L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan

L’ILLEGALITA’ DEI LEGALI

 

“Se i giudici non sono frenati dalla legge, da che cosa sono frenati allora?”

 

Questo interrogativo sul freno dei giudici era posto da Chesterton all’interno degli ordinamenti giuridici della Common Law, che era costituita dall’insieme delle regole e dei principi dove a fondamento vi era la regola del precedent (del precedente e della consuetudine), per cui la decisione giurisprudenziale era vincolata. Il pericolo che il giudice si ergesse a pericoloso autocrate era limitato anche da questa regola basata sulla consuetudine. L’occasione di dibattere questo punto che avrebbe potuto sfociare nell’illegalità dei legali era sorta dopo che Chesterton ebbe letto un libro del giudice Edward Abbott Parry: “Law and the Woman” (1916). Il suo giudizio sul libro del giudice, pur rimanendo sostanzialmente favorevole, (“Non soltanto Parry espone le sue tesi con un senso dell’umorismo e un candore disarmante, persino quando è in errore non perde mai di vista fatti rilevanti”) poteva, secondo Chesterton, fuorviare i lettori per un’opinione sul “progresso” che non condivideva in merito al giudizio sulla donna. Che cosa spronava Chesterton a confutare le tesi del giudice? Certamente anche l’influenza pessimistica e deterministica derivante dal protestantesimo, come ad esempio quando il giudice, a sostegno delle sue tesi sul rapporto “donna-legge”, citava John Milton, il celebre scrittore e poeta inglese del 1600. Per Chesterton, Milton era tutto tranne che medievale, essendo molto moderno e razionalista: “Milton considerava il suo giudizio alquanto sprezzante nei confronti delle donne come parte della sua emancipazione dal medievalismo”. Chesterton scorgeva, in questa visione ristretta dell’emancipazione moderna dal medievalismo, un atteggiamento che avrebbe indotto ad approvare il divorzio (consideriamo che siamo negli anni ’20) ed a far cadere la natura di una promessa solenne come il matrimonio, così come la natura di un qualsiasi altro giuramento o voto. Confutando Milton, a cui il giudice Parry faceva riferimento, Chesterton faceva emergere la concezione cattolica sulla donna e la natura della legge: “Su ambedue i lati di quel cancello gotico del Medioevo dal quale Milton era emerso, si ergevano due statue simboliche di donne: una rappresentava la donna debole, tramite la quale Satana aveva fatto il suo ingresso nel mondo; l’altra la donna forte, tramite la quale Dio era entrato nel mondo. Milton e i suoi puritani maltrattarono e annientarono intenzionalmente l’immagine della donna buona e preservarono attentamente quella della donna malvagia in segno di perenne biasimo per tutte le donne e ritenevano la loro iconoclastia antifemminista fosse un grane passo per il progresso”. Al contrario di Milton e del giudice Parry, Chesterton riteneva che fosse stato il Rinascimento e non il Medioevo a dare il via a quello che lui chiamava “un elemento di brutalità mentale”. Chesterton riteneva infatti che la stessa adorazione del potere e della ragione, fatta da un ristretto numero di intellettuali con la parrucca, si incarnasse in una preferenza per il sesso maschile che si riteneva superiore: “Le nuove tirannie, così come le nuove libertà, erano incoraggiate dall’Umanesimo”. Il grande scrittore londinese era consapevole che le “mode aristocratiche” (anche quelle legate al pensiero) erano assai pericolose, anche per un giudice sincero come Parry. Nonostante che i rapporti tra i sessi non dipendevano dall’intervento eccezionale della legge, ma erano influenzati dal credo e dalle usanze, il pericolo che individuava Chesterton nell’illegalità dei legali era quello di affidarsi ingenuamente a quelle perniciose “mode aristocratiche” e ravvisava nella rottura con il passato medievale il venir meno delle libertà autentiche, di quelle libertà legate alla Fede e alla vera ragione.

1 commento su “L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”

  1. Chiedere ai compilatori di testi scolastici di smettere di esaltare acriticamente Rinascimento e Risorgimento è impresa titanica. Le vicende dei popoli e della cultura sembrano ricalcare il ciclo dell’esistenza di ognuno di noi: nascita, accrescimento, maturità, morte. L’apparente splendore rinascimentale, come quello di un quarant’enne, conteneva già tutti i germi del disfacimento attuale: libertà-libertinismo, individualità-individualismo, relatività-relativismo. Non avvertivano quei nostri antenati che i frutti che stavano assaporando erano il lascito di secoli di lavoro della civiltà medievale (stampa, università, monachesimo, Giotto, architettura gotica, civiltà comunale). Ricordate quel sig. Serafino Ferruzzi (una vita vissuta nel lavoro e nel silenzio) che alla sua morte lasciò un’azienda di dimensioni mondiali che Raoul Gardini riuscì a distruggere in poco tempo? Piccola vicenda contemporanea, metafora di flussi storici secolari.

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