Nella splendida Sala della Rocca dei Papi a Montefiascone (VT) si è tenuto lo scorso 7 novembre un importante convegno: “La Dottrina sociale della Chiesa e San Tommaso d’Aquino”, organizzato congiuntamente e in unità di intenti dall’Osservatorio Cardinale Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa, dalla SITA (Società Internazionale San Tommaso d’Aquino) e dall’IVE (Istituto del Verbo Incarnato). Nell’esplicazione del sottotitolo del significativo evento culturale: “Le ragioni del bene comune” si sono succeduti i qualificati relatori, moderati nella sessione mattutina da Padre Ernesto Caparros, Superiore Provinciale dell’IVE.
di Fabio Trevisan
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Il Dott. Stefano Fontana ha analizzato la nozione di “bene comune” nei documenti del Magistero sociale, denunciando innanzitutto quanto la stessa nozione di bene comune sia stata sempre più impoverita, facendo riferimento alle controverse e legalizzate unioni civili in contrapposizione alla legge morale naturale. Partendo dalla disamina di alcune encicliche di Leone XIII, Fontana ha ravvisato come nel magistero leonino la nozione di “bene comune” non è stata mai rigorosamente definita, in quanto essa precedeva e nutriva la vita, essendo un ordine e una realtà vera e strutturata che fondava la società cristiana. Pur riconoscendo che in Leone XIII il massimo bene comune corrispondesse alla religione cristiana e che quindi, come enunciato nella Diuturnum illud, andasse tutelata la religione e l’ordine ontologico e quindi Dio quale suprema fonte dell’autorità, stava nella secolarizzazione e nell’estromissione di Dio dalla vita pubblica il nocciolo della questione. In Leone XIII, ha ribadito Stefano Fontana, il concetto di “bene comune” ha assunto valenza metafisica e finalistica, nel quale la dignità trascendente della persona è ordinata al bene. Al contrario, oggi, c’è stata un’inversione del rapporto e la centralità è stata posta sulla persona, alterando così il giusto equilibrio tra natura e sopranatura, dovuto anche in parte all’influsso del Personalismo, Maritain in particolare.
Esaminando ancora i documenti del Magistero, Fontana si è soffermato sul n° 74 della Gaudium et spes, verificandone una certa ambiguità nella definizione di “bene comune” e del concetto di persona (“Principio, soggetto e fine è la persona umana”). C’era quindi la necessità, secondo Fontana, di ricomporre un quadro di riferimento, di comprendere il contesto filosofico nel quale la nozione di bene comune si inseriva. Infine nella Caritas in veritate di Benedetto XVI, 7° paragrafo, si sottolineava l’importanza del Vangelo per lo sviluppo integrale della persona e quindi dell’importanza di Dio nella vita dell’uomo, senza il quale lo stesso uomo non sapeva più chi fosse e dove potesse andare. In conclusione, Fontana accentuava quanto il concetto di “bene comune” fosse di natura qualitativa anziché quantitativa, rivelandone così una portata e un significato sociale, politico, morale, metafisico e teologico.
Il Prof. Giovanni Turco, nella seconda conferenza, ha affrontato il tema della sostanzialità, analogicità e verticalità del bene comune attraverso lo sviluppo di tre punti fondamentali: 1°) Che cos’è il “bene comune” in questione, 2°) l’ontologia del bene comune, 3°) la teleologia del bene comune. Partendo dalla concezione essenziale che il “bene comune” riguarda l’essere, Turco ha richiamato una potente e suggestiva frase di San Tommaso d’Aquino (“Canto dell’essere”). Date due premesse indispensabili, la prima delle quali riguardava l’ineludibilità del realismo metafisico, pena il fenomenismo che conduce al nichilismo e la seconda, che poneva l’affrancamento dall’individualismo e dal costruttivismo, il Prof. Turco ha evidenziato la semantizzazione e l’assimilazione a nozioni diverse di beni comuni attraverso la disamina di alcuni cultori di etica sociale. Semantizzazioni che hanno portato ad equivoci sul concetto di “bene comune” assimilandolo o confondendolo a “bene pubblico”, o a “benessere pubblico” fino a rilevarne, negli autori del XX secolo, una de-sostanzializzazione e funzionalizzazione del bene comune, anziché intendendolo come bene di carattere ontologico.
Il Prof. Turco ha così posto alcuni interrogativi essenziali: “Qual è la sua realtà, consistenza? Che cos’è per se stesso? Cos’è il bene e cos’è il comune?”. Nell’affermazione che il bene è ciò che è desiderabile, sostanziale, analogico (partecipazione in Dio) e verticale (metafisico, trascendente e assiologico), Turco ha potuto così evidenziare il suo carattere ontologico e teleologico. Il concetto di “comune”, ha rilevato approfonditamente il Prof. Turco, è ciò che è essenziale e ha un carattere causale (ad esempio la famiglia che precede la nascita del figlio). Riguardo la teleologia del bene comune, ha concluso Turco, il “bene comune” è il fine in quanto è comune e Dio è il bene comune dell’universo. Citando San Tommaso d’Aquino: “E’ impossibile che uno sia buono se non è ordinato al bene comune” e il suo De regimine principum, il Prof. Turco ha ribadito che il fine di ognuno e il fine della comunità sono un unico fine.
Nella terza relazione mattutina tenuta dal Prof. Danilo Castellano si è parlato delle contraffazioni del bene comune attraverso 4 punti: 1°) la distinzione tra “bene” e “beni”, 2°) i tre modi di intendere il “bene comune”, 3°) la critica che presuppone una visione positiva del bene comune, 4°) la problematizzazione dell’esperienza. Rilevando nel primo punto che tutte le cose sono “beni”, il Prof. Castellano ha rimarcato l’importanza di beni fondamentali (come il sole o l’aria) da rispettare e da godere in quanto di tutti e di nessuno. Riprendendo nel secondo punto la semantizzazione di cui aveva accennato nella relazione precedente il Prof. Turco, ha sottolineato come sia andato pian piano scomparendo l’aggettivo “comune”. Uno dei modi di intendere il bene comune, ha osservato Castellano, nella cultura politica moderna forte è che lo Stato è la fonte del diritto e che l’ordinamento giuridico raccoglierebbe la volontà dello Stato. In questo senso si potrebbe erroneamente supporre che lo Stato non sbagli mai, affermando una “nuova laicità” in una dottrina del “repubblicanesimo”, sulla scorta del pensiero di Rousseau e di Kant. Nella realtà, ha evidenziato Castellano, lo Stato moderno nasce secolarizzato, senza Dio.
Un altro modo sbagliato di intendere il bene comune, ha continuato approfonditamente Castellano, è quello della cosiddetta “modernità debole”, segnata dall’ideologia del “bene privato” dell’individuo, in cui ogni opzione individuale (dall’eutanasia alla pornografia sino alla clamorosa richiesta di risarcimento del danno da esistenza) è consentita. Questi due errati modi di intendere il bene comune, ha ribadito il Prof. Castellano, derivano dalla gnosi protestante luterana e dall’anti-realismo, ossia della chiusura dell’intelligenza al “senso comune”. Castellano ha affermato ancora che non si possono scavalcare le regole teoretiche così come non può stare in piedi una pastorale senza una dottrina. Riferendosi poi al Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 ha richiamato inoltre come il rispetto della persona vada di pari passo con il mantenimento di un ordine giusto. Il bene comune, ha concluso il Prof. Castellano, è il fine comune.
Nella sessione pomeridiana, moderata da Padre Andrés Bonello, Rettore del Seminario San Vitaliano dell’IVE, si è presentata la prima relazione tenuta da Padre Giorgio Carbone OP, dal titolo: “Bene comune e bioetica”. Dopo aver esordito su alcune considerazioni essenziali riguardo il concetto di bene, in quanto può essere alfine descritto, ma mai definito, il padre dell’ordine di S.Domenico ha sviluppato la nozione di analogato, ricordando l’analogato principale, che è Dio e gli analogati secondari o subordinati, facendo presente che la bioetica costituisce una branca dell’etica. Padre Carbone ha sottolineato come il principio guida della bioetica è quello dell’indisponibilità della vita e ha citato un’importante frase espressa dall’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) del 1948: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale…” rilevandone la mancanza della dimensione dello spirito. Ha quindi passato in rassegna alcune espressioni di voga volutamente ambigue come “salute riproduttiva”, “libertà di coscienza”, verificandone l’esatta portata, riportando all’esatta comprensione la “libertà di coscienza” del medico o degli altri operatori sanitari di agire sempre secondo scienza e coscienza.
Purtroppo, ha rimarcato Padre Carbone, è cambiata l’identità del medico e anche del paziente, in quanto si è affermata una “medicina dei desideri”, in cui il medico da professionista in scienza e coscienza è passato ad essere concepito come solo prestatore d’opera, che deve garantire tecnicamente il risultato. Amaramente ha constatato le condizioni minime di sopravvivenza della bioetica in un quadro di riferimento in cui ciò che conta è la percezione soggettiva momentanea che non conosce regole, limiti di azione e pretese (“fluidità di genere”).
Padre Arturo Ruiz Freites ha successivamente analizzato il difficile e delicato rapporto tra il bene comune e la libertà religiosa, sottolineando fin dall’inizio che è l’Incarnazione salvifica di Nostro Signore Gesù Cristo che cambia tutta la realtà (“Dio tutto muove all’unione con Lui”). Il Padre dell’IVE ha acutamente distinto tra potenze, virtù e atti ed ha parlato dei livelli di libertà e di dignità dell’uomo, delle coazioni e delle coercizioni (anche legittime). Ha quindi esaminato la dimensione morale del bene comune, ponendo in rilevo che occorre comunque sempre far bene ed evitare il male, in quanto non vi può essere cooperazione né intenzionale né formale al male oggettivo. Il Prof. Ruiz ha anche sottolineato come l’uomo non possa perseverare nel bene senza l’aiuto della grazia, rimarcando i limiti tra i beni comuni analogici delle diverse società civili e quelli secondo un ordinamento di morale sopranaturale (la “Cristianità”) .
Infine Don Samuele Cecotti ha analizzato il rapporto tra bene comune e questione fiscale e le ragioni per corrispondere o meno alla pretesa fiscale. Nella concezione classica o pre-moderna, ha esordito Don Cecotti, si sono riconosciute cinque ineludibili condizioni per affrontare correttamente il problema: 1°) la legittimità della potestas, 2°) l’esigenza dell’equa proporzione, 3°) la giustizia distributiva, 4°) le modalità di intervento, 5°) la conformità della giustizia con la causa. Don Cecotti ha rilevato come la fiscalità sia stata posta, nella modernità, nel diritto positivo e come lo Stato l’abbia ridotta al solo piano della legalità, alla conformità alla legge. Don Cecotti ha esaminato le motivazioni e la natura della pretesa fiscale, osservando che lo Stato non può avere un diritto sul bene ma piuttosto quello di concorrere al fine, cioè la pretesa fiscale deve essere finalizzata al bene comune. Il bene comune però deve richiamare essenzialmente il concetto di natura e quindi non può mai essere concepito il “bene comune” come “bene privato dello Stato”, in quanto il diritto dello Stato all’imposizione fiscale non è assoluto, ma è relativo ad un ordine morale oggettivo.
Plaudendo alla lodevole iniziativa del convegno e sottolineando i presupposti comuni e condivisi, S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi ha auspicato, nelle conclusioni, di dare continuità al progetto, anche nella consapevolezza che il “bene” non stia vivendo affatto una stagione facile. La svolta antropologica della modernità, ossia un’umanità che prescinde da Dio, ha rimarcato il Vescovo di Trieste, ha posto in rilievo quanto l’uomo sganciato da Dio non possa trovare drammaticamente le risposte dentro di sé. Confermando che solo in Dio l’uomo ritrovi il bene, il presule ha approfondito quanto la questione sia sostanzialmente teologica prima che morale (“Con Dio o senza Dio tutto cambia”). Mons. Crepaldi ha affermato, anche con accenti accorati, l’importanza del custodire e coltivare il bene quale mission e significato del nostro apostolato e per queste motivazioni ha raccomandato di far crescere il piccolo seme gettato in questo convegno. Ha infine ricordato quanto sia necessario oggi coltivare una “spiritualità del bene” con un giusto atteggiamento, in silenzio, in ginocchio, in contemplazione. Auspicando sempre una linea responsabile e culturale comune di alto profilo, Mons. Crepaldi ha rammentato come l’essere conforme al bene significhi “fare il bene” e “farlo bene”.
Al convegno si è riscontrata un’attenta e numerosa partecipazione. Un ringraziamento doveroso va fatto infine agli organizzatori ed in particolar modo ai religiosi e alle suore dell’IVE, che oltre ad aver allestito il banchetto del buffet hanno allietato con il coro la loro devozione filiale mariana con una bella canzone dedicata alla Madonna.
6 commenti su “Le ragioni del bene comune – di Fabio Trevisan”
Bellissima sintesi. Tutti temi che andrebbero spiegati in dettaglio. Mi ricordo di un mio professore di storia delle dottrine politiche che non si stancava MAI di farci capire l’indissolubile binomio stato moderno/ateismo……
Il concetto di bene comune si è così snaturato dall’essere identificato con qualsiasi sciocchezza o moda recepita (cioè legalizzata) dall’ordinamento giuridico a prescindere dalla morale (sganciata rigorosamente dalla politica – Machiavelli docet).
Sulla questione tributaria: la teoria redistributiva del reddito non viene più accreditata, poichè è vanificata dall’impossibilità degli Stati di battere moneta. Le imposte confluiscono nelle banche o nella macchina politica. A tanto ci siamo ridotti. In parole povere la UE è un leviatano totalmente antagonista ai concetti esposti in questo articolo.
“Ritoccherei” l’ottima presentazione del suo professore usando il termine “ANTI-teismo”, cara Maria Teresa.
Ciò che importa alla mentalità “contemporanea”, dal giorno in cui una prostituta fu messa sull’altare di Notre Dame, è “processare Dio e il Suo gregge”… non vivere ignorandoLo. Il capo d’accusa fondamentale è: “Come Ti sei permesso di farTi Uomo?”
Come ho già detto, quando voglio davvero offendere qualcuno gli dico. “EUROPEO! EUROPEO! EUROPEO!!!”
…oppure “MODERATO! MODERATO! MODERATO!!!”
Mi piace tantissimo: EUROPEO!
Ma la persona interessata capisce? No, altrimenti non sarebbe EUROPEO!
Ah,ah,ah.
Fondamentale, l’osservazione che allo stato è stata tota la facoltà di battere moneta sovrana, ergo di privare i cittadini che attraverso la convenzione sociale, di essere i padroni della propria moneta.
Infatti chi conferisce valore al mezzo monetario è la collettività che accettando la moneta in cambio di beni (perchè prevede a sua volta di scambiarla) in cambio di altri beni, Le conferisce valore.
Auriti docet!
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