di Dionisio di Francescantonio
The Eagle (L’Aquila) è un film epico che si scosta dagli stilemi del genere, nel senso che gli eserciti lasciano il posto alle imprese e al valore dei singoli, ma soprattutto perché mette al centro della vicenda temi e valori di cui il cinema ha smesso di interessarsi da tempo; temi come l’onore, il coraggio e l’orgoglio, la fedeltà a una causa e alla parola data, il bisogno del riscatto morale, la coscienza del valore dell’ordine della civiltà contro la confusione e la ferinità della barbarie. Lo stesso titolo del film, l’Aquila, riferita all’insegna-simbolo della forza e dell’onore di Roma ma che è anche il nome del protagonista, Marco Aquila, sembra voglia alludere, dato lo snodarsi del film, a quel senso elevato delle nostre azioni che intendiamo quando pronunciamo l’espressione “volare alto come l’Aquila” . Tutto ciò viene veicolato attraverso un film di genere popolare come l’epica e l’avventura, dove l’azione e la suspence, collocati per giunta in scenari naturali di grande bellezza (quale poteva essere la Britannia del tempo dei Romani) si susseguono a ritmo incalzante e suggestivo – e anche questo, cioè affidarsi a un genere di grande impatto sul pubblico, appare come una scelta significativa da parte di coloro che hanno progettato e realizzato il film.
La vicenda è presto delineata: Marco Aquila ottiene il comando d’una legione in Britannia, un incarico prestigioso per un giovane militare come lui, ma dentro di sé egli porta l’onta d’esser figlio di quel Flavio Aquila comandante della legione composta da 5.000 uomini che anni prima si è spinto, in quella stessa Britannia dov’egli è appena approdato, oltre il Vallo di Adriano, perdendo se stesso e i suoi uomini, oltre che la preziosa insegna dell’aquila romana che recava con sé. Qualcuno riferisce che l‘insegna è stata vista nelle mani di una delle tribù selvagge insediate al di là del Vallo. Marco progetta di andare a cercarla per recuperarla e riabilitare il nome della sua famiglia, portando con sé, come guida, lo schiavo britannico Esca, proveniente da quelle terre ostili ma a lui fedele per via d’un giuramento fattogli dall’uomo per avergli salvata la vita. La ricerca è faticosa e estenuante, ma infine l’incontro con la tribù che detiene l’insegna dell’Aquila avviene e qui il ruolo dei due protagonisti sembra capovolgersi perché, per trovare ospitalità presso la tribù, Marco viene fatto passare da Esca per il suo schiavo. E il britanno prende talmente sul serio la propria parte da trattare il romano con brutalità, al punto da far pensare a Marco d’esser stato tradito. Ma Esca, dopo una serata di festeggiamenti e di grandi bevute dell’intera tribù, sveglia Marco e lo sollecita a impadronirsi dell’insegna, per poi fuggire insieme mentre nel villaggio dormono tutti. Il comportamento di Esca a questo punto potrebbe sorprendere, poiché l’incontro coi suoi simili sembrava avergli fatto riconquistare il senso di appartenenza alle proprie origini, ma il suo gesto non è quello di un traditore: dentro di sé, durante la convivenza con Marco e con la comprensione dei motivi che lo muovono, si è convertito alla romanità e al suo ordine superiore di valori, cosa che appare con evidenza nell’espressione di disgusto e orrore con cui accoglie, prima dell’ultimo scontro con la tribù che li ha inseguiti per punirli (ma intanto lo stesso Esca ha condotto presso Marco il manipolo di romani sopravvissuti alla distruzione della legione di suo padre e pronta a difendere l’insegna di Roma pur essendosi rifatta una vita presso i britanni), la brutale uccisione da parte del capo tribù del proprio figlio, reo di aver taciuto la fuga di lui e di Marco per via dell’amicizia dimostratagli da Esca durante il suo soggiorno al villaggio.
Questo è un altro elemento che denota il carattere non politicamente corretto del film. Finalmente il cinema smette di esaltare il selvaggio che rifiuta di convertirsi alla civiltà, ma propone e suggerisce le ragioni superiori della civiltà contro quelle della barbarie. Inoltre il film è una vicenda di soli uomini: sono questi a portare il peso della dimostrazione del coraggio e della riconquista dell’onore, contro certa bellicosa e pretenziosa presenza femminile voluta negli ultimi tempi nel cinema dal mondo hollywoodiano per proporre l’appropriazione delle qualità più virili da parte della donna. La regia del film è di uno scozzese, Kevin Macdonald. Forse nella parte più povera della “Britannia”, in epoca di crisi, qualcuno comincia a rendersi conto che col politicamente corretto non si va da nessuna parte e che conviene più tornare a guardare al buon senso e ai valori solidi di una volta.