LE PROCESSIONI E I COSTUMI
“In un caso un uomo si abbiglia come il suo bisnonno per prendersi gioco di lui; nell’altro intende rendergli omaggio”
Chesterton amava, da buon medievalista, le processioni in costume, di carattere religioso o anche a sfondo storico. Amava in particolare, e lo ricordava in diversi scritti e articoli di giornale, i carri trainati dai buoi che trasportavano le scene rappresentate nei cosiddetti mystery plays, ossia quelli costituiti da due piani, dove quello sotto era adibito agli attori e quello sopra in cui si esponeva la scena. Questi carri di retaggio medievale erano utilizzati anche per le sacre rappresentazioni, come ricordava il grande scrittore di Beaconsfield: “Anch’io mi sono ritrovato tra la folla. Si trattava di una processione religiosa e sono stato molto colpito da alcune rivelazioni che un’esperienza simile può suscitare”. A quali rivelazioni alludeva? Cosa intendeva esattamente? Chesterton aveva notato in tutto quell’apparato scenico e di costumi un profondo clima di riverenza verso il sacro e il passato. Gli antichi avi con tutte le loro processioni, i loro costumi, la loro fede, l’amore per la propria terra potevano ritornare, essere ancora presenti e queste processioni e costumi intendevano preservare la tradizione dei bisnonni a cui rendere un sentito omaggio: “Tutti gli uomini semplici considerano i loro avi persone distinte”. Egli lanciava tuttavia un severo monito a quelle generazioni che avessero abbandonato questa tradizione di custodire la memoria antica: “Abbiamo commesso un grande peccato e una grande sconsideratezza quando abbiamo iniziato a ritenere il Medioevo un semplice negozio di costumi comici di seconda mano”. Per Chesterton i costumi medioevali, l’araldica, la ricchezza simbolica che contrassegnavano il passato cristiano erano manifestazioni, nell’umiltà, del coraggio, del giusto orgoglio per la salvaguardia di un patrimonio di valori e principi inestimabili. Questo amore per il fulgore dei costumi, per i colori vividi degli scudi e delle alabarde, dei vessilli e dei carri era rinvenibile in tante sue opere, ad iniziare dal suo primo romanzo: “Il Napoleone di Notting Hill” per proseguire con: “Il ritorno di Don Chisciotte” e così via in molte altre opere. Chesterton contrapponeva il buon costume medievale al pessimo costume della modernità: “Nel Medioevo l’abito di un uomo rispecchiava la sua famiglia o la sua professione o la sua religione; questi sono proprio i tre elementi sui quali oggi pensiamo sia di cattivo gusto discutere”. Amava ironizzare sui facili costumi contemporanei e sull’assenza di significato degli abiti della modernità: “Immaginate un uomo moderno vestito di verde e arancione solo perché apparteneva alla famiglia dei Robinson o immaginatelo in blu e oro perché era un banditore d’asta. Oggi ha soltanto il travestimento ridicolo di un gentiluomo; esso non rivela proprio nulla, nemmeno se è veramente un gentiluomo”. Quel costume vivace e araldico che intendeva un tempo comunicare a tutti la vera identità di un uomo, oggi non rivelava nulla o, paradossalmente, come intuiva Chesterton, permetteva all’uomo moderno di nascondere la propria identità. Nonostante l’inconsistenza simbolica e allegorica dei tempi moderni, quelle processioni che ricordavano il passato mantenevano un valore assoluto. Chesterton rilevava la differenza simbolica dei costumi di un tempo con quelli contemporanei attraverso un ironico contrasto: “Un frate con un saio marrone è molto più serio di un individuo gioviale ma grossolano con una bombetta marrone. Il primo uomo indossa il colore marrone per un motivo mentre il secondo senza una ragione”. Chesterton era consapevole infatti del valore di quel saio marrone che rappresentava il colore umile della terra, scuro e ordinario. Al contrario l’individuo moderno che indossava una bombetta marrone non si accorgeva che si cingeva la fronte con della terra bruna e le tempie con una strana corona di argilla: “L’uomo moderno non indossa un cappello color polvere con l’intento di cospargersi il capo di polvere…Non pensa al significato del colore marrone. Per lui non rappresenta un simbolo delle radici, del realismo o dell’umiltà autoctona”. E concludeva sapientemente: “Oggi il problema non sta nel fatto che le persone non vedono colori stupendi o effetti straordinari. Il problema è che ne vedono troppi e distanti da motivazioni ragionevoli”.
FABIO TREVISAN
5 commenti su “L’angolo di Gilbert K. Chesterton ––– Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
Oggi, nell’epoca della omologazione universale (delle abitudini, dell’alimentazione, dei gusti, del vestiario e soprattutto del pensiero), apprezzare le antiche costumanze e tutto ciò che sa di appartenenza è diventata cosa rarissima, anzi addirittura ridicola. L’imperativo è cancellare tutto ciò che sa di stantio perché siamo nel tempo della rivoluzione, del “quanto è bella la modernità e quanto è inutile l’antico”. Vado forse fuori tema, eppure mi viene in mente certa biancheria che fu dei miei nonni mai conosciuti e che, passata a me dalle mani di.mia madre, conservo gelosamente come reliquie: vi sono ricamate le iniziali dei loro nomi (persino nei fazzoletti del nonno) e ciò non è questione da poco per me che li immagino da sempre con un aspetto maestoso e una benevolenza che forse è solo frutto di questa mia specie di nostalgia per quella mancanza che mi è sempre dispiaciuta e tuttora mi dispiace. Bisogna conservare l’amore per l’appartenenza, bisogna trattenere le radici, le usanze, le abilità,fosse anche il ricamare una sigla a punto pieno su asciugamani di lino…
… dalle lunghe frange o su ampi fazzoletti che non sii trovano da nessun’altra parte.
Sono fuori tema, ma oltre ad apprezzare pienamente l’articolo e il commento di Tonietta, ho nostalgia anche del nostro bel parlare italiano “datato”, molto più intelligente delle sparate di oggi. Soprattutto basta basta con questi termini inglesi (tra l’altro più brutti della loro traduzione, per la maggioranza dei casi) !! Siamo in Italia, si o no?? Se iniziassimo dalle piccole cose…
Giusto, Caterina, anche nell’amore per la propria lingua (la lingua madre!) , per la conservazione di certe espressioni locali che esprimono al meglio l’anima di un popolo e parlano in maniera sempre efficace della vita di chi ci ha preceduto, dunque, della tradizione, anche qui si manifesta l’attaccamento alle proprie radici e quasi sempre, radici di quell’Albero della Vita che ha fatto grande la nostra, proprio la nostra mammastoria.
Per cortesia, cancellatemi quel mamma che non so da dove è uscito. Grazie!