La disinvoltura e la noncuranza del governo di fronte al disastro socio economico che bussa ormai alle porte si presenta come un fenomeno fra i più stupefacenti della storia repubblicana. Infatti le sue possibili “ragioni” sembrano ridursi ad una alternativa secca: o la distruzione economica risponde al piano luciferino di ristrutturazione della società, o viene considerata come una conseguenza del tutto accettabile nel quadro del Covid 19, e si iscrive perciò banalmente in una straordinaria insipienza politica. Dilemma difficile e in ogni caso inquietante.
D’altra parte, la cosiddetta crisi pandemica ha portato inaspettatamente alla luce tutta una serie di distorsioni, contraddizioni, equivoci ed aporie che, diventate evidenti tutte insieme, offrono la possibilità di venire lette con una certa consapevolezza critica. Ora si trovano ormai sul tappeto, nel loro intreccio, l’equivoco neoliberista e il senso dello Stato, il rapporto tra politica ed economia e il loro snaturamento reciproco, il problema delle fonti del diritto e i limiti dello stato d’eccezione, il ruolo e i limiti della scienza, l’utopia della democrazia moderna e la crisi della rappresentanza, la globalizzazione delle merci e delle idee, lo scontro tra teoria e prassi, la forza d’urto di sistemi di pensiero e di potere, fino alla geopolitica. Intanto si può cominciare a smascherare dogmi fasulli, e idee di contrabbando, insieme ai rispettivi contrabbandieri. Così, almeno da questo punto di vista, potremmo arrivare a dire con Woody Allen, che ogni rovescio ha la sua medaglia.
Ad esempio, si è mostrato in tutta la sua pochezza l’equivoco neoliberista sulla funzione dello Stato, la assurda demonizzazione di questo e il misconoscimento delle esigenze oggettive di protezione della collettività. Anche se non occorreva lo stato di emergenza e la necessità della decisione a dimostrare l’insensatezza di quegli assunti.
Insomma è diventato evidente quello che evidente è sempre stato: la sovranità è consustanziale allo Stato che, qualunque ne sia la sua declinazione storica, è, nel suo significato sostanziale più ampio, la condizione fondamentale per la vita ordinata di una comunità stanziale. La situazione di crisi ha richiesto e imposto decisioni sovrane, che, pur senza entrare nel merito delle stesse, dimostrano quale sia il senso della sovranità. Ma ha anche dimostrato che la validità delle teorie economiche, al pari di ogni altra teoria, dipende dalla validità oggettiva delle premesse, e come nessuna teoria possa in ogni caso andare a contraddire le esigenze reali e fondamentali della vita comunitaria, per sovrapporsi ad esse. Che sistemi di idee nati in contesti e per interessi del tutto particolari sono stati imposti indiscriminatamente con la presunzione dogmatica della loro irreversibilità, nel disprezzo per l’uomo e nell’ignoranza del bene comune.
Avevamo già sotto gli occhi come la politica asservita ad una ideologia economica contro natura abbracciata dall’UE avesse distrutto lo stato sociale e avviato l’impoverimento nazionale, ma ci voleva l’evento pandemico per gettare luce anche sul depauperamento irresponsabile delle strutture sanitarie. Ci voleva l’evento pandemico per far dire a Giuliano Amato, quando i buoi sono scappati da un pezzo, che il modello della austerità propugnato e imposto insieme agli illuminati del suo rango ha prodotto danni incontestabili. Un modo elegante per salvarsi l’anima e anche la reputazione.
Ma se è apparsa chiara la irrinunciabilità dello Stato sovrano, quale soggetto responsabile della comunità di riferimento, con altrettanta chiarezza si è manifestato come di tale soggettività manchi del tutto l’UE. E come questa, retta dai poteri opachi di una oligarchia burocratica priva anch’essa di responsabilità politica, tragga la propria autorità da trattati che vengono spacciati a loro volta quali legge fondamentale… di un soggetto inesistente.
Eppure non occorreva lo stato di emergenza nazionale per mettere a nudo che l’Unione Europea è soltanto un coagulo di potere fondato su una base pattizia, che i trattati non possono sovrapporsi in alcun modo alle costituzioni nazionali, come hanno ben chiaro i tedeschi, e sono per natura revocabili, perché ogni patto, da che mondo è mondo porta con sé proprio la revocabilità. Non per nulla lo sbandierato “pacta sunt servanda” assunto a principio regolatore dei rapporti di diritto internazionale, ha notoriamente un valore del tutto relativo, didascalico, essendo giuridicamente privo di forza cogente, perché, da che mondo è mondo, i patti si stringono e si sciolgono con la stessa elasticità con cui si stringono e si sciolgono le alleanze.
Abbiamo assistito impotenti all’abuso senza pudore del diritto e delle procedure, e all’equivoco democratico di una rappresentanza che è solo nominale o che sussiste miracolosamente anche nei non eletti, e abilita indipendentemente dal merito a qualunque funzione di governo, perché è una versione aggiornata della investitura divina. Per cui è comprensibile che chi sia stato chiamato per caso magari ad occuparsi della Salute dei propri simili, si senta in dovere di preoccuparsi anche della loro Salvezza che, come si sa, richiede il disprezzo dei beni materiali. Quanto basta perché la perdita economica possa essere vista come un vantaggio spirituale, in un orizzonte di Speranza. In altre parole, la scelta politica di uccidere il lavoro in nome della salute, può avere un suo fondamento teologico. È teologia politica. Meglio morti, poveri, e vaccinati, che vivi, ricchi e contagiati, avrebbe convenuto Catalano.
La crisi pandemica non ha invece indebolito minimamente due attività fondamentali per lo sviluppo identitario nazionale: lo scorrere indisturbato dei flussi migratori, e l’aggiramento da parte della corte costituzionale del divieto di fabbricazione di esseri umani ad uso similgenitoriale da parte di “coppie” omosessuali. E a questo attivismo va riconosciuto il merito che gli spetta, anche perché riscuote la benevolenza pontificale.
Un posto al sole di prim’ordine se l’è poi ricavato la scienza, che un tempo, consapevole dei propri umanissimi limiti, onestamente si riconosceva come tale in base alla reiterata sperimentazione. Oggi essa trae gran parte del proprio prestigio da quella figlia prometeica e onnipotente che è la tecnica, in balia degli scientisti che si entusiasmano per qualunque ipotesi non verificata alla quale si possa comunque applicare una etichetta scientifica da adattare utilmente ai fatti, a meno che non sia proprio necessario adattare i fatti all’etichetta. Una operazione assai praticata da quando la sedicente scienza ha perso la propria innocenza nel matrimonio di interesse con la politica e i poteri economico finanziari.
Un connubio, questo, che pone il dilemma corrente se sia la politica sanitaria ad indirizzare l’industria del farmaco o sia questa a dettare la politica sanitaria secondo le proprie linee di sviluppo. È la vecchia storia dell’uovo e della gallina, la stessa per cui da più di un secolo ci si chiede se sia l’industria bellica a richiedere la guerra, o sia la prospettiva bellica ad alimentarla. Un dilemma che entra ora d’autorità nella cronaca pandemica e finisce dritto nel campo dei cosiddetti vaccini. Cosiddetti, perché tali non sono, come sembra, ma portando un nome suggestivo solo per questo sono in grado di creare opinione e persuasione.
Infatti, proprio in virtù del nome, questi improvvisati prodotti di laboratorio hanno cominciato a produrre effetti veramente miracolosi già dal momento in cui ne è stato annunciato l’avvento provvidenziale.
Essi assicurano quella fiducia nelle istituzioni che riduce il margine di ribellione; consolidano il prestigio della scienza che si mostra affidabile anche in ragione della potenza dei mezzi di cui dispone; assicurano un benefico effetto placebo sulla tensione emotiva prodotta dalla incombente diffusione mediatica della paura. Infatti, se di fronte a qualunque grande pericolo è sempre stata in vigore la norma che si debba invitare tutti a mantenere la calma, la nuova legge della covid19 dice: rimanete fermi e impauriti finché morte non vi divida, o non siate salvati dai cavalieri vaccinofori che arriveranno in un turbine di siringhe miracolose. La soluzione finale è il vaccino. Così ha parlato la politica planetaria finalmente globalizzata, sicura di prevenire con poco fastidiosi istinti di resistenza.
Una politica sanitaria che, soddisfatta di sé, non solo si è ben guardata dal sollecitare una qualche iniziativa terapeutica, ma l’ha scoraggiato preventivamente. Gli arcani imperii sono da sempre la costante indiscussa delle democrazie moderne. Mentre ci sono buoni motivi per sospettare che il potere economico finanziario trovi spianato un terreno di conquista messogli a sua disposizione con diligente servilismo.
Abbiamo lo strano caso di un governo che compra una merce preziosa non solo senza curarsi di accertare il suo valore effettivo, ma sapendo di non poter acquisire per nulla quella certezza. Ora, siccome la logica non è ancora stata abolita per decreto del Presidente, non possiamo smettere di chiederci perché mai il compratore voglia acquistare a tutti i costi una pozione miracolosa di cui è lo stesso venditore a non garantire gli effetti benefici e a non escluderne possibili conseguenze dannose. Un venditore che si riserva di accertare l’esistenza degli uni e delle altre, con calma, nel giro di due o tre anni. Un tempo sufficiente magari per vedere già seppelliti i beneficati e dileguati nel nulla produttori e committenti.
In ogni caso possiamo concludere che è stato inaugurato un metodo contrattuale del tutto nuovo, ancora impensato nella storia dei commerci umani, e della contrattazione pubblica.
Insomma lo scenario è quello del Campo dei Miracoli in cui scorrazzano gatti finti zoppi, volpi e babbei, tutti più o meno travestiti da benefattori, scienziati e provvidi custodi della salute pubblica, e dove l’unica certezza sono le monete d’oro dissotterrate nottetempo.
Eppure tutto questo non sembra allarmare proprio i pazienti beneficandi, adeguatamente educati dalla disinformazione obbligatoria, a porsi soltanto domande corrette. Anzi, costoro, da persone smaliziate, pensano che, se gli stessi produttori dichiarano di non potere garantire l’efficacia e la innocuità del prodotto fino al 2023, significa che il farmaco è affidabile. Infatti, quei produttori, se lo ritenessero veramente pericoloso, si guarderebbero bene dal metterci la pulce nell’orecchio. Elementare. Così la fede crea la teologia scientifica. Una fides che deve fare a meno anche della ratio, secondo la lezione bergogliana in controtendenza col predecessore.
Lezione accolta peraltro da tutte le intelligenze mediatiche e politiche, comprese quelle presidenziali ad ogni livello, impegnate nella danza sacra attorno alla “campagna vaccinale” risolutrice di ogni problema nazionale.
Infatti abbiamo appreso in conferenza stampa, dal Presidente del Consiglio successore di due Conti, che le aperture avverranno in ragione delle vaccinazioni.
Il sillogismo è chiarissimo: siccome il vaccino in quanto tale (che non è un vaccino, e non si sa bene cosa sia e come agisca), salva dalla malattia ed elimina il contagio, assicurando la salute pubblica, in virtù degli effetti risolutivi della vaccinazione ad oltranza si potranno ristabilire i contatti tra venditori e avventori.
Ma si tratta di un sillogismo zoppo perché manca il passaggio intermedio, quello che dovrebbe affermare la sicurezza ed efficacia del farmaco (che non è un vaccino e non si sa bene cosa sia) e la sua capacità di neutralizzare il contagio. Cioè il dato che non può essere enunciato, perché gli stessi produttori non lo hanno per nulla verificato. Senza la premessa minore, il ragionamento non sta in piedi.
Eppure non basta. Nella stessa conferenza stampa apprendiamo, rassicurati dalla commovente serenità dall’imperturbabile Presidente, che la pandemia non ha da finire a causa delle infinite varianti prossime venture, e che richiederanno la vaccinazione a tempo indeterminato. Probabilmente irreversibile, come l’euro. Affermazione che non ha destato alcun turbamento in chi la pronunciava con la consueta moderazione, e neppure nessuna perplessità a ritroso sul nesso logico stabilito tra gli effetti risolutivi della campagna vaccinale e i provvedimenti microeconomici.
La formazione gesuitica e il cosmopolitismo di ampio respiro devono avere sortito anche una logica nuova, accessibile per il momento solo a pochi iniziati.
Questi alcuni degli aspetti più appariscenti, visibili a occhio nudo, che passano sullo schermo di questo tempo straordinario. Ma c’è anche il fumo denso che avvolge poteri più sfuggenti, intenti forse a disegnare la mappa dei destini umani, con folle presunzione demiurgica. La diceria che accompagna questa ipotesi, del resto, si fonda su reali dottrine pseudofilosofiche la cui applicazione sembra avvalorata da eloquenti e non innocenti indizi. Se muovendo oggi immense ricchezze, e grazie a queste, è possibile destabilizzare anche gli assetti politici statuali, spostare masse di individui, mentre serpeggiano qua e là ideologie neomalthusiane che sembrano ossessionare proprio i detentori di quelle ricchezze, non è peregrino pensare che qualunque evento capace di deprimere la vitalità umana possa essere incoraggiato o sfruttato. O quanto meno non lo si può escludere.
Altra cosa ancora è l’arcano della politica che non mette sul piatto della bilancia il peso della distruzione economica di un’Italia ancorata geneticamente alla piccola e media imprenditoria, quella che nella visione accolta dai Draghi e dai suoi compagni di scuola può essere sacrificata allegramente perché tutto venga fagocitato dalle grandi balene cosmopolite capaci di ingoiare ogni pinocchio, per fornire ai sopravvissuti il prodotto del proprio metabolismo. In quelle fauci finirebbe anche quel residuo spirito dei luoghi che ancora si aggira nelle nostre città un tempo straordinarie per bellezza e per la irripetibilità di una identità fatta di mercati, di manufatti e di rapporti umani, di linguaggio e di storia tramandata con sempre maggiore difficoltà, ma sempre indispensabile per allontanare lo spettro della dissociazione e della alienazione controllata e computerizzata, cioè la morte dello spirito.
In attesa che i fatti smentiscano i cattivi pensieri, non c’è comunque posto per la distrazione.
1 commento su “La salute, l’economia e la logica del conte zio”
LL’Europa del dopo guerra (la parte occidentale), ha conosciuto la democrazia e il benessere diffuso. Poi, l’ingordigia globalista, ha creato del mostro cinese.
Dunque, la strategia verso la colonia europea doveva cambiare. L’esperienza democratica si doveva concludere, o la leadership “atlantista” sarebbe andata a ramengo.
L’UE è nata per questo: per imporre una dittatura distopica, (il Covid-19 è il mezzo di accelerazione) quando necessaria ai suoi conquistatori, che non sono gli americani come popolo o come classe politica, ma i loro banchieri. L’Europa, nel dopoguerra, non è stata affatto liberata, ma cacciata con forza sotto il loro tallone.