La memoria veritiera
di Giovanni Fossati
Le severe e ossequiose leggi intorno alla sacralità della Resistenza assegnano agli eredi – comunisti e paracomunisti – dei partigiani il diritto di definire il giusto e l’ingiusto, il vero e il falso, il bianco e il nero del passato, del presente e del futuro.
Di conseguenza la storiografia al potere si trasforma in processo officiato da toghe infallibili. Il processo propriamente detto, quello che si celebra nei tribunali, intanto, rischia di scivolare in uno stato d’animo nutrito dalla filosofia degli intellettuali obbedienti alla suprema legge, quella che recita “Ieri, oggi e domani resistenza!”
Bianchi ottici e purissimi sono i giustizieri comunisti, ad esempio Vidali, Moscatelli, Scoccimarro, Moranino, Boldrini, Valerio ecc. Criminali neri tutti gli altri, belligeranti o neutrali, e i loro eredi presunti.
Neri e scomunicati sono anche i comunisti non più osservanti, ad esempio Massimo Caprara, testimone e credibile narratore delle birichinate messe in opera dai comunisti in via Rasella e nei paraggi. Ad esempio la convocazione nel luogo e nell’ora dell’attentato di alcuni comunisti non schierati con il Pci.
Se non che la verità storica contempla l’equa e perpetua distribuzione di tre colori: il bianco, il nero, il grigio. Il bene, il male, la via di mezzo. Il campo di battaglia e la finestra dei neutrali in aspettativa. I giustizieri, le vittime, gli spettatori, i commentatori plaudenti o maledicenti, gli angosciati, i misericordiosi in preghiera, i conformisti in attesa del vincitore da applaudire.
Nella storia il positivo e il negativo compongono un assoluto, che non può eliminare l’ombra interna alla sua struttura dialettica.
D’altra parte il terzo incomodo, la larga via di mezzo, è ulteriore prova dell’impossibilità della guerra dell’assoluto caduto nel mondo per combattere la sua ombra infelice.
Con buona pace dell’immenso Hegel e dei sui affranti discepoli ed ermeneuti smaccati, l’Assoluto abita senza ombra nell’alto dei cieli. Dove era nel principio ed ora e sempre.
In terra l’assoluto stramazzato degli idealisti sopravvive in una trottola culturale, la perpetua chiacchiera, che tenta la riduzione dei colori presenti nella triplice varietà mondana alla bianchezza finale, il paradiso in terra sognato dagli ideologi.
In Vaticano la notizia non è ancora pervenuta, ma la c. d. retroguardia cattolica, personificata da Cornelio Fabro, ha sorpassato l’avanguardia storicista. Hegel giace, anche se gli hegeliani di sinistra non si danno pace.
Gli storici post-comunisti, hegeliani fuori tempo massimo e tuttavia gongolanti sotto l’applauso stupefacente, organizzato da una spiritata claque, vedono solamente il loro bianco, il candore prodotto dal vorticoso movimento della loro trottola sognante.
Il dogmatismo fa girare la pluralità arcobalenante e all’orizzonte progressista appare un mondo bianco come la coscienza dei giustizieri. Infine, Moranino sei tu, chi può darti di più?
Forse può darci di più il diario ritrovato da uno schivo ricercatore torinese, che, anticipando Giampaolo Pansa, ha trascritto e commentato, le memorie scomode, consegnate al diario di un adolescente, testimone dei fatti della guerra civile, che ha tormentato il Sud del Piemonte tra l’otto settembre del 1943 e la radiosa primavera del 1945.
Lo scopritore del diario, geloso del suo anonimato, divulga le verità refrattarie alla estinta suggestione hegeliana/postcomunista.
La giovanile ingenuità del suo autore, infatti, pur non conoscendo Hegel, attendeva che il giro della trottola ideologica si arrestasse e consentisse l’equanime avvistamento delle sfumature del bene e del male.
Dall’osservazione ingenua ossia non ideologizzata, prese forma un racconto obiettivo dei fatti, ossia un diario non manicheo e non trottolante.
Appartenente a una famiglia, di solida cultura antifascista, il giovanissimo autore professava, peraltro, un invincibile, cattolico amore per la verità.
Il prezioso documento merita la stima degli italiani non rassegnati all’ascolto dell’inevitabile lezione partigiana: propone, infatti, il racconto, ingenuo ma veritiero, scritto in assenza totale di pregiudizi.
Tra le righe dello scritto ingenuo, si legge un serio giudizio sui terribili anni della guerra civile, anni che non rappresentarono la lotta del bene contro il male e il trionfo finale del primo, come afferma la scolastica televisiva, ma produssero una spaventosa tempesta di sangue e di lacrime, che si svolse al di sopra degli stessi suoi protagonisti.
Si può pensare ancora che la malvagità e l’orrore siano radunati solamente nell’angolo in cui sono in agguato le forze oscure della reazione? Si può credere, ad esempio, che abbiano incarnato il Male tenebroso le sedici carmelitane ghigliottinate a Compiègne perché non pregavano – le reazionarie – secondo il rituale imposto dai giacobini? Non sarà il caso di sollevare il dubbio intorno alla fulminante dialettica che contempla il puro bene rivoluzionario e il nero male reazionario?
Al proposito il diario in questione rammenta una sgradita verità: alle imboscate dei partigiani seguivano le ritorsioni e i rastrellamenti dei tedeschi e dei fascisti repubblicani. Alla rivoluzione violenta faceva seguito la violenta reazione. Ammesso che la rivoluzione sia il bene storico: l’oggetto del giudizio inappellabile dell’Apparato vincente coincide con il bene morale? Il filosofo Hegel direbbe di sì. La dialettica identifica il vincitore con il giusto.
Il pensiero non dialettico, invece, contempla con gli occhi di un adolescente, i nudi fatti, onde il dubbio sulla lettura storicista: alla ritorsione tedesca o fascista, che è continuamente rievocata e deplorata dai media, seguiva un’altrettanta feroce contro-ritorsione, anche se meno nota e non deplorata dai cronisti trionfanti.
Tra il bene e il male secondo lo storicismo, si innescava una spirale di morte, di sangue e di odio che non poteva avere fine se non con l’annientamento e l’eliminazione fisica del Grande Nemico. E’ questo il bene morale? Mah, diceva Giovanni Volpe dialogando con Fausto Gianfranceschi.
La tradizione cristiana suggerisce di dubitare davanti ai dogmi della modernità trionfante a parole. Il mito del Grande Nemico, il Male assoluto, infatti, è il prodotto della filosofia dialettica e il motore di tutte moderne disgrazie, guerre, massacri, insurrezioni immoralistiche.
Un dotto e perciò censurato gesuita francese, il padre Gaston Fessard (1897-1978), fu autore, nel 1960, di un ispirato saggio anti-hegeliano, “De l’actualité historique“. In esso dimostrava che il pensiero totalitario è nutrito da un’immaginazione implacabile, che contempla nell’avversario politico il Grande e Assoluto Nemico.
Il borghese o l’ebreo, il cristero messicano o il cristiano copto egiziano, secondo i vanamente opposti idealismi in circolazione intorno al fantasma del Grande Nemico.
Quasi partecipe del profondo e perciò censurato pensiero dell’illustre gesuita, la lontana testimonianza dell’anonimo adolescente di Torino ci invita a riflettere seriamente sulle nascoste origini filosofiche della ferocia sanguinaria, che ha tormentato l’età moderna per produrre la felicità finale della Banca mangia uomini.
3 commenti su “Le due facce della guerra civile in un diario ritrovato – di Giovanni Fossati”
L’articolo è ben confezionato e interessante, peccato sia mancato un pizzico di coraggio per rendere più asplicito il pensiero dell’autore.
vorrei sapere dove si può leggere questo diario molto interssante.cari saluti
I libri di Pansa rapresentano già bene il diario di un adolescente che vede ad occhi ben aperti le atrocità da belve compiute da quelli che si definivano paladini della libertà antifascista.
Ma di queste belve assetate di sangue ve ne sono ancor oggi al vedere come si comportano alcuni al passaggio di un feretro considerato il Grande Nemico.
Del resto, Pansa scrisse con abbondanza di informazioni, i paladini della libertà antifascista massacrarono quanti più fascisti poterono e quindi la realtà storica attuale è che i primi prolificarono tanti piccoli paladini della libertà ,mentre gli altri non poterono o riuscirono solo parzialmente.
I risultati si vedono ancora !