1° febbraio 2017
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IL GRANDE NAUFRAGIO
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di Fabio Trevisan
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“La nostra intera civiltà è proprio come il Titanic; simile nella sua potenza e nella sua impotenza, nella sua sicurezza e nella sua insicurezza”
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A poca distanza di tempo dall’incredibile naufragio del Titanic a causa di un iceberg, Gilbert Keith Chesterton scriveva sull’ Illustrated London News dell’11 maggio 1912 un memorabile pezzo dal titolo già di per sé eloquente: “Il grande naufragio come analogia”. Lungi da speculazioni ciniche e da fantasie astratte dal drammatico contesto (ricordiamo che le vittime di quel terribile naufragio furono più di 1500), balzò agli occhi del grande pensatore inglese una lucida analogia tra la grande nave e quella “grande” società moderna che l’aveva prodotta: “Questa analogia non è una fantasia, è un fatto; un fatto forse troppo grande e chiaro perché l’occhio lo colga facilmente”.
Non dobbiamo dimenticare che l’occhio dell’osservatore in questione era un occhio di un artista, sua prima passione, che nutriva con disegni, illustrazioni; infatti egli allenava questo importante organo visivo a scrutare nei dettagli, nelle forme e nei colori. A quest’occhio allenato sin da giovane a scorgere l’invisibile nel visibile attraverso le forme dell’arte figurativa e dei ritratti, Chesterton univa un penetrante “occhio filosofico” che attraverso il magistrale uso del paradosso per la verità illuminava razionalmente i fatti. Questa duplice natura in Chesterton era inseparabile, tanto che in molte sue opere (saggi, romanzi, poemi) si poteva rinvenire un costante richiamo alla “visione”, alla sana immaginazione congiunta alla difesa della ragione, dell’ortodossia e del dogma.
Chesterton quindi ci mostrava, ci faceva vedere e ci invitava a riflettere su quel legame reale tra simili catastrofi e l’assetto mentale dell’uomo moderno, il suo sentirsi sicuro in mezzo all’oceano su una nave che aveva dimenticato l’umiltà del disegno originario, cioè il suo essere, nonostante ogni miglioramento tecnologico, una semplice ed umile barca: “Un uomo rozzo che va per mare in una piccola barca può fare ogni sorta di errori: può bersi troppo rum, può ubriacarsi, può annegare: ma, cauto o avventato, sbronzo o sobrio, non riesce a dimenticare che sta su una barca e che una barca è una bestia altrettanto pericolosa quanto un cavallo selvaggio”. Per quanto mastodontica e immaginifica, la barca rimaneva una barca, ovvero una bestia che poteva essere pericolosa come un cavallo selvaggio o imbizzarrito.
Ribadiamo che al grande saggista di Beaconsfield non interessava fare un inopportuno fervorino morale ma piuttosto annotare realisticamente e far osservare quanto un falso clima di sicurezza avesse accompagnato il grande progetto navale, dimenticando la natura perigliosa originaria: “Se fai la tua barca tanto grande che nemmeno sembra una barca, ma piuttosto una specie di stabilimento balneare, questo non mancherà, secondo la più profonda conformazione nella natura umana, di generare un atteggiamento mentale meno vigile”. Chesterton aveva sperimentato, nella sua giovinezza, cosa significasse fare naufragio, perdere il gusto e il sapore della vita, dimenticarsi del valore delle cose create ed aveva trovato la risposta in quella che amava definire “Chiesa Cattolica Romana”. Egli sapeva, con il suo grande maestro di logica, San Tommaso d’Aquino, che “L’uomo è governato non solo da ciò che pensa ma anche da ciò a cui sceglie di pensare”. Chesterton era inoltre consapevole di ciò che i giornali e i politici non sapevano, come egli stesso acutamente asserì: “Essi non sanno di che cosa l’uomo è fatto davvero, e che razza di cosa sia la nostra natura al suo meglio e al suo peggio”. Aveva conosciuto i ribelli fumi dell’orgoglio fino a che si era arreso docilmente all’ortodossia cattolica. Sapeva ed inveiva contro la superbia e frequentava le osterie e le taverne dove poteva riconoscersi (“Sono solo un umano” diceva con un sorriso) come un semplice uomo.
Nel valutare gli angosciosi commenti dei media dell’epoca al disastro del Titanic, il grande scrittore londinese aveva notato un clima psicologico che non condivideva e che aveva condensato in poche righe: “Questa strana, fredda, frivola incapacità di concepire come una cosa è, perfino nei commenti a questo dolore sbalorditivo”. Analogamente aveva ricondotto al gigantesco Titanic l’essenza della civiltà moderna, il suo esito drammatico, la sua potenza e la manifesta impotenza, la sua apparente sicurezza e la sostanziale insicurezza.
Da grande pensatore tomista non poteva non ricorrere al metodo logico dell’analogia e vedere così in quell’incredibile grande naufragio la deriva di una civiltà che aveva perduto la saldezza della razionalità della fede e dell’unità delle virtù umane e cristiane.
3 commenti su “L’angolo di Gilbert K. Chesterton – Grandezza e attualità di uno scrittore cattolico – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
Ero ancora alle elementari quando la nostra maestra, nell’intento di darci un insegnamento morale, ci raccontò la storia del Titanic mettendo in risalto che, vantandosi di quella nave perfettamente costruita, qualcuno disse che neanche Dio avrebbe potuto affondarla. Non solo la vicenda, ma tutto ciò che la maestra ci disse, soprattutto riguardo all’offesa arrecata a Dio, mi colpirono tantissimo e a tutt’oggi, ogni volta che sento parlare del Titanic mi vengono in mente quelle infelici parole: “Neanche Dio potrà affondarla”. Non voglio dire che Dio si sia vendicato dell’offesa ricevuta, ma che l’insipienza umana è sempre danno all’uomo stesso, questo sì. Come avviene ai nostri giorni, visto che l’uomo non cambia mai e ripete sempre gli stessi errori. Nel nostro delirio di onnipotenza e nella nostra insulsa supponenza non ci rendiamo conto che messo da parte Dio, siamo nulla; ed è per questo che mi piace tantissimo la sintesi di Chesterton sul clima psicologico ai tempi della sciagura: “Questa strana, fredda, frivola incapacità di concepire come una cosa è, perfino nei commenti a questo dolore sbalorditivo”. Come non applicare questa stessa frase alle terribili vicende avvenute dalle mie parti dal primo terremoto di agosto in poi, compresi i disastri meteorologici?
Sì, ma ragionando sempre per analogia e, tenuto conto del nome della nave, possiamo sostenere che essa “non potè” portare a termine la traversata……. E per questo che Chesterton criticò la superficialità dei commenti scritti dopo il disastro.
Ora, al contrario di un secolo fa, non si può nemmeno accennare che la nostra società sta naufragando per il suo ostentato titanismo. In questo senso si può asserire che siamo peggiori dei giornalisti di allora……
L’uomo è più fragile del suo orgoglio (il peccato di Satana): consapevolezza di pochi (tra i quali il nostro GKC), dimenticata da molti.