Alfie Evans è stato ucciso perché ci rassegniamo alla idea che la vita non sia più un bene indisponibile. E per comprenderlo basta guardare alla realtà dei fatti nella loro nuda e incontrovertibile evidenza: un essere umano colpevole di nulla e incapace di difendersi, viene portato alla morte scientemente e deliberatamente, su autorizzazione di un giudice. Dove il potere viola il divieto di uccidere che vale per tutti in tempo di pace, impedendo qualsiasi difesa della vittima.
Di certo la vicenda ha suscitato una sincera, seria e diffusa commozione, ma altrettanto certamente essa non ha impensierito né gli artefici di questo nuovo sacrificio umano, né quanti lo hanno propiziato, officiato e avallato. Perché le emozioni passano veloci travolte da sempre nuovi eventi, e tanto più esse sono forti, tanto più in fretta si cerca istintivamente di scaricarne il peso. Ma il fatto, al di là della pietà e dell’orrore, dopo altri analoghi non meno efferati, appare appunto come la sequenza decisiva del più poderoso attacco mai sferrato a freddo contro quel principio di indisponibilità della vita altrui, sul quale si regge ogni convivenza umana, e che ora, in mezzo al nauseante sbandieramento quotidiano dei diritti e della libertà, viene travolto impunemente. Dunque, si tratta di una vicenda che ci riguarda tutti da vicino e della quale non possiamo liberarci a buon mercato. Tutti siamo chiamati a prendere coscienza del suo significato e della sua portata epocale, mettendo a nudo il meccanismo perverso che l’ha guidata, con la piena consapevolezza di quanto grande sia la posta in gioco. Prima che l’assuefazione, la capacità di adattamento e le false rappresentazioni oscurino la realtà nella nebulosa in cui tutto diventa plausibile e possibile.
Grazie al principio della intangibilità della vita umana nel suo valore assoluto e insondabile, per cui viene punita l’offesa alla vita altrui e scoraggiata l’offesa alla propria, è stata cancellata in tanta parte del mondo civilizzato anche la pena capitale.
Ma nella modernità in cui tutto deve cadere sotto il controllo e il potere dell’uomo, che perdendo di vista il limite naturale viene attratto nel mito della propria onnipotenza, la preda ultima è diventata proprio la vita umana. Il suo impossessamento è cominciato con la sostituzione di logiche costruite ad hoc, capaci di intaccare quel canone etico fondamentale. Già con il famigerato piano eugenetico dell’Aktion T4, con cui furono soppresse almeno settantamila persone, si era fatto ricorso alla ragione per così dire “ideale” della indegnità di vite qualitativamente scadenti. Un programma, si è detto, accordato con le premesse ideologiche del regime politico che l’aveva prodotto. Però sappiamo che programmi eugenetici sostanzialmente analoghi sono stati ideati e messi in pratica, anche se in forme meno appariscenti, prima e dopo il secondo conflitto mondiale, da quelle osannate democrazie nordiche alle quali guardiamo con sospirosa perenne ammirazione. Per non parlare degli esiti eugenetici di quanto entra negli spazi purificati delle nostre aree democratiche, nelle varie forme surrettizie delle varie diagnosi gravidiche o preimpianto e via discorrendo.
Dunque, anche l’eugenetica non è affatto l’espressione di un sistema politico, ma del modo in cui l’uomo interpreta il proprio essere nel mondo e da cui deriva il dilagante programma eutanasico che nella vicenda di Alfie Evans ha compiuto il passo decisivo.
Anche questo programma ostenta nel prefisso greco una finalità di “bene” e una intenzione filantropica. Tuttavia, mentre l’intervento eugenetico mira al miglioramento oggettivo della specie umana, l’eutanasia infligge la buona morte per il bene della vittima, secondo una filantropia personalizzata. Già Francis Bacon aveva dato forma filosofica a questa idea soccorrevole.
Tuttavia resta il fatto che il procurare la morte a qualcuno, al là di ogni buona intenzione, in qualunque sistema giuridico sia punito come omicidio. Bisogna aggirare l’ostacolo aggredendo il principio di indisponibilità in via indiretta.
Si comincia a incrinarne la portata considerando che, di fatto, ognuno può disporre della propria vita e che dunque essa non è in realtà un bene assolutamente indisponibile. Ma si può fare un passo avanti trasformando il potere di fatto sulla propria esistenza in un vero e proprio diritto in virtù di quel principio di autodeterminazione che domina un intero orizzonte filosofico e rende anche la vita umana disponibile. Se il suicidio diventa un diritto quando la vita appare indegna di essere vissuta, anche il terzo che collabora al suicidio altrui non può più essere punito perché il principio di autodeterminazione rende la vita umana disponibile.
Ad elevare a diritto la rinuncia alla vita, è intervenuta anche la possibilità garantita di rinunciare alle cure mediche se esse, in un uso esasperato della tecnica diventano gratuitamente afflittive e riducono l’individuo a mero oggetto di ricerca compromettendo la sua dignità e la sua libertà. Se poi il soggetto è incapace di autodeterminarsi, entra in scena chi ne ha la cura come rappresentante. La sua figura gioca adesso un ruolo decisivo perché qualora gli venga riconosciuto il potere di interpretare i desideri veri o presunti dell’assistito, si profila la possibilità di una sorta di suicidio per interposta persona. Ci sono tutti gli ingredienti necessari per attaccare il valore assoluto della vita.
La disponibilità della propria vita è la premessa fondamentale che serve per arrivare a disporre della vita altrui.
Ecco dunque che nel 2005 i giudici della Florida, dove la pena di morte è prevista per i delitti più efferati, possono superare in modo creativo il divieto di uccidere, autorizzando la sospensione della alimentazione e idratazione con mezzi artificiali da cui è tenuta in vita Teresa Schindler Schiavo, che muore per fame e per sete dopo quindici giorni di oscena agonia. Al marito che ha ottenuto dalla Corte questo sospirato risultato, è stato sufficiente riferire che in passato la ragazza aveva espresso l’idea di non accettare una vita menomata, perché indegna di essere vissuta. La orribile conclusione di questa grottesca vicenda giudiziaria deve essere sembrato a tanti come un paradosso della storia, uno di quegli arretramenti di civiltà da archiviare perché destinati a rimanere isolati. Come lo squartamento dell’attentatore di Amiens.
Invece l’esempio viene seguito quattro anni dopo in Italia, con qualche variante di non poco conto. La vittima designata per compassione paterna è Eluana Englaro. La Cassazione chiamata ad autorizzarne la uccisione non ha neppure i poteri “creativi” della corte americana. Anzi, ha una legge penale che blinda ogni spiraglio di intervento eutanasico. Così la Corte impiega sessanta pagine per inventarsi il modo di stravolgere la chiara lettera della legge, e autorizza l’eliminazione della donna sul presupposto che la morte rispondesse alla idea da lei espressa in passato sulla dignità della vita. Una dignità salvata dalla terribile agonia non richiesta e dalla morte per fame e per sete. Quella che anche il conte Ugolino aveva cercato a modo suo di evitarsi.
Ma ad appannare la enormità di questo evento, intervengono nella percezione delle masse mediaticamente assistite i due elementi fondamentali: il primo è quello che si può definire “il valore ontologico della spina”. L’aiuto vitale portato da un qualunque artificio meccanico, genericamente dalla fatidica “spina”, foss’anche solo il cibo e l’acqua somministrati artificialmente, come nel caso di Terry Schiavo e di Eluana Englaro, finisce per rendere artificiale il soggetto che se ne giova.
Si crea l’immagine simbolica di chi, vivendo perché “attaccato alla spina”, diventa esso stesso un prodotto robotico ormai privo di qualunque elemento spirituale. La mancanza di questo elemento ne fa una bambola meccanica, dipendente dal suo manovratore.
Questo contribuisce a sollevare non poco le coscienze e a spostare l’attenzione sullo squilibrio tra costi e ricavi. Per il quivis de populo il proprio simile ridotto a propaggine di un congegno elettrico è già una cosa senza significato ma dispendiosa per la collettività, e a buon diritto eliminabile.
A togliere ogni residuo dubbio sulla bontà di tale soluzione, c’è poi la scienza che, pur quando non ne ha alcuna certezza, si affretta a proclamare la irreversibilità dello stato di incoscienza e quindi anche la indegnità irreversibile di quella vita. Essa si fa largo nello spazio etico e brandendo certezze che non ha, spinge la vicenda umana nell’orizzonte del destino. Proprio nel tempo in cui si è appreso che anche le scienze esatte tanto esatte non sono, le false certezze della scienza medica acquistano la autorità persuasiva degli antichi vaticini pagani.
Fin qui le vie sofisticate per le quali le forze eutanasiche cercano di aggirare il divieto di uccidere.
Ma ecco che nel caso delle piccole vittime britanniche le cose sono state di molto semplificate. Si ha a che fare con bambini piccolissimi bisognosi di strumenti tecnici per sopravvivere, ma che nulla sanno della dignità della propria esistenza. Ma la cosificazione dell’individuo attraverso il valore ontologico della “spina” ha fatto già accorciare la strada che porta all’abbattimento del principio di intangibilità della vita umana in nome della utilità. Il compito di giudicarne il valore se lo assume lo Stato attraverso i propri rappresentanti in toga e parrucca. Che soppesano le piccole vite come si pensava un tempo che fossero pesate le anime alle soglie dell’aldilà. E il rappresentante dello Stato hobbesiano, pesata la vita del piccolo troppo bisognoso di cure, la dichiara inutile per lui e per la collettività, troppo costosa per tutti. Dunque è giusto troncarla. Per i giudici di sua Maestà come per Trasimaco, il giusto è l’utile del potere.
l’Utile è però un concetto versatile. Di certo si identifica con ciò che comporta un vantaggio. Ma non dice ancora nulla sulla natura e sul valore del vantaggio. Il suo valore dipende dal contenuto del vantaggio e dalla sfera di individui che ne beneficiano. Al potere sta a cuore la propria utilità e questa nel caso di Alfie coincide con la morte del piccolo suddito, che da vivo sarebbe stato inutile perché improduttivo e costoso. Ma, siccome lo Stato sensibile al bene del suddito si è accorto con soddisfazione che il proprio utile in termini di risparmio energetico coincideva con il vantaggio della vittima di non essere più attaccato alla famosa spina disumanizzante, gliela ha staccata. Cos,ì l’utile dello Stato ha coinciso con il bene della vittima, anche se il beneficiario, da morto, non è poi stato in grado di apprezzare tale beneficio come non sono state in grado di valutare la propria guadagnata dignità le due infelici uccise in America e in Italia.
Con la utilità della vita altrui valutata dallo Stato inaudita altera parte, cioè all’insaputa del diretto interessato, si torna sotto questo profilo allo schema di Aktion T4, anche al di fuori del piano eugenetico. E si apre il vasto spazio in cui oggi nessun incapace può essere al sicuro. E domani, di progresso in progresso, non lo sarà più neppure chi, pur avendo la piena consapevolezza del valore della propria esistenza, sarà considerato senza appello inutile o nocivo dal proprio democratico rappresentante. E ci si arriverà presto, di sofisma in sofisma, attraverso l’esercizio di una razionalità che da tempo non è più al servizio dell’uomo.
È lezione antichissima che la ragione, specie se vestita dei panni della politica, non possa reggersi solo su stessa senza diventare uno strumento di oppressione e di arbitrio. Che le leggi umane debbano appoggiarsi a quelle eterne per dare frutti buoni e togliere ferinità alla vita dell’uomo, che soltanto una ragione superiore, e principi intoccabili, sono necessari al governo della città, facendo da faro alla travagliata navigazione individuale e collettiva. Infatti quando la dea Ragione è stata innalzata sull’altare con la pretesa di costruire il mondo nuovo sulla libertà anche dalle leggi della natura, ha prodotto la mattanza incontrollata che non risparmiò né i vivi né i morti,
Da allora quella dea Ragione ha continuato a marciare libera appoggiando ogni nuova perversione sulle idee, nella estetica e nelle geometrie dei ragionamenti persuasivi, costruiti all’ombra di false premesse. Così, anche per il più ambizioso e luciferino degli obiettivi, che è quello di dominare sulla vita e sulla morte, ci si serve di ragionamenti fasulli, di formule truffaldine orecchiabili che, ripetute all’infinito, confondono anche il buon senso e oscurano l’evidenza. Pochi anni fa Minerva e Giubilini dal loro pensatoio australiano, dopo studio approfondito, conclusero che le stesse ragioni per le quali è giustificato l’aborto possono giustificare la soppressione di chi è già nato. Insomma, nasce l’omicidio in via logica o analogica, che non è novità da sottovalutare.
Che le parole servano a creare la realtà è cosa non nuova. Anche in passato il deserto, come sappiamo, è stato chiamato pace. Ma il mondo contemporaneo ha inventato le formule che servono a fornire il supporto razionale che deve far accettare l’inaccettabile, e forgiano i cervelli disattivando sul nascere anche ogni opposizione, mentre viene lusingata la saccenza dei sapienti e la pruderie di emancipazione culturale delle masse semialfabetizzate.
Il repertorio delle formule “creative” che addolciscono il reale è ben noto, al servizio delle pratiche abortive ed eugenetiche, della fabbricazione su committenza degli esseri umani, sulla creazione delle “famiglie omogenitoriali”, sui “diritti sessuali” dei bambini alias pedofilia giuridicamente assistita, e via discorrendo.
Un po’ come le ruote cui stavano appesi i condannati che, abbellite da ogni sorta di ornamento, erano sparse in bella vista nelle campagne del nord Europa, arricchendo l’estetica del paesaggio, secondo quanto annotava con signorile distacco il cardinale Luigi d’Aragona nel proprio diario di viaggio.
In questo quadro è apparsa in tutta la sua evidenza la latitanza o il balbettio della Chiesa che, depositaria del dogma della creazione e del diritto naturale divino, avrebbe il più poderoso antidoto ideale contro il progredire delle idee eutanasiche. Essa invece, dopo essersi liberata dallo ingombro della dottrina cristiana, sostituita forse con una idea filosofica di Dio priva da ogni implicazione normativa, ecco che si è adeguata con ammirevole solerzia al punto di vista del potere politico, al di qua e al di là della Manica, affinché la vicenda terrena del piccolo di Liverpool arrivasse al programmato compimento.
Sappiamo che Cristo era venuto a salvarci da noi stessi e aveva lasciato la chiesa a custodire la via della salvezza. Che era programma di vita e patrimonio di pensiero. Ma in un tempo di rapidi cambiamenti sembra che essa, da madre accorta, si sia trasformata, tra trionfi e cadute, nella bambinaia distratta che alla fine, messa da parte qualunque remora, se la spassa col soldato di passaggio. E di questo forse dovremo farci una ragione.
In ogni caso possiamo concludere che, se non esistono vite inutili, è innegabile che esistano, purtroppo, vite dannose.
5 commenti su “Le vite inutili e le vite dannose. Il tradimento della ragione e il tradimento della religione – di Patrizia Fermani”
‘Ad elevare a diritto la rinuncia alla vita, è intervenuta anche la possibilità garantita di rinunciare alle cure mediche se esse, in un uso esasperato della tecnica diventano gratuitamente afflittive e riducono l’individuo a mero oggetto di ricerca compromettendo la sua dignità e la sua libertà’
Questa frase giustifica le cure inutili su malati terminali o la interpreto male io?
Perché da questa frase pare che diventare una cavia per la scienza sia meritevole.
Più che di ‘latitanza o balbettio della Chiesa’ penso si tratti di complicità diretta, anche se dissimulata
Sottoscrivo il commento di Fabio.
Carissima Dottoressa, d’accordo su tutto. Le sue considerazioni collimano con la testimonianza resa all’epoca da Oriana Fallaci a proposito di Terry Schiavo. L’ho cercata e la riporto : “… A pari merito ci metto i medici, anzi i becchini travestiti da medici che ai magistrati hanno fornito gli elementi necessari ad emettere quella sentenza di morte. Che hanno definito Terri un cervello spento, un corpo senz’anima, un essere in stato vegetativo irreversibile… Oggigiorno Ippocrate non va più di moda e nella maggior parte dei casi la medicina è un business, un cinico strumento per arraffare soldi o tentare di ottenere lo screditato premio Nobel”. Ieri come oggi, come Eluana, Alfie, Charlie e tutti i bambini assassinati prima della nascita. Ha detto bene : “esistono vite dannose”, perché esistono scelte senza ritorno, operate da chi disprezza la vita e agisce di conseguenza. Ma non è sottoposto a processo. No. Ha mano libera anche nelle sedi istituzionali e riceve ascolto in ambito ecclesiastico. E tutto viene riassunto in queste scarne e agghiaccianti parole : “diritto di…
scelta”. Anche oggi in Irlanda ha vinto la morte. Ma nostro Signore è Dio dei vivi, non dei morti.