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1° marzo 2016
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Il Gran Sultano del capitalismo = = = = = = = = =
di Fabio Trevisan
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“Non c’è niente davanti a noi tranne un monotono deserto di standardizzazione, frutto del bolscevismo o del Grande Capitale”
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Nel 1926 Chesterton pubblicava le sue considerazioni sul Distributismo (la distribuzione della piccola proprietà) nell’opera: “Il profilo della ragionevolezza”. In conformità con l’enciclica Rerum novarum del 1891 di Leone XIII, egli aveva difeso l’inviolabilità della proprietà privata, la famiglia come cellula primaria della società e la centralità della dignità e della responsabilità della persona. Sapeva chiaramente, come aveva ammonito Leone XIII, che il social-comunismo era una falsa soluzione al vero problema del capitalismo e della concentrazione della ricchezza: “A quanto pare c’è qualcosa di irritante e bizzarro nel dire che quando il capitale diventa troppo nelle mani di pochi, la cosa giusta da fare è rimetterlo nelle mani di molti”. All’ingiustizia e sopraffazione del capitalismo non si poteva rispondere con l’abolizione della proprietà privata (e dell’uomo) bolscevica.
A distanza di quasi un secolo da quelle analisi chestertoniane sembra incredibile che ci troviamo, senza soluzioni, nelle medesime o, forse, peggiori condizioni: “Il capitalismo ha fatto tutto ciò che il socialismo minacciava di fare…ogni qual volta il capitalista diventa un idealista, e soprattutto quando diventa sentimentale, immancabilmente parla come un socialista”. Alludendo all’immagine tratta dai racconti delle Mille e una notte, Chesterton riferiva che al Gran Sultano del Capitalismo erano molto gradite le favole via via raccontate dalle utopie totalitarie, dal social comunismo all’anarchismo, dal liberalismo al populismo. Con queste favole orribili (basti pensare ai milioni di morti disseminati negli anni dei gulag sovietici) il Gran Sultano del Capitalismo conciliava il sonno! Chesterton denunciava in quegli anni il bluff dei grandi magazzini: “Credo che il grande negozio sia un pessimo negozio. Lo ritengo pessimo in senso morale e commerciale. Credo che quegli empori giganteschi siano non solo volgari e insolenti, ma anche incompetenti e sgradevoli”.
Egli riteneva che, nonostante la falsa facciata del progresso democratico, nel mondo moderno fossero pochissime le cose ancora libere. I colori naturali erano stati falsati dalle ammiccanti luci artificiali, gli spazi erano stati riempiti dagli invadenti cartelloni pubblicitari e tutto per la cosiddetta “anima commerciale”: “L’iniziativa è dalla parte del nemico. E’ lui che si è già messo all’opera, e avrà già fatto molto, prima che noi riusciamo ad attivarci, per il semplice fatto che ha i soldi, le macchine, una maggioranza e altri vantaggi…il nemico ha quasi terminato una conquista monopolistica”. Come rispondere, si chiedeva il grande scrittore londinese, a questo terribile disastro ?
“Se un uomo desidera un giardino di fiori, pianterà fiori dove può e soprattutto dove contribuiranno al carattere generale di un giardino. Ma i fiori non ricoprono completamente il giardino, lo riempiono solo di colore”. Con questo apologo Chesterton indicava come sarebbe stato necessario riappropriarsi di quel senso comune e di quella buona ragione che avevano i nostri padri quando difendevano la loro terra e le loro tradizioni. Egli rammentava che la proprietà era come un deposito che ci era affidato dalla Provvidenza per il bene comune e che avremmo dovuto, un giorno, render conto a Dio dell’uso che ne avremmo fatto. Per Chesterton il Gran Sultano del Capitalismo intrecciava la propria rete, la propria ragnatela attorno a tre nozioni disumane e aberranti: impersonalità, irresponsabilità, irreligiosità.
Contro la ferocia dissennata della finanziarizzazione dell’economia e dell’omologazione del pensiero bisognava reagire: “Ciò che non va nell’uomo della città moderna è il suo ignorare il perché delle cose; ed è per questo che può essere dominato da demagoghi e despoti. Egli non sa da dove vengono le cose…le menti degli uomini non sono così simili come le automobili, o come i giornali del mattino. In altre parole, non stiamo tirando fuori il meglio degli uomini. E dubito che riusciremo mai a farlo, se prima non interrompiamo questo assordante frastuono di megafoni che copre le loro voci, questo bagliore micidiale di riflettori che smorza i colori della loro carnagione, quest’urlo forte e lamentoso con cui si ripetono banalità che stordiscono e bloccano le loro menti”.
Egli ci stava ricordando il monotono e terribile deserto di standardizzazione verso il basso dove stavamo precipitando. Era tutto ciò che il Gran Sultano preferiva non sentire, desiderando addormentarsi con qualche favoletta divertente. In quel modo il Capitalismo poteva conciliare e perpetuare il suo lungo sonno.
6 commenti su “L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
Non pensa, caro Trevisan, che il capitalista idealista e sentimentale, parla come un socialista semplicemente perché tutte queste utopie hanno lo stesso padre? Ovvero procedono tutte da Hegel, per non parlare di illuminismo e kantismo?
Comunque stiamo assistendo alla concentrazione del capitale nelle mani di pochi e questo regalo lo hanno ricevuto dai cittadini ignari che hanno consegnato la sovranità monetaria in mano alle banche. Da un lato sono contenta. Quanto mi sono sgolata alla fine degli anni 80: aveva ragione GKC. Ora assistiamo al disastro causato da questo modello mostruoso, così come é inutile sperare che partiti populisti e sinistrorsi ci salvino. Aveva ragione un mio professore universitario, che ci insegnò subito la correlazione tra ateismo e filosofia moderna…..
Si risvegliasse oggi Chesterton che riteneva la proprietà un bene del cui uso si deve un giorno rendere conto a Dio, inorridirebbe nel constatare che proprio quelli che si sono fatti paladini di un credo che aborrisce il capitale, possono permettersi di sborsare fior di quattrini per comprare bambini fatti su misura e con modalità a dir poco immorali per ridurli a oggetto delle loro innaturali pretese di paternità o maternità –a seconda dei casi- essendo pervertiti e disprezzando impunemente l’ordine naturale voluto dal Creatore. Il tutto sotto lo sguardo quanto meno annebbiato di un mondo anestetizzato e standardizzato dal suo eterno nemico.
Grazie al caro Trevisan per il dono che ci fa del “santo” profeta Chesterton, e grazie
anche alle care Maria Teresa e Tonietta per i condivisibili ottimi commenti.
A Maria Teresa, che ringrazio per il commento: “Chesterton aveva come riferimento storico il capitalismo inglese iniziato dopo la Riforma di Enrico VIII (l’amico storico Hilaire Belloc gli aveva fornito la documentazione – in oltre 150 saggi-). Avendo poi letto e interpretato con Belloc e P.McNabb (un padre domenicano tomista loro amico e direttore spirituale) la “Rerum novarum ” del 1891, concordavano sul fatto che la soluzione socialista fosse una falsa risposta ad un reale problema, il capitalismo. Difendevano la proprietà privata ma non la concentrazione della ricchezza e avevano elaborato così, interpretando Leone XIII, il Distributismo, la distribuzione della piccola proprietà contro l’impersonalità, l’irresponsabilità e l’irreligiosità di quelle ideologie”. Facevano quindi riferimento a ciò che accadde con la Riforma di Enrico VIII e quindi molto prima di Hegel e Kant cui lei gentilmente faceva riferimento”. Grazie. Fabio
Grazie per la precisazione. Conosco la Rerum novarum, ma non mi ricordo della Riforma di Enrico VIII. Andrò a colmare la lacuna.
Già! la sovranità monetaria sottratta agli Stati e conseguentemente ai cittadini, trasformando l’emissione monetaria in moneta debito (alias debito pubblico).
E’ lo strangolamento finale della verità che fa liberi, e quasi nessuno se ne accorge, complici i media. boa conscrictors dei cervelli della nuova svolta antropologica.