La riflessione è talvolta stimolata da circostanze minori. Esistono fatti o situazioni in grado di produrre pensieri e giudizi, condurre la mente a considerazioni che determinano amarezza, destano sconcerto, provocano paragoni imbarazzanti tra ciò che era e ciò che è. Il meccanismo è scattato in noi vedendo scorrere sulle paline elettroniche delle fermate dei bus in provincia di Savona il seguente avviso: aggredire un conducente o un controllore è un reato. Analoghi moniti compaiono sulle fiancate e all’interno dei mezzi pubblici.
Prende davvero uno scoramento senza fine: Savona non è il Bronx, il suo territorio è un susseguirsi di località balneari, l’entroterra è formato da piccoli paesi, in zona non esistono ghetti etnici, periferie degradate né particolari pressioni di malavita. Una provincia agiata, tradizionalmente moderata, dall’ apprezzabile costume civile; eppure l’azienda dei trasporti TPL ha sentito la necessità di diffondere quel messaggio tanto ovvio quanto inquietante. Segno che autisti e verificatori non vivono tranquilli, come i ferrovieri minacciati e malmenati nelle aree metropolitane. A poche decine di chilometri dalla Torretta, i controllori genovesi lavorano in gruppi minimi di tre e non si avventurano, specie nelle ore serali, in certe zone. Il territorio non è più presidiato dalla legge dello Stato. Nulla di strano, dopotutto: è tramontata la Legge, quella con la maiuscola.
La prima e più importante Legge della comunità era il Padre. Travolto dalla domanda di liberazione spacciata per libertà dell’ultimo mezzo secolo, il padre si è eclissato in silenzio, spesso fregandosi le mani soddisfatto per aver scambiato la vecchia autorità con la gratificante irresponsabilità. La dissoluzione della famiglia è un terremoto il cui epicentro è il crollo della figura paterna, elemento che ha un rapporto diretto con l’esplosione di violenza tra le personalità più fragili, dapprima vittime, poi carnefici.
Nel merito dell’episodio savonese, riflettevamo anche su una circostanza ulteriore: all’alba del terzo millennio, non più di quindici, venti anni fa, sarebbe stato impensabile scrivere frasi tanto sintomatiche di un degrado generalizzato. Era evidente a tutti che non si dovesse aggredire qualcuno per l’unico motivo di richiedere il pagamento e l’esibizione di un biglietto. La riprovazione sociale per comportamenti del genere era forte e sussisteva, pur in declino, un senso comune di condivisione delle normali regole di convivenza civica. Sui mezzi pubblici, i divieti riguardavano la bestemmia, oggi sdoganata e comune quanto il turpiloquio; si invitava a lasciare il posto agli invalidi, agli anziani, alle donne. Chissà che ne pensano le Erinni nemiche della società eteropatriarcale.
Ci si affanna con esiti incerti a diffondere una legalità formalistica, si parla molto della cultura di un’astratta legalità, ma si è perduta irrimediabilmente la Legge. Tempo fa ci siamo imbattuti in rete in un intervento di Alain De Benoist sulla femminilizzazione delle élite, il cui filo conduttore era la perdita del padre come fattore di stabilità, simbolo della Legge, la figura “che sottrae il figlio all’onnipotenza infantile e narcisistica”, ponte tra sfera privata e pubblica, soprattutto “limite del desiderio davanti alla Legge”, elemento indispensabile per la formazione di personalità adulte, responsabili, equilibrate. Indipendentemente dagli argomenti esposti, ciò che ci colpì fu il tono irritato, liquidatorio, intriso di disprezzo e derisione di alcuni commenti dei lettori. Nessuno ribatteva nel merito, tutti dimostravano di non possedere gli strumenti concettuali per approvare o contrastare l’arsenale concettuale dell’autore, un intellettuale con decine di libri all’attivo, migliaia di articoli e una presenza culturale di mezzo secolo.
Dunque, non è saltata solo la Legge, ma più in generale la percezione di appartenere a una civiltà; i codici comuni di ieri si sono trasformati in linguaggi incomprensibili. Gran parte dei significati hanno perduto senso, moltissimi non sono in grado di accogliere, tanto meno comprendere ragioni e idee altrui. E’ come si ci esprimessimo in lingue ignote o utilizzassimo la crittografia al posto del lessico di tutti i giorni. Viviamo in una bolla di appagata ignoranza, circondata da pomposi titoli accademici, conoscenze e saperi esclusivamente strumentali a “ciò che serve”. Per citare Socrate al contrario, non sappiamo più di non sapere, ci crogioliamo in un’inconsistenza soddisfatta che fa respingere tutto ciò che non capiamo o ci infastidisce. Come nel computer, si mette nel cestino il messaggio che non interessa e si elimina come “spam”, spazzatura concettuale, ciò che è sgradito.
Un numero crescente di persone vive nel vuoto di valori diversi dal principio di piacere, dalla comodità, nell’idolatria della forma-merce e del denaro. Non stupisce che alcuni non trovino di meglio che salire sul treno o sul bus senza pagare il biglietto, minacciando o prendendo a pugni chi si oppone, esattamente come ci si libera delle idee moleste o si toglie di mezzo chi si frappone al desiderio da realizzare.
Sconforta soprattutto la mancanza di reazione sociale. A grande maggioranza si depreca il degrado civile, ma non si fa nulla per invertire la rotta. Ovvio, da tre generazioni viviamo nel più assoluto soggettivismo. Un individualismo greve carico di indifferenza, menefreghismo, tutt’al più generica deprecazione poiché “non si fa nulla”, “non si può andare avanti così”, ma ben raramente uno scatto di orgoglio per reagire, insorgere, provocare un cambiamento. E’ svanita la Legge, quella che conoscevamo come senso comune, esempio, formazione alla vita, limite. Idee senza parole, i fondamenti.
La globalizzazione tende a negare punti di riferimento stabili, elevando il consumo – e il suo mezzo, il denaro – a unici pilastri della vita. Si giustifica tutto, si confondono, insieme con le funzioni e le identità, il bene e il male, derubricati a preferenze, pulsioni soggettive, interpretazioni. Soprattutto, si diffonde un mal sottile contro cui mancano le difese, il narcisismo. I suoi sintomi sono l’infantilizzazione della vita pubblica e personale, l’ansia di realizzare tutto e subito, l’incapacità di comprendere l’Altro. Si è centrati su se stessi, ci si sente speciali, al di sopra delle regole e delle responsabilità. I limiti valgono per gli altri, mai per noi stessi, titolari esclusivamente di diritti, ovvero capricci o pulsioni scambiate per bisogni, scompare l’empatia, gli altri diventano mezzi, oggetti di piacere oppure fastidi da eliminare se oppongono resistenza ai nostri piani.
Le norme diventano barriere insopportabili, nemici coloro che per dovere o convinzione cercano di farle valere. Sono disprezzati sino alla derisione e all’assoluta incomprensione i valori virili come la forza e la saggezza. L’onore, semplicemente, è parola priva di definizione, tutt’al più si tiene all’ immagine, l’idea di noi stessi più conveniente nel rapporto con il prossimo. Cacciata dalla finestra, la violenza, mai disprezzata come oggi, ricompare dalla finestra con rinnovata pericolosità sotto forma di comportamenti irresponsabili, incapacità di frenarsi, pulsione di possesso malsano, indifferenza morale, cinismo, competitività, insensibilità, ansia di appropriazione ad ogni costo.
Ogni freno immateriale di origine comunitaria, il senso del pudore, la vergogna per i propri atti, l’assunzione di responsabilità è svalutato, liquidato come residuo del passato. Chi vive solo per l’oggi non sente il bisogno di solidi principi e avverte ogni divieto, regola o legge come un ostacolo intollerabile a cui opporre la volontà sovrana, capricciosa di tanti “io” che si considerano il centro dell’universo.
L’assenza di una reazione civica alla decadenza è un ulteriore frutto del soggettivismo. Siamo sì sconcertati dall’andamento generale, ma in fin dei conti ci basta trovare una soluzione individuale, la via d’uscita dei fatti propri, chiusi nel nostro pezzetto di mondo. Ci hanno talmente convinti che il vero e il giusto non esistono da non prestare fede neppure ai nostri sentimenti, alle parole con cui definiamo le cose, se non sono in linea con il pensiero corrente. Rinserrati in miriadi di gruppi reciprocamente ostili, guardiamo al mondo di fuori senza più prendere posizione, tollerando ogni cosa, trovando attenuanti e giustificazioni per qualsiasi comportamento, purché, beninteso, non ci tocchi personalmente. In quel caso gridiamo d’indignazione, invochiamo l’intervento esterno, riscopriamo persino l’autorità delle legge e lo Stato, rintracciamo nel vocabolario parole dimenticate, morale, onore, principi, legge, rispetto. Involucri privi di sostanza in una società impregnata dei disvalori materialisti.
L’etica del soldato e del cavaliere, il semplice senso del dovere sono sostituite da quella del mercante, l’utile immediato al posto del giusto e del bello e, nei tempi ultimi, dalla mentalità del rapinatore e del nomade, due figure amorali che prendono ciò che trovano, disinteressati al diritto, nemici della conquista attraverso la fatica e il lavoro. Chi consegue successo, denaro, piacere con poca fatica è un modello da ammirare, un “dritto”. La conseguenza è il tracollo di un’ordinata convivenza, sino alla triste necessità di rammentare a gente di ogni risma, età e nazionalità che aggredire qualcuno è un reato. Poco male per loro: il rigore della legge non raggiunge quasi mai i responsabili, dovunque sono pronte giustificazioni sempre nuove, tolleranze ogni volta più estese. L’esempio vale più delle parole. I comportamenti delle classi dirigenti non sono migliori di quelli della suburra, il timore della legge assale esclusivamente le persone oneste.
Legge significava anche timore: della pena, della responsabilità, del disonore che ricade sul reo e sulla sua famiglia. Il timore è scomparso, abolito nei mille rivoli del falso fiume buonista. Nonostante Bibbia e Vangelo, è tramontato anche nella prassi religiosa il timore di Dio, celato dagli stessi consacrati come imbarazzante residuo di un creatore giudice, duro, quasi cattivo, non sopportabile dal fragile Peter Pan contemporaneo. Nel libro dei Proverbi si dice: “il timore del Signore è odiare il male; io odio la superbia, l’arroganza, la via del male e la bocca perversa.” Altrove lo si definisce principio della sapienza. Per il cristianesimo il timore di Dio è uno dei sette doni dello Spirito Santo. Dissoltasi la spiritualità nell’orizzonte materialista, anche la fede ridotta a folklore tace.
Presso le generazioni allevate con principi forti, bastava evocare il padre per ottenere un cambio di atteggiamento. “Lo dico a papà” più che una minaccia era un giudizio preventivo, l’evidenza di un comportamento negativo. Lungi dall’essere una figura cattiva, il padre rappresentava il detentore del diritto/dovere di pronunciare dei no, decidere, distinguere il bene dal male, talvolta punire. Secondo studi americani, i più efferati assassini seriali sono personalità vissute in mancanza di un padre. Nella quotidianità, un numero impressionante di persone cresce nell’assenza della figura paterna, sconfitta dalla modernità, respinta dalle fisime libertarie, annientata dall’implosione della famiglia naturale.
L’aggressività naturale dei giovani maschi è repressa con accanimento da modelli ideologici di ascendenza femminista. Un rimedio agli scoppi di violenza peggiore del male, poiché gli istinti risorgono in forme deviate e travolgono le deboli difese psicologiche di una società ossificata. Torna l’orda primitiva, ci si riunisce in fratrìe, il gruppo dei pari, specie tra gli adolescenti maschi, con i risultati di cui sono piene le cronache.
Un elemento moltiplicatore dell’eclissi del padre/legge è quello del gran numero di uomini – ma il fenomeno riguarda sempre più anche le donne – dediti esclusivamente al lavoro, alla cura maniacale della carriera e del successo professionale che impedisce di occuparsi dei figli e della famiglia, facilitando la rottura dei rapporti stabili a favore di legami “liquidi”. Sono gli adepti degli spiriti animali del capitalismo ultimo, personaggi del tutto privi di empatia, egocentrici, aggressivi ed emotivamente indifferenti. Sostanzialmente psicopatici, ma assai adatti a conseguire i massimi successi nella giungla della competizione nel mondo del lavoro.
Si tratta inoltre di personalità affette da forme estreme di narcisismo, il cui egoismo autocentrato non prevede certo sacrificio e interesse per il prossimo, a partire dai propri figli, quando ne hanno, in genere frutto del caso o del desiderio di soddisfare malsane pulsioni “possessive. Nel fastidio per il mondo esterno è compresa l’insofferenza per il limite e per la legge. Il guaio è che le indoli di questo tipo, particolarmente adatte al sistema socioeconomico vigente, risultano imitate ed ammirate dalla maggioranza gregaria. Come membri delle classi dirigenti, inoltre, orientano la formazione e la modifica delle leggi nel senso della massima permissività, a imitazione del modello liberista trasformato in libertario/libertino.
L’educazione diventa così semplice apprendimento di meccanismi e nozioni utili per affrontare la competizione economica, ribattezzata concorrenza e rivestita di un paradossale alone di indiscutibilità sacrale. In siffatto sistema, l’imbroglio, la menzogna istituzionalizzata (di cui è veicolo privilegiato il circo pubblicitario) sono strumenti di lavoro, mezzi per ottenere il successo. Il disprezzo per le norme diventa naturale, fino alle conseguenze di focolai di violenza, pretesa di sfuggire alla conseguenze dei propri atti, disinteresse per le ragioni e la persona altrui, l’idea che ciò che si frappone tra noi e l’obiettivo sia un ostacolo da abbattere.
Ragionavamo sul fatto che la frana si è allargata negli ultimi vent’anni. Non è certo responsabilità dei “millennials”, coloro che si sono formati nel XXI secolo, prime vittime inconsapevoli di una civilizzazione allo sbando. La frattura risale agli anni sessanta, è diventata idea dopo il 68, si è trasformata in cultura dominante nel tempo. Esaurite le generazioni precedenti, sono terminati i filtri, le resistenze, si sono aperte le dighe. La generazione che ha contestato prima, ucciso poi il Padre e la Legge ha messo al mondo figli cui è stato inoculato il germe dell’indifferenza non solo verso i vecchi principi, ma nei confronti di ogni limite. Enfatizzato ogni eccesso come pegno di raggiunta libertà, alla morte del padre è succeduta la perdita del figlio. Divenuti figli di nessuno, ci sentiamo autogenerati, creatori di noi stessi, ma in realtà zattere alla deriva.
L’esempio più potente è la figura di Friedrich Nietzsche, che cercò l’Oltreuomo, annunciò la morte di Dio, previde il nichilismo, la trasmutazione di tutti i valori, l’emersione della figura epidemica degli Ultimi Uomini, di cui sperimentiamo ora la variante consumista senza valori e priva di qualità. Finì nella follia, il gigante di Sils Maria, per aver antiveduto nell’aria pura dell’alto monte il risultato delle sue meditazioni profetiche. Noi sperimentiamo quanto avesse ragione: gli ultimi uomini distruggono tutto ciò in cui si imbattono, fanno terra bruciata con sinistra voluttà di civiltà, cultura, legge, vita. L’ incendio non è stato riconosciuto al suo apparire, ci siamo affidati tra gli applausi ai piromani. Alla fine del ciclo, non resta che scrivere ovvietà: non si aggredisce il conducente se si vuole evitare il burrone.
3 commenti su “La scomparsa della Legge – di Roberto Pecchioli”
E’ vero, l’incipit è nel “lodato/mitizzato” 68, paradossalmente questo mitizzare è già un “ovvietà”.
Un caro amico, in un osteria veneta, nel 69, mi disse : robe da ciodi, ci troviamo a lodare, apprezzare, raccomandare delle persone dicendo che sono bravi, onesti, seri. Dio bon, la normalità xe diventada una dote, anca un complimento . Mah !
G. Vigni
La «mancanza di reazione sociale» è conseguenza della disgregazione sociale, progressiva al procedere delle generazioni: ciascuno dei buoni si sente solo.
Alla de-moralizzazione (in entrambi i sensi) hanno contribuito le “istituzioni” civili, con il consentire (non da oggi) che zone urbane siano governate dalla criminalità e (da parte di molti giudici) con il rilasciare delinquenti appena arrestati dalle forze dell’ordine: lo chiamano “stato di diritto”! E demonizzano come “populiste” le forze politiche che dànno voce al malcontento popolare.
E ha contribuito l’establishment ecclesiale post-Pio XII (compresi Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger):
• con la predicazione della anti-tradizionale morale “autenticamente evangelica” (compreso il “dogma” — blasfemo e radicalmente anti-giuridico — secondo cui la salvaguardia della vita umana deve prevalere sul Diritto, che è l’onore di Dio),
• con la sostituzione di un’infinità di norme con altre meno restrittive.
Grande articolo! Il tempo in cui ci è dato di vivere è terribile, solo il seme della Fede potrà rigenerare questa nostra povera e e sbandata umanità.