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2 gennaio 2016
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L’isolamento dell’anima = = = = = = = = =
di Fabio Trevisan
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“Il grande effetto della Riforma fu l’isolamento dell’anima. Questo fu il suo frutto, e di qui procedettero tutte le sue conseguenze”.
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Con quest’altra frase riportata in corsivo, Hilaire Belloc (1870-1953), l’altra metà del “Chesterbelloc”, annotava nel saggio storico: “L’Europa e la Fede” del 1920 le conseguenze dirette e indirette della Riforma protestante inglese. Abbiamo scorto la grande influenza che queste riflessioni storico-spirituali ebbero su Gilbert Keith Chesterton e sulla risoluzione di entrambi di intraprendere insieme una vigorosa battaglia culturale e apologetica della Fede cattolica. Purtroppo da noi si è persa la profonda analisi degli effetti della Riforma di Enrico VIII, in quanto si è studiato soprattutto la Riforma di Lutero e dei suoi epigoni. I cattolici inglesi più acuti invece ebbero l’opportunità, anche se drammatica, di vederne gli effetti più da vicino: l’isolamento dell’anima, la conclusione di questa Rivoluzione (“Ora non ho che da determinare la conclusione di questa rovina: il suo risultato spirituale, l’isolamento dell’anima e il suo risultato sociale, che è conseguenza di quello spirituale”). Qual era il risultato sociale paventato da Belloc e condiviso da Chesterton? Eccolo espresso in poche parole di una densità ed attualità sconcertanti: “Il risultato sociale della Riforma è il prodigioso dispiegarsi di energie, il conseguente progresso delle conoscenze particolari, il dominio dei pochi lasciato senza controllo né freno nella competizione, la sottomissione dei più, la rovina della felicità, la minaccia finale del caos”.
Il “Chesterbelloc” non si fermava ad una mera seppur amara constatazione ma denunciava le apparenti tranquillità e gli ipotetici vantaggi conseguiti dall’isolamento dell’anima, che erano appunto gli “sviluppi” di trecento anni di allargamento delle scienze della natura (contro la progressiva erosione della metafisica classica), la corruzione del principio d’autorità (contro la Chiesa Cattolica Romana all’inizio e, a cascata, contro la famiglia e l’ordine tradizionale), l’aumento generale del benessere (inteso come ricchezza individuale ma la perdita progressiva della dignità della persona), il dilagare dello scetticismo come radicale negazione dell’essere (da qui il crollo del supporto della ragione alla fede e l’inevitabile deriva del relativismo) e soprattutto, secondo le parole di Belloc: “L’universalizzarsi progressivo di una nota: quella della disperazione”. Ciò era dovuto all’isolamento dell’anima prodotto dalla Riforma: la perdita della Fede, del sostegno della Chiesa Cattolica Romana e quindi, sempre secondo le loro affermazioni: “La perdita di un sostegno collettivo, di un sano equilibrio assicurato dall’esperienza comune, da una pubblica certezza”. L’isolamento dell’anima costituiva quindi la vera definizione dell’infelicità, della disperazione del mondo moderno. La perdita della Fede equivaleva alla perdita della Chiesa e dell’Europa stessa.
Quella forza malvagia che aveva prodotto questa scissione (tra Fede e Chiesa, tra ragione e fede, tra autorità e presunta libertà) era l’effetto di una esplosione e, secondo il monito del “Chesterbelloc”, avremmo ancora dovuto udirne la terribile conflagrazione oltre a vederne i miserabili e nefasti fatti. La forza che teneva unita l’Europa e la Fede, l’uomo con Dio, l’umanità e la Chiesa, si era trasformata in un’altra che le aveva separate violentemente, facendo scorgere agli inizi un apparente beneficio, una serie di progressi materiali. L’anima così prodotta e quindi isolata era stata costretta però al vagabondaggio, all’illusione o alla suggestione di averne tratto qualche vantaggio: “Questo singolare e sorprendente risultato del lungo divorzio tra la mente sottrattasi al Cattolicesimo e la ragione ha una ripercussione profonda sul mondo moderno e la grande battaglia che dovrà essere ingaggiata tra il caos e l’ordine si scatenerà ampiamente su questa forma di suggestione”. Questo fu il frutto acerbo e il grande effetto della Riforma e le terribili e devastanti conseguenze: non soltanto quelle evidentemente dannose che misero in pericolo tutte le nostre tradizioni e la nostra felicità, ma anche quelle apparentemente vantaggiose, specie di ordine materiale.
Il processo di protestantizzazione scaturito da allora, aveva posto a Chesterton e Belloc una stupefacente constatazione, che valeva per l’Inghilterra dei loro tempi ma che potrebbe significarne l’attualità dei nostri giorni: “L’Inghilterra non perdette la Fede nel 1550-1620 perché allora era protestante: piuttosto essa è ora protestante perché allora perdette la Fede”.
2 commenti su “L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
“L’universalizzarsi progressivo di una nota: quella della disperazione”. E’ questa espressione, caro Fabio, ciò che di questo articolo (splendido come sempre)mi colpisce di più. Come non rapportarla ai nostri giorni? Furono folli i seguaci dello sventurato Enrico VIII e lo sono tuttora, secondo me, perché è solo da pazzi rinnegare la santa religione per i capricci di uno squallido donnaiolo, anche se re.E come non constatare che, perduta la fede e relativizzato tutto, sopravviene la disperazione? Può una nave fermarsi al porto se resta priva della sua ancora? Se ne torna indietro e va alla deriva.I troppi suicidi che quasi quotidianamente avvengono(eutanasia compresa), gli innumerevoli aborti, sono il risultato di questa disperazione, di questo isolamento dell’anima,allontanata dalla fede e dalla ragione, dal suo Bene che non riconosce più.Perderemo tutto perché abbiamo perso Dio rifugiandoci in un mondo che fa del benessere il suo ultimo scopo.L’uomo si è fatto Dio di se stesso senza però essere immenso, eterno, onnipotente e onnisciente.Ne trarrà solo la sua rovina.
Come sempre ottimo l’articolo, e ottimo il commento.
Grazie cari Fabio e Tonietta!
Mi sembra che le parole ” la minaccia finale del caos” siano un’esatta
descrizione di quanto sta accadendo ora.