1° aprile 2017
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LA BUONA BATTAGLIA
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di Fabio Trevisan
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“Amare qualcosa senza desiderare di combattere per averla non è amore, ma lussuria”
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Questa frase, rinvenibile nel saggio “Appreciations and Criticism of the Works of Charles Dickens” del 1911, edito in lingua italiana (Marietti 1820) con il titolo “Una gioia antica e nuova. Scritti su Charles Dickens e la letteratura”, condensa in modo efficace il pensiero di Chesterton sulla “buona battaglia”. In un’epoca, come la nostra, caratterizzata dall’incapacità di mantenere l’obbligo di fedeltà dato e quindi di amare fino in fondo e desiderare conseguentemente di combattere per quella causa e per quel voto assunto da principio, ecco il drammatico epilogo prospettato dal grande scrittore londinese: al posto delle virtù della fedeltà e della magnanimità subentrano i vizi corruttori della lussuria e della meschinità.
Come aveva intuito Chesterton, si innesta nel mondo una nuova specie di miserabili traditori, piccoli uomini senza slanci generosi, preoccupati solamente di compiacersi ambiguamente: “Quando la natura umana è umana, incontaminata da sofismi particolari, esiste un naturale legame di parentela tra guerra e corteggiamento…”. Da rilevare quanto insistesse Chesterton sulla “natura umana” e quanto questa natura sia stata erosa, dimenticata, tradita. Per non parlare poi di quel legame di parentela tra guerra e corteggiamento, così malinteso e così vituperato oggi, in un clima ideologico impregnato di pacifismo e sessismo adulterato. L’essenza del vero romanticismo e dell’autentico eroico amore umano era sintetizzato, dal saggista di Beaconsfield, in questa splendida frase: “In un romanzo vero ci sono tre personaggi che vivono e agiscono: Possiamo chiamarli San Giorgio, il Drago e la Principessa. Ogni romanzo deve conoscere il duplice tema dell’amore e della battaglia. Deve esserci una Principessa, l’oggetto da amare; deve esserci il Drago, l’oggetto da combattere, e deve esserci San Giorgio, che è il personaggio che ama e combatte”.
Per Chesterton non era possibile separare il sano amore dalla buona battaglia e per questo inveiva contro la società moderna che stava tralasciando questo indissolubile legame: “La nostra civiltà moderna mostra molti sintomi di cinismo e decadenza, ma di tutti i segnali della fragilità moderna e della mancanza di principi morali, non c’è nessuno così superficiale o pericoloso come questo: che i filosofi di oggi abbiano cominciato a dividere l’amore dalla guerra, e a collocarli in campi opposti”. Chesterton alludeva al nodo inestricabile amore-guerra, pensate un po’, persino nell’amata Chiesa Cattolica Romana: “Una cosa implica l’altra. Una cosa implicava l’altra nel vecchio romanzo e nella vecchia religione, che erano le due cose permanenti dell’umanità. Non si può amare qualcosa senza voler combattere per essa”. Queste frasi mi fanno rabbrividire per l’intensità, la profondità e la stupefacente attualità. Sembra che Chesterton stia parlando adesso a soggetti talmente svirilizzati da non concepirsi quasi più come persone; incapaci di amare e donarsi fino in fondo. Gente così inerme, incapace di lottare e di comprendere il reale significato della vita. Chesterton sapeva invece che amare il mondo equivaleva innanzitutto a combatterlo: “Nello stesso istante in cui si è offerto di amare tutte le persone, egli si è anche offerto di colpirle”. Chesterton ammoniva e rilevava, da sano cattolico che si spendeva per la buona battaglia, dell’importanza della salvezza dell’anima: “Niente è più importante del destino dell’anima…tutti i buoni scrittori esprimono lo stato della loro anima”.
Nell’amato Dickens, a cui aveva dedicato anche altri scritti, Chesterton intravedeva la bellezza della sua anima: “La prima cosa da capire di Dickens è proprio questa condizione fondamentale dell’uomo dietro le sue creazioni”. A certe condizioni era possibile “dialogare” con Dickens: amandone l’anima, lo spirito delle sue creature e desiderare combattere con lui l’iniquità del male e del peccato. Chesterton promuoveva quindi un ardente combattimento spirituale contro ogni modernismo o progressismo, facendoci assaporare una gioia antica e nuova: “Certamente la parola “progresso” oggi è insignificante, perché il progresso dà per scontata una direzione già definita. Ed è proprio su questa direzione che ci troviamo in disaccordo”.
Egli era perfettamente consapevole che, oltre al connubio amore-guerra, era indispensabile tornare alla salvaguardia del dogma e dell’ortodossia: “Il dogma è l’unica cosa che rende possibile una discussione, o un ragionamento”.
2 commenti su “L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
“Niente è più importante del destino dell’anima…”: la più vera e la più giusta delle considerazioni. Ecco cosa diceva P.Pio a tal proposito:
“Una volta suonata la nostra ultima ora, cessati i battiti del nostro cuore, tutto sarà finito per noi, ed il tempo di meritare e quello pure di demeritare. Tali e quali la morte ci troverà,
ci presenteremo a Cristo giudice. I nostri gridi di supplica, le nostre lacrime,i nostri sospiri di pentimento,che ancora sulla terra ci avrebbero guadagnato il cuore di Dio, avrebbero potuto di noi fare, con l’aiuto dei sacramenti, da peccatori dei santi, oggi più a nulla valgono; il tempo della misericordia è trascorso, ora incomincia il tempo della giustizia.”
E in che consiste in fin dei conti la nostra buona battaglia sulla terra e il combattimento contro il male? Ce lo dice il Santo Curato d’Ars:
““Conoscere, amare e servire Dio! Abbiamo solo questo da fare in questo mondo”.
Come sono belle le parole di Chesterton. Purtroppo oggi si ragiona al contrario…. Siamo bombardati da concetti vuoti e “buonisti”. Oggi San Giorgio sarebbe criticato; un “emarginato incapace di dialogare col drago” (si prenderebbe alla lettera ciò che è simbolico). Si scaglierebbero persino gli animalisti.
Siamo in mezzo ad una pletora di uomini e donne robotizzati dal pensiero dominante.
Viviamo in un mondo terribile….