L’angolo di Gilbert K. Chesterton – grandezza e attualità di uno scrittore cattolico – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan

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2 novembre 2015

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La Terra in preda all’anarchia      = = = = = = = = =     

di Fabio Trevisan

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“Voi distruggerete l’umanità; distruggerete il mondo: ma questa vecchia lanterna cristiana non la distruggerete!”

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zzzzgvdcsrtnQuesto severo monito pronunciato dall’uomo che fu Giovedì, ossia il filosofo investigatore Gabriel Syme, racchiude il grido di dolore di Gilbert Keith Chesterton dinanzi ad un’umanità impazzita, che ha apparentemente perduto il significato essenziale e profondo della salvezza cristiana: “Vedete questa lanterna? Vedete la croce che v’è scolpita sopra e la fiamma che ha dentro? Non voi l’avete fatta, non voi l’avete accesa. Uomini migliori di voi, uomini che sapevano credere e obbedire, torsero le viscere del ferro e alimentarono la leggenda del fuoco”.

Siamo allo svelamento finale del romanzo: L’uomo che fu Giovedì, che opportunamente Chesterton rivelava nel sottotitolo (“A nightmare”). Era la storia di un incubo, che lo stesso scrittore londinese aveva sperimentato nella sua inquieta vita giovanile fino ad approdare alla risposta serena della Croce. Con parole che a distanza di un secolo ci fanno ancora pensare e commuovere, Chesterton dedicava questa opera all’amico Edmund Clerihew Bentley: “Una nube pesava sulla mente degli uomini, una nube malaticcia sull’anima, quando eravamo giovani tutti e due…vedemmo la Cittadella dell’Anima soccorsa che già barcollava. Beati coloro che non videro, ma ciechi, cedettero…ora fra noi, per grazia di Dio, questa verità possiamo dirla: “C’è una forza nella radice che affonda, c’è del buono nell’invecchiare”.

Il romanzo era iniziato in un giardino, proprio come in un più remoto giardino aveva avuto inizio la storia del peccato dell’uomo. I riferimenti continui al libro della Genesi ed alla creazione di Dio erano rappresentati appunto dai giorni della settimana, così come il senso del dolore e l’incapacità di darsene una piena ragione richiamavano al Libro di Giobbe. L’estro creativo e artistico (per Chesterton tutta la creazione confermava ciò che era agli occhi del Padreterno, che vide che era cosa buona) stavano quindi all’origine dello scontro tra due poeti: Gabriel Syme, che vestirà i panni di Giovedì, e Lucian Gregory, un autentico e tetragono anarchico. Il primo, fautore dell’armonia e dell’ordine, il secondo del caos e della ribellione, che rappresentavano simbolicamente e rispettivamente in due oggetti, il lampione di ferro e l’albero: “Eccolo qui, il suo famoso ordine: questo lampione di ferro, secco, brutto e sterile; ed ecco l’anarchia, ricca, viva e feconda”. Al che rispondeva assennatamente l’uomo che fu Giovedì: “E tuttavia lei vede l’albero soltanto alla luce del lampione. Chissà quando potrà vedere il lampione alla luce dell’albero?”.

La luce della ragione e la luce della fede, che alludevano al lampione, erano indissolubili e potevano, fuor di metafora, illuminare l’intera esistenza e dare senso all’avventura della ricerca della verità, che lo stesso Syme e lo stesso Chesterton cercavano nei meandri della storia, tra fatiche e dolori nelle pieghe dell’umanità. In questo tortuoso labirinto, in questo incubo vissuto e descritto nel romanzo, Gabriel Syme, il poeta-poliziotto, era stato eletto “Giovedì” nel Consiglio Centrale Anarchico Europeo. Come era stato possibile? Non voglio qui svelare l’accaduto a chi volesse leggersi l’intero romanzo ma rivelare, quello sì, l’esatto intendimento della missione di Giovedì: “Noi dobbiamo rintracciare l’origine dei terribili pensieri che alla fine trascinano gli uomini al fanatismo intellettuale e ai crimini intellettuali”. Proprio così! “Crimini intellettuali” che portavano nel mondo devastazione e desolazione e contro cui bisognava lottare.

Il romanzo costituisce, in questo modo, una vera battuta di caccia, in cui vengono inseguite e stanate le eresie. Chesterton, con il suo acuto e genuino senso cristiano, aveva paventato i veri pericoli di un’umanità che stava per perdere la fede, la speranza e la carità: “Anch’essi parlano a folle plaudenti della felicità del futuro e dell’umanità finalmente libera: ma sulle loro labbra queste belle frasi hanno un significato atroce. Essi sono troppo intelligenti per credere che l’uomo su questa terra possa affrancarsi dal peccato originale e dalla lotta per la vita e perciò alludono alla morte. Quando dicono che l’umanità sarà finalmente libera, alludono al suicidio dell’umanità…Non hanno che due scopi: distruggere prima l’umanità e poi se stessi”. Siamo davvero sicuri che Chesterton non avesse visto giusto?

Crediamo di non aver più bisogno di uomini come Gabriel Syme, l’uomo che fu Giovedì?

2 commenti su “L’angolo di Gilbert K. Chesterton – grandezza e attualità di uno scrittore cattolico – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”

  1. Vedeva sempre giusto Chesterton. Promettere una felicità futura e una umanità finalmente libera è il modo più sicuro per catturarla quella libertà e per manovrarla nella maniera peggiore. È incredibile come sia stato facile al Nemico far perdere all’uomo la fede, la speranza, la carità;e come abbia fatto leva sulla sua debolezza per condurlo ormai a un passo dal baratro. E fa venire i brividi quella frase: “Quando dicono che l’umanità sarà finalmente libera,alludono al suicidio dell’umanità”; perché si intuisce dai giorni che stiamo vivendo che l’esasperata attenzione al benessere (materiale) dell’uomo e alla soddisfazione di tutte le sue voglie,con annessa corruzione dei bambini fin dalla più tenera età, altro non è che l’istigazione al suo suicidio, la spinta verso la sua distruzione, in sintesi, la via verso la sua dannazione eterna. È il fine ultimo per cui si adopera con incessante accanimento l’avversario di Dio che pensa di colpirLo proprio nell’uomo, la creatura che Egli ama di più.

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