SULL’ASCETISMO
“Insistiamo che gli asceti erano pessimisti perché gettavano via settant’anni di vita per un’eterna felicità. Dimentichiamo che la semplice proposta di un’eterna felicità è, per sua stessa natura, diecimila volte più ottimistica di diecimila saturnali pagani”
Con il saggio: “Twelve Types” del 1902, Chesterton elaborò alcune riflessioni sul significato dell’ascetismo, provvedendo a fornire alcune idee per una più profonda comprensione, esaminandolo non dal solo punto di vista religioso: “L’ascetismo non si limita affatto all’ascetismo religioso: c’è l’ascetismo scientifico che afferma che solo la verità soddisfa; c’è l’ascetismo estetico che afferma che solo l’arte soddisfa; c’è l’ascetismo amatorio che afferma che solo l’amore appaga. C’è perfino un ascetismo epicureo, il quale afferma che solo rose e fiori soddisfano”. Qual era il significato di questa concezione allargata dell’ascetismo? Chesterton non voleva superare il solo fraintendimento di chi lo attribuiva in modo restrittivo alla sfera religiosa, ma desiderava cogliere l’essenza spirituale di chi lo piegava, di fatto, in altri ambiti, in altri vissuti. Quali erano le caratteristiche dell’ascetismo scientifico, estetico, amatorio, epicureo? Ciascun ascetismo era autoreferenziale e particolare, legato spiritualmente alla sola mente del soggetto e privo quindi, rispetto a quello religioso, di universalità e di trascendenza. Tutte queste forme ascetiche della modernità (o post-modernità, secondo alcune definizioni sociologiche) richiamavano un simulacro del vero ascetismo e riflettevano, come in un narcisistico specchio, l’immagine egocentrica del se stesso. Nell’ascetismo religioso ci si ritirava dal mondo per lasciare spazio a Dio, al respiro dell’anima nella preghiera e nella contemplazione; nelle altre forme di ascetismo evocate, ci si ritirava e ci si isolava per ammirare, nelle cose, le proprie idee. Come le virtù, che isolate le une dalle altre, creavano maggiori danni dei vizi, così le variegate forme di ascetismo moderne confondevano e fraintendevano il vero significato dell’ascetismo religioso, provocando a loro volta ingenti guai. Di fatto, tutte queste forme alternative di ascetismo si potevano ricondurre a quella che l’amico-scrittore Hilaire Belloc (1870-1953) aveva chiamato “l’isolamento dell’anima”. Chesterton era convinto dell’importanza dell’ascetismo religioso: “L’ascetismo è il ripudio della gran massa di gioie umane a causa della gaiezza suprema dell’unica gioia, la gioia religiosa”. A coloro che, come ai giorni nostri, con atteggiamenti superficiali e frasi banali, deridevano o non consideravano adeguatamente la portata dell’ascetismo religioso, Chesterton mostrava lo squilibrio delle loro considerazioni: “I più formidabili filosofi liberali hanno definito tristi i monaci perché si negavano i piaceri della libertà e del matrimonio. Se, per qualunque motivo, accade che una classe o una generazione perda la comprensione del particolare tipo di gioia che si celebra, subito cominciano a chiamare quelli che ne godono cupi e autolesionisti”. Chesterton ironicamente faceva vedere cosa sarebbe accaduto se questo sentimento poco comprensivo dell’ascetismo religioso si fosse spostato, ad esempio, nell’infatuazione moderna dello sport, dell’atletismo: “Se mai accadesse che l’apparato dell’atletica inglese scomparisse dalle scuole e dall’università, se la scienza fornisse qualche maniera nuova e non agonistica di migliorare il fisico; se l’etica pubblica si convertisse a un atteggiamento di totale disprezzo e indifferenza verso il sentimento chiamato sport, allora è facile vedere quel che accadrebbe. Gli stori del futuro semplicemente affermerebbero che nei giorni bui della regina Vittoria giovani uomini a Oxford e a Cambridge erano sottoposti a un’orrenda sorta di tortura religiosa. Era loro proibito, da bizzarre regole monastiche, di concedersi vino e tabacco durante certi periodi di tempo fissati arbitrariamente, pri9ma di certi brutali scontri e festeggiamenti. I bigotti insistevano a farli alzare a orari disumani e a farli correre energicamente intorno ai campi senza alcuno scopo. Molti uomini si rovinarono la salute in questi covi di superstizione, molti vi perirono”. Il grande scrittore inglese mostrava così, con il suo umorismo cristiano, quanto l’umanità criticasse l’amore per i doveri religiosi. Chesterton si interrogava su quale fosse la gioia degli antichi asceti cristiani e già questa domanda costituiva un esempio della mancanza dell’uomo moderno di comprendere i fatti principali della storia umana: “Guardiamo all’ascetismo cristiano e lo immaginiamo come l’ascesa della rinuncia e del pessimismo. Non ci viene in mente che anche solo l’affermazione che questo universo tempestoso e sconcertante è governato dalla giustizia e dalla misericordia è una prova di ottimismo impressionante da far saltare d’allegrezza ogni uomo. Il dettaglio che rendeva quei monaci pazzi di gioia era l’universo stesso: l’unica cosa davvero degna di godimento”.
1 commento su “L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Sull’ascetismo– rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
In fondo è la francescana “santa allegrezza” che non è solo godimento della natura e delle sue meraviglie, o l’estraniarsi, con tecniche suggerite da questo o quel tipo di meditazione, dalle ambasce del mondo; ma è il sentirsi fra le braccia di Dio, il conformarsi alla Sua volontà nelle gioie e nelle pene della vita, nel confidare nella Sua benevola paternità che tutto fa affinché possiamo conseguire la vita eterna, cioè l’unico vero interesse della nostra esistenza.