1° novembre 2017
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L’IMPORTANZA DELLA FILOSOFIA
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di Fabio Trevisan
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“L’uomo non ha alternativa: o si lascia influenzare da un pensiero che è stato meditato a fondo, o da uno che non lo è stato”
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Nella raccolta di saggi “L’uomo comune”, Gilbert Keith Chesterton auspicava il rifiorire di un’autentica filosofia: “La motivazione migliore che giustifica la rifioritura della filosofia è che, se l’uomo non ne ha una, gli capiteranno cose orribili”. A distanza di un secolo anche noi possiamo tristemente verificare la lungimiranza di queste considerazioni e amaramente constatare come siamo immersi nell’incapacità di pensare, tipica dell’uomo moderno e post-moderno, in contrapposizione all’uomo medievale, esattamente come pensava Chesterton: “Le relazioni politiche e sociali sono di gran lunga più complicate di qualsiasi pagina di metafisica medievale, con la sola differenza che l’uomo del Medioevo sapeva come sbrogliare la matassa e seguire il filo logico delle complicazioni, mentre i moderni non lo sanno fare”.
Il grande scrittore londinese sapeva e credeva che il Medioevo, contro la vulgata corrente, era stata un’epoca di fioritura della ragione, al contrario di quella moderna che, soprattutto con l’eretico Lutero, aveva inaugurato il terribile ingresso della suggestione. Pertanto, contro il modernismo, reputava che il mondo avesse bisogno di ciò di cui si era volgarmente sbarazzato, ossia dell’indispensabilità della metafisica: “Ciò di cui abbiamo bisogno, e gli antichi lo avevano capito, non è di un politico che sia un uomo d’affari, bensì di un re che sia un filosofo”. Chesterton desiderava che si ritornasse a coltivare la ragione agganciata al senso comune, contro il pragmatismo avvilente della modernità che aveva abbandonato la fatica del pensare, condensato nello squallido slogan: “Fatti, non parole”.
Contro la banalità opprimente di questi facili cortocircuiti del pensiero, Chesterton affermava: “Si tratta di semplici surrogati del pensiero. Ciò significa che, chi si rifiuta di avere una sua filosofia, non godrà nemmeno dei vantaggi della bestia bruta, lasciata ai suoi istinti. Avrà soltanto i logori avanzi della filosofia di qualcun altro…L’idea di essere “pratici” è tutto ciò che resta di un pragmatismo che non può stare in piedi. E’ impossibile essere pratici senza un “pragma”. L’allusione all’importanza del dogma e della dottrina era testimoniata in tante altre sue opere, ma Chesterton si preoccupava, da buon medievalista qual era, di dedurre le conseguenze drammatiche di tanta confusione moderna. Ad esempio, l’espressione “fatti, non parole” aveva come corollario “parole, non pensieri” ed infatti constatava (e possiamo appurarne anche noi la plausibilità) il diluvio di parole futili, senza significato, fatto da uomini rozzi e inconsapevoli, il cui desiderio di verità era stato mortificato o banalizzato. La spinta alla confusione moderna era derivata anche dall’assecondare un desiderio un po’ presuntuoso e superficiale di progredire, o di seguire la direzione presa dal mondo: “Se non riesce a fare ordine nella propria testa, men che meno ci riuscirà nell’estrema complessità della sua comunità o civiltà”.
Chesterton si interrogava su come avesse fatto una civiltà cristiana a complicarsi tanto, anche se era del tutto consapevole che queste sue riflessioni sarebbero state accolte con sdegno: “Si ribatterà con tono aspro che non è questo il momento per le assurdità e i paradossi e che serve davvero un uomo pratico che prenda in mano la situazione e rimedi alla confusione”. Era però altrettanto consapevole che questo “uomo pratico”, sganciato dalla tradizione, avrebbe lasciato la confusione ancor più disorientante: “Per qualche strana ragione si usa dire, in riferimento a questi individui “pratici”, che “sanno ciò che vogliono”. Ovviamente è proprio questo ciò che non sanno”. Chesterton intendeva dimostrare che non sanno il perché lo vogliono e che ci si sarebbe dovuto interrogare sul come e i perché, attraverso un pensiero masticato a lungo: “L’uomo non ha alternativa: o si lascia influenzare da un pensiero che è stato meditato a fondo, o da uno che non lo è stato”.
Reputo necessario che si ritorni a considerare la portata del pensiero chestertoniano per comprendere quanto la separazione tra dottrina e prassi, tra pensiero e azione abbia costituito l’anticamera della confusione e del disorientamento che stiamo drammaticamente vivendo.
1 commento su “L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
Ma, ragazzi, se siamo arrivati al punto che coloro che dovrebbero essere le guide si sono messi a fare dichiarazioni congiunte con i seguaci di uno dei più tremendi avversari della Chiesa, un eretico di cui si stanno cantando le lodi per i frutti spirituali che la sua ribellione ha causato, in tal modo contraddicendo sfacciatamente e senza alcuna vergogna ciò che il santo Concilio di Trento a suo tempo decretò; e se un c.d. papa chiama “custodi di musei” chi non vuole rivoluzionare tutto, come possiamo pretendere che questa generazione, già così rincitrullita e imbevuta di ciò che gli presenta il mondo, possa avere la capacità di esercitare il suo pensiero? Se si pensa che i nonni dei nostri giovani, molti dei quali hanno fatto propri i disastri del ‘68, sono coloro che non hanno saputo educare i loro figli verso il Vero e verso il Bene, come possiamo aspettarci un “pensiero masticato a lungo”? E’ diventata una società di robot la nostra, con un cervello precostruito e con tante informazioni, ma purtroppo senza ragione.Tutto ciò che basta per disumanizzare l’uomo.