4 Novembre: una data che un tempo era celebrata come l’anniversario della Vittoria. Era la conclusione della Prima Guerra Mondiale, ma in effetti si potrebbe dire – coniando un neologismo storico – che era la conclusione della Guerra dei 70 anni tra Italia e Austria. Iniziato nel 1848 con le Cinque Giornate di Milano e la Prima Guerra di Indipendenza, il lungo conflitto ebbe termine in quel terribile autunno, con l’Europa falcidiata dalla Pandemia di Influenza Spagnola e prostrata da quattro annidi guerra terribile.
L’Italia aveva colto l’occasione di quel conflitto mondiale per raggiungere una meta insperata e ormai forse messa da parte, se non nelle aspirazioni dei nazionalisti più radicali: il pieno compimento del Risorgimento. Questo era stato un fenomeno storico e politico interamente costruito sull’odio per lo “straniero”, che di fatto era l’Austria. A ciò si aggiunse naturalmente l’odio per la Chiesa. Così l’Italia, rigettando il patto di alleanza che aveva negli anni precedenti contratto con Austria e Germania, dichiarò guerra all’Impero asburgico, in preda al furore nazionalistico manovrato dalla Massoneria internazionale. Alla fine del conflitto, l’Italia non si accontentò di annettere al proprio territorio Trieste e Trento, ma volle dilatare i propri confini ben oltre Salorno, che rappresentava il confine etnolinguistico fra Trentino e Tirolo.
L’ambizione dei nazionalisti italiani più accesi era quello di annettersi tutto il Tirolo, tant’è che la stessa Innsbruck venne occupata dai soldati in grigioverde. Le era stato anche cambiato il nome nell’italico “Enoponte”, ma le truppe di Vittorio Emanuele dovettero lasciarla nel 1920, quando vennero sanciti col trattato di Saint-Germain i nuovi confini, che vennero posti al Brennero. Il Tirolo, dopo un secolo dal tentativo napoleonico, si trovò a essere nuovamente diviso e occupato in parte da una potenza straniera.
Finita la guerra contro l’Austria, iniziò una guerra strisciante contro gli austriaci, ovvero quegli sfortunati tirolesi che avevano visto il proprio territorio occupato dal Regno d’Italia. I nazionalisti italiani più fanatici vollero la cancellazione di qualsiasi traccia e testimonianza di cultura tirolese dai nuovi territori, anche con la violenza. Prima della guerra solo il 3% della popolazione residente in quelle terre era di lingua italiana, concentrata particolarmente a Bolzano: nondimeno si provvide a italianizzare tutti i toponimi, arrivando a risultati anche ridicoli.
L’architetto dell’italianizzazione forzata fu Ettore Tolomei, uno studioso di origini toscane la cui famiglia si era trasferita a metà Ottocento a Rovereto. Tolomei era un nazionalista, ferocemente anticlericale, e si accanì contro l’identità culturale e religiosa tirolese. Fu lui a riesumare il termine napoleonico di “Alto Adige” e a volere rimpiazzare con questo il nome plurisecolare di Tirolo. Un termine che per i tirolesi era particolarmente doloroso perché rievocava il tragico periodo franco-bavarese del secolo precedente. Erano stati infatti i Giacobini Napoleonici a inventare questo termine astruso. Era abitudine infatti dei rivoluzionari cancellare i nomi storici, come era accaduto a casa loro, sostituendo ad esempio Bretagna con Dipartimento della Loira atlantica.
Curiosamente il termine “Alto Adige” è diventato nell’immaginario italico una sorta di linea del Piave da non oltrepassare. Può essere venuto meno ogni senso civico, ogni autentico amore per la Patria, ma – come si è visto anche molto recentemente – all’italiano non gli devi toccare questo termine fluviale. Un po’ come la Chiesa Cattolica, che mostra i muscoli una volta all’anno, il 31 ottobre, tuonando contro Halloween, mentre per il resto il paganesimo ormai dilaga indisturbato.
L’italiano medio non conosce praticamente nulla della storia di quella parte di Tirolo che fu inglobata cent’anni fa nel regno sabaudo. Forse potrebbe essere utile ricordare qualche dato storico. L’”Alto Adige” venne incluso nel governatorato della Venezia Tridentina e costituito in provincia nel 1926. I tirolesi vissero questi anni, lo shock dell’annessione all’Italia, con grande civiltà, opponendosi senza violenza all’ingiustizia subita. In questo fu determinante il ruolo della Chiesa, che fece di tutto per rasserenare gli animi, per fortificare i fedeli e aiutarli ad accettare con pazienza gli avvenimenti.
Da un altro versante, quello politico, il Tirolo cercò di far valere i propri diritti attraverso l’azione politica, dando vita a movimenti politici di rappresentanza delle proprie istanze. Nelle prime elezioni generali cui parteciparono riuscirono ad inviare a Roma quattro rappresentanti, che da subito si impegnarono per ottenere garanzie sui loro diritti e per cercare di avere un certo grado di autonomia.
Tutto però venne vanificato alla fine dell’anno seguente quando il fascismo prese il potere con la forza. I fascisti avevano già fatto capire come la pensassero sulle richieste di autonomia dei tirolesi: il 24 aprile 1921 uno squadrone di camicie nere agli ordini di un giovane gerarca pugliese, Achille Starace, destinato in seguito ad una grande carriera nel regime fino a diventare segretario nazionale del Partito fascista, assaltò con armi da fuoco e bombe a mano una sfilata in costumi tradizionali di cittadini tirolesi.
Numerose furono le vittime di quell’assalto, che vide anche l’efferato episodio dell’assassinio di un maestro elementare, Franz Innerhofer, ucciso a colpi di pistola nel tentativo di ripararsi sotto un portone con uno scolaro che voleva salvare dal linciaggio. Quel giorno viene ancora oggi ricordato in Tirolo come “Blutig Sonntag”, la “Domenica di sangue”.
Dopo la presa di potere dei fascisti il Tirolo subì un processo di italianizzazione forzata ancor più pesante: fu vietato l’insegnamento della lingua tedesca nelle scuole, fu censurata tutta la stampa germanofona, persino i nomi e addirittura i cognomi furono forzatamente italianizzati. Fu incentivata l’immigrazione dalle regioni più povere d’Italia, promuovendo l’industrializzazione dell’”Alto Adige”, con l’intento di aumentare la consistenza dell’etnia italofona. La popolazione tirolese resistette pacificamente, aggrappandosi alla propria lingua, alle proprie tradizioni, alla propria cultura perseguitata.
Vennero fondate delle scuole clandestine, le cosiddette “Scuole delle catacombe”, a opera di un sacerdote, il canonico Michael Gamper, dove gli alunni potevano studiare in tedesco. Nell’autunno del 1928 furono create scuole parrocchiali ove s’insegnava la religione nella madrelingua. Il governo italiano, con i militari e i nuovi funzionari dell’amministrazione, non solo si era proposto di colonizzare il Sud Tirolo facendone una terra italiana, ma non pose molta attenzione nemmeno alle esigenze delle popolazioni trentine, considerate “redente” a parole, ma trattate anch’esse come abitanti di terre conquistate.
Le popolazioni trentine durante l’appartenenza all’Impero Asburgico avevano goduto di un’esemplare amministrazione pubblica, esercitata da funzionari generalmente incorruttibili, avevano sempre pagato tasse decisamente inferiori a quelle dello stato italiano e avevano sempre vissuto con dignità, pur essendo in buona parte povere. In Tirolo, oltre alla resistenza culturale condotta dalle scuole clandestine, si sentì la necessità di dare vita ad un movimento di opinione che sostenesse le richieste e le ragioni di quella terra. Nacque così un movimento che si ispirò nel nome al grande eroe, al campione della causa della libertà tirolese. Era l’Andreas Hofer Bund, la Lega Andreas Hofer.
Il movimento era stato fondato nel 1919 a Innsbruck, subito dopo l’annessione, e se in un primo tempo si era caratterizzato come organizzazione il cui compito era informare l’opinione pubblica austriaca e anche europea sulle condizioni dei territori assegnati all’Italia e promuovere una revisione dei trattati che avevano spaccato in due il Tirolo col confine al Brennero, con l’avvento del fascismo l’Andreas Hofer Bund diventò un vero e proprio movimento di opposizione politica alla dittatura. Coerentemente al personaggio cui si ispiravano, campione della libertà, i militanti del Bund respingevano ogni seduzione totalitaria.
Quando tuttavia si arrivò all’alleanza fra Hitler e Mussolini, e successivamente all’annessione dell’Austria al Reich tedesco, anche molti sudtirolesi furono attratti da idee pangermaniste, e si fece strada un’ipotesi di distacco della provincia dall’Italia e l’entrata a far parte dell’unico stato tedesco.
Tuttavia Mussolini, dominato dall’idea di una “Grande Italia” non poteva pensare alla rinuncia a quelle terre, e da parte sua Hitler non provava alcuna simpatia per i tirolesi, ai suoi occhi colpevoli di essere troppo cattolici e pacifici.
Il 23 giugno 1939 fu stipulato un accordo fra il regime nazista e quello fascista che portò alle cosiddette Opzioni. Ai Sudtirolesi veniva imposto di scegliere se rimanere entro i confini italiani accettando l’italianizzazione definitiva, o trasferirsi in altri territori del Reich tedesco. Nel primo caso si rimaneva nelle proprie case, si restava sulla propria terra, ma perdendo la propria identità, nel secondo si manteneva la propria lingua e la cultura tedesca, ma si doveva andare esuli in Germania. In entrambi i casi si trattava di una scelta difficile, una nuova terribile prova per il popolo tirolese. Intere famiglie furono lacerate fra Dableiber (coloro che decisero di non tradire la loro terra, rimanendo) e Optanten, che erano coloro che optavano di emigrare nei territori del Reich per non tradire la loro identità culturale tedesca.
Decine di migliaia di Optanten emigrarono fino a tutto il 1943, soprattutto semplici lavoratori e contadini, che vendettero le loro case al governo italiano o ai loro vicini Dableiber. L’Andreas Hofer Bund venne così rifondato in quel drammatico 1939 e divenne il movimento dei Dableiber, di coloro che avevano deciso di non trasferirsi nel Reich e di rimanere nell’Heimat, a costo di subire la totale italianizzazione, rischiando di perdere la propria identità. Bisognava resistere contro ogni tentativo di imporre con la forza idee contrarie ai loro valori tradizionali, quelli che Andreas Hofer aveva difeso con la propria vita. Questi valori trovarono pieno riscontro fra i Dableiber che si rifiutavano di abbandonare la propria terra natia. Quella dell’Andreas Hofer Bund era una minoranza coraggiosa, che aveva colto il senso più profondo dell’epopea hoferiana, aggiornando il motto Fur Gott Kaiser und Vaterland con un significativo attaccamento ai valori di Glaube und Heimat (Fede e piccola patria).
Il Bund propagandò le proprie idee e, soprattutto, difese le persone che avendo fatto quella scelta erano divenute l’oggetto dell’ostilità dei sostenitori dell’opzione per la Germania. Perseguitato dal fascismo, il Bund fu pesantemente preso di mira anche dai nazisti. Dopo l’occupazione tedesca seguita all’8 settembre 1943, l’Andreas Hofer Bund divenne il centro della resistenza antinazista sudtirolese.
L’occupazione nazista portò nella pacifica terra tirolese i peggiori orrori dell’ideologia totalitaria: a Bolzano sorse un campo “di transito” (Durchgangslager) attraverso il quale passarono migliaia di vittime destinate ai campi di sterminio tedeschi. Nel nord Tirolo invece venne realizzato un centro dove portare a compimento il famigerato Programma di eutanasia T-4, voluto espressamente da Hitler: si trovava nella cittadina di Hall, dove centinaia di infermi psichici e persone disabili vennero deportati, dove vennero fatte morire per sospensione dell’alimentazione o per eutanasia attiva. Ancora una volta il Tirolo, come ai tempi di Napoleone, diventava il laboratorio di futuri orrori.
Finita la guerra, i tirolesi sperarono che le loro sofferenze e le loro attese potessero trovare risposta, ma non fu così. Mentre i confini di tutta l’Europa venivano ridisegnati, il Sud Tirolo dovette restare parte dello Stato italiano, e Alcide De Gasperi rispolverò – ancora una volta – il nome giacobino di “Alto Adige” per la martoriata provincia.
5 commenti su “La storia sconosciuta del Sud Tirolo: dal 4 novembre 1918 a De Gasperi”
sono d’accordo nel condannare la forzata italianizzazione dell’epoca del nazionalismo, ma ora i germanofoni del sud-Tirolo godono un’ampia autonomia e la conservazione del loro patrimonio culturale e linguistico e’ del tutto garantita. Inoltre il nome Enoponte e’ attestato gia’ nell’Italiano arcaico e non e’ stato inventato nel XX secolo.
sarebbe interessante anche approfondire il ruolo della Francia dopo la guerra che voleva staccare l’AA dall’Italia -per assegnarlo all’Austria – assieme alla Val d’Aosta.
L’articolo riprende gli stessi argomenti di un anno fa. E come allora oggi chiedo: sì tutto giusto! Ma dopo generazioni vogliamo continuare con i rancori e odi? Perché non cominciare a costruire una società insieme?
Se si parla di Heimat, l’Alto Adige non lo è per i tedeschi, genti sopravvenute in epoca storica dal nord Europa, e insediatesi, non sempre pacificamente, con un progressivo processo di colonizzazione verso il sud.
Gli eredi più diretti degli abitanti originari sono i ladini, i quali, come dice il nome, niente hanno a che fare con l’etnia tedesca.
Quelle terre, e l’intero Tirolo, anche Enoponte, erano terra dell’Impero (Romano), incluse nella Diocesi d’Italia, cioè proprio la suddivisione amministrativa dell’impero che comprendeva l’intera Italia di oggi, ed alcuni territori che solo vicende successive, alcune molto recenti, le hanno sottratto; la provincia che conteneva l’odierno Tirolo era la Retica; terra latina quindi, e rientrante nei confini dell’Italia.
Né più né meno che come l’Istria e la Dalmazia, che videro un progressivo insediamento di genti slave, non certo originarie di quelle provincie, e che in parte di quei territori mai raggiunsero la maggioranza, fino alla cacciata degli italiani dalle baionette di Tito, con i complici italiani, appena pochi anni fa.
Il confine fissato al Brennero nel ’19, rappresenta la scelta di un confine netto, facile anche da difendere, sullo spartiacque alpino: tutto ciò che è a nord è Austria, tutto ciò che è a sud è Italia.
Ai latini che si videro invadere, sterminare, o cacciare o assimilare, tanti secoli fa, non furono date le medesime possibilità concesse ai tirolesi rimasti entro i confini italiani, ed oggi cittadini italiani, trattati con tutti i riguardi.
L’interpretazione storica di Gulisano è in gran parte condivisibile. Non lo sono due suoi pregiudizi: il primo è che la terra debba avere un padrone e non invece essere condivisa (cosa oggi praticabile in un contesto europeo). Mi piacerebbe sapere cosa pensa in tema di immigrati. Il secondo è che non si debba seguire l’indirizzo pastorale di papa Francesco nella linea della fraternita (malposto e fuori luogo l’accenno ad Halloween.)