Entro nella piccola agenzia bancaria che custodisce a caro prezzo i miei modesti risparmi e vedo solo tre impiegati, compresi il cassiere (ma la cassa chiude alle 11.30!) e il direttore. Un paio di clienti sbrigano i loro affari con l’aiuto dei superstiti operatori, la bassa manovalanza del potere finanziario. Erano almeno dodici, una ventina d’anni fa. Ora è tutto cambiato: fusioni bancarie, accorpamento di agenzie, informatizzazione, la possibilità – sempre più trasformata in obbligo – di svolgere da sé molte operazioni. Mi domando per quanto tempo ancora entreremo in un’agenzia, in un ufficio, in un locale commerciale e incontreremo un essere umano presente per aiutare, consigliare, svolgere funzioni professionali. Uguale sorte tocca al viaggiatore: biglietterie chiuse, informazioni da reperire online. Online, ecco la parolina magica, l’abracadabra del nostro tempo, l’hardware che consente il Grande Reset, la cancellazione di ieri per un nuovo inizio nell’interesse e secondo i comodi di lorsignori.
Probabilmente chi leggesse queste note tra alcuni anni- a operazione conclusa – sorriderà di superiorità. L’uomo è un essere malleabile, flessibile: tanti cambiamenti ha visto l’umanità, quelli che sperimentiamo oggi sono solo gli ultimi in ordine di tempo. L’uomo del 2030 – l’agenda mondialista si è data un decennio e si chiama proprio “Agenda 2030”- avrà superato tutte le nostalgie e lamentazioni della generazione al tramonto a cui appartiene chi scrive. Il distanziamento sociale sarà diventato quotidianità, la digitalizzazione di tutto cosa fatta e l’uomo nuovo, resettato e riformattato come il disco rigido di un computer, vivrà pienamente l’epoca algida della tecnica trionfante, in attesa di essere condotto nel labirinto transumano, quello dell’umanità “aumentata”, il cui simbolo è h+, homo plus.
Più, appunto. Il progresso si considera somma, accumulo, pienezza in cammino. Al potere non interessano le controindicazioni, né gli effetti collaterali. É come con il magico vaccino antivirus: umani, fate la punturina, tornate per il richiamo e non chiedete il contenuto della fiala, né che cosa potrà succedervi, come individui e come specie, nel breve e nel lungo periodo. Non si sa, o forse qualcuno lo sa troppo bene. A noi spetta di compiere l’atto di fede: state contenti, umana gente al quia, che se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria, scriveva Dante nel terzo canto del Purgatorio. Il poeta si riferiva ai limiti della ragione, parlava di teologia e di Gesù Cristo. Non poteva sapere, nel buio medioevo, che il vero redentore è il vaccino, con la sua santissima trinità: Big Pharma, Bill Gates e l’OMS.
Diamo per scontato che avrà successo la sanificazione di massa. Nulla, tuttavia, tornerà come prima, speranza ingenua della maggioranza eterodiretta. Troppi aspetti del nostro futuro prossimo inquietano, anche se la preoccupazione non raggiunge l’uomo-massa, distratto dalla società dello spettacolo, troppo impaurito per razionalizzare ciò che vede, bombardato da una gragnuola di messaggi unidirezionali. Uno raggela, ed è la solitudine che avanza e diventa la caratteristica dell’epoca: la solitudine degli uomini primi. La solitudine dei numeri primi è il fortunato titolo di un romanzo di Paolo Giordano, la cui frase simbolo è “i numeri primi sono divisibili soltanto per uno e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari“.
Quanto gli somigliamo, e quanto più somiglierà loro l’ipotetico lettore del 2030, il cui destino è riconfigurato (il linguaggio informatico va esteso al “materiale umano “) per essere solo, vivere solo, un atomo solitario diviso soltanto per se stesso: un “dividuo”, un numero primo. Ribadisco: l’uomo del 2030 riderà di compatimento delle preoccupazioni del trapassato remoto. Il tempo corre in fretta, nell’abbagliante postmodernità. Rinserrato nell’alveare metropolitano, vivrà perennemente connesso a vari dispositivi interdipendenti, che sarà in grado di dirigere con un piccolo clic. L’organo essenziale dell’homo+ sono le dita. Un numero primo, la cui unica soggettività sarà il codice a barre o il QR, il cui habitat assomiglierà sinistramente alle celle di Excel. Excel è una geniale invenzione di Microsoft, il foglio elettronico di calcolo che consente, attraverso la creazione di “macro”, di eseguire in automatico una serie di comandi. Caratteristica del foglio è di essere diviso in quadratini indipendenti, celle incomunicabili.
Il timore è che tale sia il nostro destino. Fa sorridere l’indimenticabile lezione di Così parlò Bellavista su “uomini d’amore “e “uomini di libertà”. Nel libro di Luciano De Crescenzo, Bellavista, professore napoletano uso a riunire i suoi vicini per impartire loro sapide lezioni di vita, gli esseri umani si dividono in due tipologie, uomini d’amore o di libertà “a seconda se preferiscono vivere abbracciati l’uno con l’altro oppure preferiscono vivere da soli per non essere scocciati”. Finito il tempo di entrambi: i primi per il distanziamento imposto – le conversazioni di Bellavista oggi sarebbero riunioni clandestine- gli altri perché non sapranno che farsene della libertà. Diventeranno, a norma di legge e con l’approvazione dei superiori, hikikomori, il nome giapponese di chi, rinchiuso in casa, vive connesso ai terminali elettronici e scambia il virtuale con il reale.
Gli uomini primi diventano soggetti passivi, ma innanzitutto solitari. Al potere va benissimo così: il grande reset non ha più bisogno di masse transumanti, pendolari del lavoro e del turismo. Neppure gli acquisti più elementari hanno bisogno della nostra presenza fisica: il solito clic e l’Amazon-mondo consegna qualsiasi merce richiesta. Jeff Bezos, il suo padrone, e un ristretto numero di iper ricchi nell’anno trascorso hanno visto aumentare il loro patrimonio di 1.800 miliardi, il PIL annuale dell’Italia. Con l’alibi del virus, i fattorini, poveracci perennemente in corsa per pochi spiccioli, non consegnano più fisicamente, ma lasciano il pacco nell’atrio dei palazzi o in punti di consegna. La più assoluta disumanizzazione, neppure un saluto o uno sguardo.
Che nostalgia del tempo in cui si poteva simpatizzare e persino litigare. Ora anche le riunioni si svolgono a distanza. Zoom è la piattaforma più nota. Conoscevamo il disagio delle videoconferenze di lavoro, in cui si restava ipnotizzati dallo schermo, passivi, impossibilitati a interagire, commentare con libertà. Si rimpiange l’atmosfera, il bisbiglio delle riunioni, gli incontri, i dispareri che diventavano occasioni di crescita, i crocchi in cui si intrecciavano relazioni, ma soprattutto si pensava e si confrontavano idee e soluzioni. Tecnicamente (altro vocabolo chiave!) tutto ciò è possibile anche da lontano, da remoto, come dicono, ma la differenza è enorme. Gli uomini primi, dunque, sono una specie nuova, su cui si chineranno gli antropologi culturali più che gli scienziati sociali.
Intanto la pubblicità, sismografo dei cambiamenti sociali, propaganda nuove marche di ansiolitici, segno che, per ora, il vecchio homo sapiens non ce la fa. L’angoscia si estende e fa chiedere, esigere dosi sempre maggiori di sicurezza, nella forma di ordini del potere e di paradisi artificiali. Psicologi e farmacisti segnalano un’impennata nel consumo di certe sostanze, gli insegnanti sono confusi davanti al nuovo mantra, DAD, la didattica a distanza. Quanto a chi studia, temiamo che una generazione si stia perdendo, con immense ricadute sociali e un divario crescente tra i ricchi, che continueranno ad avere un’istruzione, e tutti gli altri. Per strada, vediamo code spettrali e silenziose. Gli uomini d’amore hanno perduto la libertà. La cattività li atterrisce, ma la paura reciproca li blocca. Taci, il nemico ti ascolta, ma non sai chi è. Homo homini virus: durerà a lungo.
Sono dimenticati anche i cattivi maestri come Bertolt Brecht. “Al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del loro nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico”. Ma non si marcia più, chiusi nella celletta, armeggiando con il pulsante di invio per consultare il campionario dei beni di consumo offerti dall’ Amazon-mondo, pagabili con carta di credito- ovvero di debito- a comode rate. Nelle ore di lavoro “furbo”, da casa, saremo noi a pagare riscaldamento e climatizzazione, a procurarci – probabilmente in affitto- gli strumenti di lavoro, mentre qualcuno, da lontano, un ingranaggio lievemente più in alto di noi, ci sorveglierà assai meglio che in ufficio o in fabbrica.
Come sarà tra qualche anno, quando il Reset avanzerà nonostante la sconfitta del virus, e milioni di persone lavoreranno da casa o saranno sostituiti dai robot? Lo chiamano smart work, lavoro furbo; il male è assai abile a nascondersi dietro etichette accattivanti. Lontani gli uni dagli altri, dimenticheremo di avere interessi comuni, opposti a quelli delle oligarchie. Vedremo l’ex prossimo come un nemico, uno sconosciuto con il quale competere, leoni e gazzelle entrambi costretti a correre. Uscire di casa, frequentare persone ed ambienti diversi è sempre stato il mezzo più sicuro per migliorare, conoscere le complessità del mondo e anche per prendere le distanze da se stessi, dalle idee ricevute. Gli uomini primi saranno più egoisti, meno inclini al dialogo, per impreparazione, paura, perché la cella non può contenere, come Excel, che un’unica informazione. Al resto pensa la macro, ovvero un potere remoto, lontano, la Matrix che finiremo per amare in quanto rimarrà l’unico legame tra noi e il mondo, di cui, nel buio della caverna, non distingueremo più contorni, luci e realtà.
Verità o rappresentazione? Quali saranno le modalità di partecipazione alla vita pubblica, e, addirittura, esisterà ancora una vita pubblica, una polis e un’agorà? Certo che sì, ribattono gli uomini primi soddisfatti: la tribuna virtuale è immensa e tutti possono intervenire. L’esperienza di un decennio di reti sociali è sconsolante: volgarità, violenza verbale, superficialità dilagante, narcisismo imbarazzante e, sopra tutto e tutti, i colossi fintech che gestiscono le reti, si arricchiscono, sorvegliano e censurano. Non solo noi, minuscoli dissidenti della periferia dell’impero, ma anche il presidente degli Stati Uniti in carica, se sgradito a lorsignori. In un mondo di postmarxisti reali e immaginari, nessuno ricorda più un monito del fondatore: le idee dominanti sono sempre le idee della classe dominante.
Ma la chiusura progressiva della mente degli uomini primi fa sì che manchino gli strumenti e le parole per il pensiero critico. E poi, quanto è difficile pensare nel baccano virtuale, tra immagini e sollecitazioni – consce ed inconsce, ma non per questo meno orientate ed organizzate- che cambiano di continuo, impedendo la riflessione e lasciandoci ancora più soli, confusi, alla mercé di un dispositivo che è a ogni effetto una Matrix. Poiché vivremo prevalentemente rinserrati, hanno inventato una scienza nuova, la domotica, lo studio delle tecnologie utili per “migliorare la qualità della vita nella casa e più in generale negli ambienti antropizzati”, spiega Wikipedia. Apparati ed impianti diventeranno “intelligenti”, anzi smart, in corrispondenza diretta con l’istupidimento nostro, corpo e cervello propaggini delle dita che pigiano compulsivamente sui tasti.
Forse esageriamo, forse la nostra è una visione pessimista, ma il pessimista è un ottimista informato. Abbiamo orrore delle reazioni binarie dell’automa-uomo, on-off, dirette dalla Megamacchina. Giovanni Paolo II fu profetico, al tramonto del secondo millennio, mettendo in guardia da strumenti il cui controllo sfugge all’uomo (Sollicitudo rei socialis). Silenzio, in attesa che la cibernetica faccia sì che la macchina funzioni da sé. L’uomo è diventato antiquato, un puntino senza importanza nell’universo-macchina. Che senso avrà la parola libertà? Forse sta finendo la lunga epopea dell’homo viator, il viandante della vita e inizia quella del navigatore solitario che non si muove dalla poltrona, le cui gambe diverranno inutili, mediato e invaso dall’immagine, suddito inconsapevole della dittatura dell’Istante e del Pulsante.
La solitudine degli uomini primi ha un laboratorio avanzato, il Nord Europa, in particolare la Svezia. Nella fredda nazione che siamo abituati a definire avanzata, civilissima e libera, ossessionati dall’indipendenza individuale, dove i figli non devono dipendere dai genitori e viceversa, i coniugi sono distaccati l’uno dall’altro, i malati non devono aspettarsi nulla dai parenti, vige un paradiso per eremiti e misantropi. Metà degli svedesi vive da sola; oltre una donna su quattro concepisce i figli senza un compagno fisso attraverso l’inseminazione artificiale, per evitare complicate relazioni sentimentali. Morire nella più completa solitudine è comunissimo; non pochi versano denaro all’ente preposto per saldare in anticipo le spese funerarie. Con la compilazione di appositi moduli burocratici, si può ottenere tutto, tranne la vicinanza, l’affetto, in fin dei conti la vita.
Spinoza parlò di passioni tristi: quella, ossessiva, per l’indipendenza solitaria è ben più che triste, è la trasformazione di una comunità in un igienico, sterilizzato obitorio. In Svezia esiste la più grande banca dello sperma del mondo, in cui sono conservati, alla giusta temperatura (i ghiacci aiutano) ben 170 litri di sperma umano, prodotti dalle prestazioni solitarie dei nordici. La felicità non abita a Stoccolma: tutte le rilevazioni sull’alcolismo, la violenza sulle donne, l’abuso di droghe pongono la Svezia ai vertici mondiali, così come la contabilità dei suicidi. La tomba sembra un’alternativa migliore che trascinare la vita soli, senza l’affetto di figli e amici. In un mondo di morti viventi, non stupisce la popolarità dell’eutanasia, la “dolce morte” amministrata dallo Stato killer. Consentiteci una battuta: gli uomini primi lotteranno per una migliore vita … animale. Che costa resterà, se non la mestizia della solitudine, quando l’egoismo competitivo cederà il passo all’età e alla malattia, e non ci sarà un volto amato, una mano amica a sorreggerci, una speranza trascendente e l’unica via d’uscita sarà il commiato, la fine come liberazione?
Chissà, un giorno accetteremo di avere una scadenza prefissata, come lo yogurt. Gli uomini primi saranno una specie antropologica diversa dalla nostra, non più animale sociale e politico, ma lupi solitari e insieme greggi amministrate dal pastore, tristi, in grado di interagire con molteplici dispositivi, ma non con i conspecifici delle altre cellette dell’alveare. Individui a cui mancherà l’amore- i più sensibili ne avranno una nostalgia indistinta – e anche l’odio. Scissi da se stessi, vivranno forse in costante schizofrenia, più probabilmente quieti, sedati come gli abitanti del “Mondo nuovo” descritto da Aldous Huxley, il cui rimedio per l’infelicità è un medicinale chiamato soma, una droga euforizzante e antidepressiva.
I cittadini del Mondo Nuovo non hanno nozione della storia, salvo credere, per il condizionamento ricevuto, che nel passato l’umanità viveva nella barbarie, mentre le parole madre e padre sono usate come insulti. Ci ricorda qualcosa del presente o siamo già uomini primi?
2 commenti su “La solitudine degli uomini primi”
“Finale di partita” di Samuel Beckett descrive il mondo prossimo venturo meglio del Mondo Nuovo di Huxley. Se ne possono trovare su Youtube diverse interpretazioni.
Per quanto riguarda il problema assolutamente secondario dei numeri primi, dobbiamo al contrario di quanto letto più sopra considerarli positivamente, dato che per moltiplicazione i numeri primi generano tutti gli altri che sono la maggioranza, mentre tra i numeri i primi sono la minoranza.
Gli uomini di Becklett sono “incapaci di universalità”, chiusi nel loro piccolo e meschino mondo, ridotti all’osso, al teschio sulla mano di Amleto, che si pone la domanda essenziale. Certo la visione di ” Finale di partita ” è molto vicina alla nostra realtà che di giorno in giorno pare un tragico Truman Show. Ormai evidente è l’orientamento dei politici, perfettamente aderenti all’Agenda ONU 2030, e assai imbarazzante è il silenzio di molto intellettuali, che ,aderenti al pensiero comune, concordano con questo progetto disumano o transumano, senza poter prevedere le conseguenze. Credo che gli “uomini primi” saranno e forse già sono quelli che continueranno a mantenere un equilibrio tra il vecchio mondo che “deve essere spazzato. Ai a