo diviene quasi esclusivamente carnale; nello stesso modo ma in un movimento contrario, in questa altissima contemplazione i moti carnali vengono dall’anima superati e assorbiti al punto che in nulla la carne contraddice più allo spirito, per cui l’uomo diviene quasi esclusivamente spirituale.
8- Ma come potremo riconoscere, Signore, quando fai queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta (Mt 24,3)? I messaggeri, i testimoni di questa consolazione e di questa letizia sono forse i sospiri e le lacrime? Se è così, è una ben curiosa contraddizione in termini, e straordinario ne è il significato. Come possono accordarsi la consolazione e i sospiri, la letizia e le lacrime? Ma forse non è neppur giusto parlare di lacrime: è piuttosto un’incontenibile sovrabbondanza di rugiada interiore, effusa dall’alto quasi in segno di abluzione interiore e per la purificazione dell’uomo esteriore. Nel battesimo dei fanciulli con l’abluzione esteriore viene figurata e significata l’abluzione dell’uomo interiore; qui, nello stesso modo ma in un movimento contrario, da un’abluzione interiore deve procedere la purificazione esteriore.
Veramente portatrici di vita quelle lacrime con cui vengono purificate le macchie interiori, con cui vengono spenti gli incendi dei peccati! Beati voi che in tal modo piangete, perché riderete (Lc 6,21; Mt 5,5). In queste lacrime, o anima, riconosci il tuo Sposo, abbraccia l’oggetto del tuo desiderio, inebriati al torrente delle delizie, succhia miele e latte al seno delle consolazioni (Sal 36,9; Is 66,11). Sono questi i meravigliosi piccoli doni e i conforti che il tuo Sposo ti porge e ti affida: i gemiti e le lacrime. Egli ti offre una bevanda di lacrime in abbondanza: queste lacrime siano il tuo pane giorno e notte, pane che sostiene il cuore dell’uomo, più dolce del miele e di un favo stillante (Sal 80,6; Sal 42,4; Sal 104,15; Sal 19,11). Signore Gesù, se tanto dolci sono le lacrime destate dalla memoria e dal desiderio di te, quanto dolce sarà la gioia racchiusa nella chiara visione di te? Se tanto dolce è piangere per te, quanto dolce sarà gioire di te?
Ma perché mai divulghiamo davanti a tutti dei colloqui tanto segreti? Perché cerchiamo di esprimere con banali parole degli slanci inenarrabili? Sono cose troppo grandi, che non può capire chi non le ha sperimentate: le leggerà più chiaramente nel libro dell’esperienza ove la stessa unzione insegnerà (1Gv 2,27). Altrimenti la lettera esteriore non è di alcun profitto per chi legge: la lettura della lettera esteriore risulta abbastanza insipida se non interviene una spiegazione a rivelarne il senso interiore a partire dal cuore.
9- Anima mia, troppo abbiamo prolungato questo discorso. Era bello per noi restare qui, e contemplare assieme a Pietro e Giovanni la gloria dello Sposo, e rimanere a lungo con lui se qui avesse voluto fare non due, non tre tende (Mt 17,4 parr.), ma una sola, in cui abitare assieme e assieme rallegrarci. Ecco invece che lo Sposo dice: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora (Gen 32,27), hai ormai ricevuto la luce della grazia, la visita che desideravi». E così, dopo aver dato la benedizione, ferito l’articolazione del femore e mutato il nome da Giacobbe in Israele, si allontana per un certo tempo lo Sposo a lungo desiderato, subito sfuggito. Si sottrae quanto alla visita di cui si è detto, quanto alla dolcezza della contemplazione; tuttavia rimane presente quanto alla sua volontà di guidarci, quanto alla grazia, quanto all’unione con noi.