I mesi del Coronavirus stanno cambiando il mondo. In peggio, temiamo. Il potere ha tolto la maschera e, con un acrobatico colpo di genio, l’ha imposta a noi, i sudditi. Spersonalizzati, inerti, materia da plasmare secondo convenienza e mercato, siamo più che mai spettatori passivi di ciò che accade. Per chi ancora vive immerso nel pensiero meditante – noi pochi infelici – sono tantissimi i fatti che scuotono la coscienza. Per la maggioranza, ciò che conta è che cambi la “fase”, secondo istruzioni governative e prescrizione dei nuovi stregoni, i virologi, in attesa del sospirato vaccino.
Le notizie che ci devono raggiungere sono accuratamente scelte dal potere. Secondo Baudelaire, la più grande astuzia di Satana è averci persuaso della sua inesistenza. Così, se diciamo ad amici e conoscenti che la stragrande maggioranza delle news (fa più fino di notizie, così provinciale…) provengono da un pugno di grandi agenzie possedute dagli stessi che hanno in mano le multinazionali, la finanza e la tecnologia, ci guardano con commiserazione e passano oltre.
Una notizia è stata raccolta da mezzi non legati a lorsignori (Bill Gates, ad esempio, finanzia con milioni di dollari grandi media “indipendenti” come Le Monde o Der Spiegel), diffusa da Russiatoday (rt.com): almeno cinquanta neonati sono “parcheggiati” in un albergo di Kiev, la capitale dell’Ucraina, in quanto i loro proprietari – pardon, genitori “legali” – insomma i committenti dell’ordinazione di un figlio con determinate caratteristiche, non possono ritirarli e portarli all’estero a causa delle restrizioni nella circolazione internazionale dovute al Coronavirus.
Il lettore capirà che la terminologia gelidamente commerciale è assolutamente voluta. Il pensiero calcolante non pensa, agisce, la scienza si svilisce in tecnologia e l’Ucraina è uno dei santuari del mondo-mercato. Il sito russo è prodigo di particolari: i bimbi surrogati (“surrogate babies”) sono stati oggetto di un appello video di una benemerita azienda innovativa (start-up, nella lingua di legno), la Biotexcom, che descrive se stessa come “centro per la riproduzione umana”. Il pensiero corre a due opere del cinema dei primordi: Metropolis di Fritz Lang e Tempi Moderni di Charlie Chaplin, con la differenza che la catena di montaggio è destinata alla produzione di esseri umani. Si sorride amaro al pensiero che il nazismo, Male Assoluto, viene quotidianamente realizzato dai padroni delle tecnoscienze.
Biotexcom ci tiene a rassicurare: dei bimbi si prende cura il suo personale. Non avevamo dubbi. Valgono molto, in denaro: la merce va salvaguardata. L’albergo-kinderheim si chiama Venezia, ed è l’unico elemento di civiltà della vicenda. La ditta lamenta che i genitori adottivi non abbiano l’opportunità di prelevare i piccini per la chiusura delle frontiere. Nessun timore, tuttavia: “vengono regolarmente alimentati e esposti all’aria fresca”. Queste voci di spesa figureranno certamente nella fattura che presenteranno ai “genitori”. Su di essi, le informazioni sono assai interessanti: provengono da vari paesi occidentali e, udite udite, anche dalla Cina. Il video non è sfuggito a una deputata locale, incaricata dei diritti dell’infanzia, che parla di un meccanismo “sistemico di massa”. La maternità surrogata è pubblicizzata e venduta come “prodotto di alta qualità”, un’eccellenza nazionale, tipo la moda italiana o lo champagne francese.
L’esponente politica si chiede se questi “servizi” non ledano i diritti dell’infanzia. L’Ucraina “diventa un Paese che dona (meglio sarebbe dire fabbrica e vende, N.d. R.) neonati a stranieri e non può decidere il loro destino”. L’utero in affitto e le altre pratiche di maternità surrogata e riproduzione artificiale non sono esplicitamente vietate; agiscono in una zona grigia di immondi traffici che alimentano una fiorente industria, evidentemente coperti da settori di potere.
In una clinica, la polizia ha accertato la presenza di bambini venduti a cittadini cinesi di sesso maschile. Il prezzo del prodotto-bebé è di circa 50.000 dollari, si è tentati di aggiungere chiavi in mano. Sono comprese le consulenze per matrimoni combinati e i permessi per l’esportazione dei bambini. Secondo Russia Today gli acquirenti cinesi sono uomini di un certo “orientamento”. Poiché non pensiamo che di orientamento politico si tratti, osiamo immaginare solo due possibilità: o gli aspiranti padri sono omosessuali oppure, Dio non voglia, pedofili. Madamina, il catalogo è questo, e mai come in questo caso il termine è pregnante.
La tragedia non è solo che fatti del genere accadano: la legge di Gabor insegna che ogni possibilità tecnica verrà portata sino in fondo, in un mondo privo di ancoraggi etici, intriso di materialismo e utilitarismo. Ciò che turba la coscienza è l’assenza di indignazione, il silenzio, la mancanza di una compatta riprovazione sociale e comunitaria. Per questo ci sentiamo dei sopravvissuti, dei Guy Montag, il personaggio di Fahrenheit 451, il cui compito di pompiere era bruciare ogni traccia di libri, ovvero di civiltà, moralità e trasmissione della conoscenza e del senso. Guy Montag si ribella e si mette, alla fine, a disposizione del nuovo che verrà dopo l’esplosione nucleare che distrugge il mondo tirannico.
Un aspetto del personaggio è la presa di coscienza del suo ruolo capovolto, nella società folle e distopica: un pompiere che non spegne incendi, ma li appicca, per disperdere ogni traccia di “prima”. Prima, appunto. Nel mondo di ieri abbondavano le brutture, ma almeno erano considerate tali. Per ordinare la vita umana, c’era il matrimonio, teso a stabilizzare gli affetti ma prima ancora a regolarizzare la paternità, la trasmissione “legale” della vita, con il suo carico di responsabilità. Esisteva la famiglia, luogo comunitario di crescita, socializzazione cultura. Il matrimonio, celebrato con solennità, richiedeva la più elevata delle approvazioni, quella di Dio e della religione costituita.
Sempre si sono praticati aborti, ma lo si considerava un gesto grave, innaturale. Gli uomini avevano un’origine – familiare e comunitaria, la patria – e un destino.
Nel nostro Fahrenheit 451, i pompieri appiccano incendi, il matrimonio è un contratto che riguarda indistintamente ogni “orientamento sessuale”. I figli, se proprio si vuole seguire la strana voce della natura che impone la trasmissione della vita, sono un “diritto” (a pagamento). Dunque, adozioni facili, in realtà acquisto di bambini per appagare un desiderio (qualche volta un capriccio), legalizzazione delle pratiche più indegne. Un altro capovolgimento: adottare significava dare una famiglia a un bambino, non un figlio a chi ne fa richiesta.
Tutto questo, nell’ultimo mezzo secolo, è diventato normale. Normale il divorzio – se sposarsi è un contratto con clausole e codicilli, è ovvio prevedere modalità rapide e sicure di recesso –, normale non sposarsi neppure – si evitano fastidiosi strascichi legali e patrimoniali – in un’epoca di rapporti provvisori, liquidi, giusto il tempo del piacere fisico, del tornaconto reciproco usa e getta, normale cambiare “orientamento”. I figli producono responsabilità, impediscono libertà e carriera. Meglio l’aborto banalizzato, oppure procurarseli in età matura, scegliendo accuratamente il modello, in base a moda e disponibilità del portafogli. L’atto del concepimento, se è un problema (ah, l’orientamento sessuale), può essere realizzato in vitro. Madri povere surrogate, schiave di tipo nuovo, se ne troveranno sempre, la scienza, anzi la tecnica, risolve ogni problema. Quando il bambino è pronto, ecco un prodotto in più nel supermercato globale, con pagamento alla consegna.
Torna in mente il drammatico libro estremo dell’antropologa femminista Ida Magli, Figli dell’uomo, che dimostra come la storia della specie umana nasconda tra le sue ombre più grandi il rapporto ambivalente con i “cuccioli di uomo”. Oggetto d’amore, certo, ma molto spesso trattati come una proprietà sacrificabile e sacrificata, compravendibile. Il suo è stato un viaggio sconcertante di scoperta, un pugno nello stomaco del lettore, che tocca con mano oscurità tremende della condizione dell’homo sapiens.
Il quid pluris, il di più del tempo nostro, è la potenza irrefrenabile della tecnologia al servizio del mercato, dello sfruttamento, del dominio. Turba la condizione delle madri che hanno tenuto in grembo una vita – propria o “tecnicamente” altrui. Vengono pagate per il servizio e scompaiono. Getta nella costernazione il ruolo miserabile di chi vende il proprio seme e naturalmente, oltre al pagamento del corrispettivo per la squallida prestazione – un servizio da assoggettare a imposta – pretende una liberatoria per ogni responsabilità successiva. Inquieta l’indifferenza di scienziati, tecnici, operatori. E’ un settore economico, genera valore aggiunto, aumenta il PIL.
Jorge Bergoglio ha messo in guardia dal “pane sporco” di certe attività. Ma sporco rispetto a quale criterio o sistema di principi? L’uomo occidentale vive nel più greve materialismo: che cosa è sporco e che cosa pulito, nel 2020? Ci chiediamo quale sarà il destino dei bambini, quelli dell’albergo Venezia di Kiev e degli altri che nascono e vivono nella società contemporanea. È un mondo di nonluoghi – uno è la clinica delle procreazioni surrogate zootecniche – nel quale conta che i neonati siano ritirati e velocemente condotti in un diverso paese. Patria, terra dei padri: un concetto obsoleto e persino ridicolo. Il sangue sembra non contare più, poiché tutto è cultura e nulla è natura (Judit Butler, teorica omosessuale del gender). Padre e madre naturali, anzi “biologici”, svalutati a genitori 1 e 2, ma si può agevolmente raddoppiare, triplicare, tra donatrici di ovuli, fornitrici dell’utero, inseminatori e genitori legali, destinatari finali del fiorente mercato.
In che mondo vivranno i bambini di Kiev? Si adegueranno a una società liquida, in famiglie instabili, monoparentali, unisex o allargate, tra rapporti di ogni tipo, promiscuità, non di rado privati del diritto a due genitori di sesso opposto, spinti per imitazione a riprodurre i comportamenti familiari. I bimbi di Kiev sono belli, sani, di “ottima qualità”. Certamente chi li ha pagati tanto cari potrà offrire loro una vita materiale agiata. Si abitueranno, nuoteranno nell’acqua che altri hanno sporcato. Ai tempi dei nostri nonni, ci si sposava una sola volta, si avevano figli, si trasmetteva un sistema di principi semplice: Dio, Patria e famiglia, lavoro, onore personale, rispetto per le leggi. La nonna di chi scrive pronunciava la parola aborto arrossendo.
La generazione dei padri ha conquistato i “diritti”. Le famiglie si sono sfasciate, ogni condotta, nel tempo, è diventata accettabile, il male di ieri è diventato il bene. I piromani hanno vinto. Il passo successivo, il nostro, è stato quello di normalizzare tutto, trasformare in diritto il capriccio e vietare il giudizio. Nulla è bene o male, si può tutto, se è tecnicamente possibile, genera profitto, alimenta un mercato. Immanuel Kant fu l’ultimo a chiedere di trattare l’uomo come un fine e non come un mezzo. Ingenuità, errore di prospettiva: non può funzionare alcun orizzonte etico all’interno di valori materiali, strumentali. Tutt’al più, può sussistere la deontologia: far bene il proprio lavoro, per interesse, come ammetteva il funesto Benjamin Franklin. Gli scienziati e i mercanti di Kiev hanno fatto bene il loro mestiere: i bambini sono nati, sono sani, robusti e conformi all’ordinazione. Si sbrighi dunque il potere – liberale, liberista e libertario- a ripristinare la libera circolazione.
Resta da stabilire se i piccoli, i figli dell’uomo, devono essere trattati come persone o come merci. Siamo gli ultimi mohicani a inquietarci. Tutto è normalizzato, tutto è digerito dal grande stomaco dell’uomo occidentale, illuminato, progressista, tecnicamente e politicamente corretto, nemmeno più moralmente corrotto. No, semplicemente indifferente. Ricordate la definizione di peccato della tradizione cristiana? È il male fatto “con piena vertenza e deliberato consenso”. Ma che cosa è “male”? Forse ciò che non conviene, che non contribuisce alla ricerca della felicità. Saltato il tappo, esplosa la bottiglia, il liquido si sparge ovunque. Nessuno osi pronunciare giudizi morali, né lanci interdetti. Conta l’oggi, e oggi quasi tutto è permesso, anzi consigliato, prescritto da un potente apparato di manipolazione.
La parola chiave è tolleranza, ovvero il divieto di esprimere un giudizio etico. Se volete un figlio, il catalogo è pronto, suadente, colorato, con prezzi e qualche offerta speciale. Chissà che i genitori dei bimbi di Kiev, se dura l’emergenza, non ottengano uno sconto, purché liberino i fabbricanti del loro magazzino. Parole aspre, ma le coscienze dormono comunque, così come è esercizio vano pretendere etica dalla scienza e dalla tecnica.
È la comunità, se esiste, a doversi ribellare, a ristabilire i confini del lecito e dell’empio, del bene e del male. I bambini di Kiev, oggi vittime, saranno domani, come generazione, i protagonisti di ulteriore degrado, se non ci sbrighiamo a insorgere, ad abbattere la ragione economica, il pensiero calcolante, l’indifferenza al giudizio, se, diciamolo apertamente, non la smetteremo di essere tolleranti con l’intollerabile. Una sana, consapevole intolleranza come rivolta ideale in nome dell’uomo, della natura e del Creatore, è l’unica possibilità, l’ultimo antidoto alla Bestia trionfante.
Occorre ripristinare il recinto del sacro, che è tale in quanto sottratto alla manipolazione e al commercio. I bambini non si fabbricano, non si compravendono, non sono un diritto e tanto meno un capriccio. Hanno il diritto elementare a un padre e una madre, a un’educazione secondo legge naturale. Non c’è natura umana senza cultura, ma non c’è cultura senza verità. L’oracolo di Delfi prescriveva all’uomo di essere se stesso. Socrate avanzò una pretesa più grande: conosci te stesso. L’uomo non è un animale da soma, da monta o da riproduzione. Non nasce schiavo ed è fatto a immagine di un Creatore. Il deserto cresce, a Kiev e dovunque. Guai a chi cela deserti dentro di sé, ammoniva Zarathustra, ma non si rivolgeva agli Ultimi Uomini, la specie d’allevamento.
2 commenti su “L’albergo dei bambini di Kiev”
Grazie per l’articolo. Mi permetto di correggere la parola “vertenza” con “avvertenza” nel quart’ultimo capoverso.
leggendo questo articolo e l’orrore che viene descritto viene da chiedersi: come è stato possibile? Come è stato possibile un sovvertimento dell’etica e della struttura sociale di queste proporzioni? Credo che la maggior parte delle persone ancora non abbia capito, non abbia realizzato quale inferno si è materializzato attorno a noi, qualcun altro preferisce non vedere, non sentire, non parlare….. Poi sorge la domanda: come invertire la rotta? Cosa si può fare oltre alla, giustissima, denuncia. Qualcuno si è mosso organizzando per il 2 giugno una protesta popolare a piazza del popolo, se non c’è altro bisognerà aderire a quella.