Di Alberto Rosselli
LA RIVOLTA NAZIONALISTA IRACHENA DEL 1941
Fino dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale, la Germania si trovò ad affrontare il grave problema derivante dalla penuria di petrolio e quindi di benzina: elementi indispensabili per sostenere ed alimentare lo sforzo bellico di una potenza severamente impegnata su più fronti. E proprio per questo motivo, Hitler cercò, sia mediante alleanze (vedi quelle con l’Ungheria e la Romania) che attraverso campagne militari (come quella di Russia), di sfruttare o di impossessarsi di importanti giacimenti, anche perché i pochi e magri pozzi presenti in Austria e l’elevato costo derivante dalla fabbricazione della benzina sintetica (carburante ricavato dal carbone mediante il processo ideato dal chimico Friedrich Bergius) non riuscivano a sopperire in misura adeguata alle necessità correnti.
In questo contesto, nella primavera del 1941, l’attenzione della Germania nei confronti dei paesi mediorientali e soprattutto dell’Iraq (stato indipendente sulla carta, ma di fatto sottoposto allo stretto “controllo” della Gran Bretagna) iniziò a farsi più insistente. Anche perché l’opportunità per mettere le mani sui ricchi giacimenti petroliferi dell’area mesopotamica parve improvvisamente prospettarsi realistica nella primavera del 1941, cioè in concomitanza con lo scoppio della rivolta antinglese capeggiata dal leader nazionalista iracheno Rashid Alì Al Gaylani. Un’occasione di cui Hitler, tuttavia, non seppe o non volle approfittare con la dovuta prontezza, reputando prematuro e non del tutto necessario (il dittatore tedesco aveva già in mente un attacco all’Unione Sovietica) un eventuale coinvolgimento diretto della Germania in Medio Oriente. E tutto ciò nonostante gli incoraggianti rapporti forniti dai suoi diplomatici e dai servizi segreti da tempo presenti in Iraq circa l’effettiva possibilità di cavalcare con successo la rivolta nazionalista.
Ma a questo punto occorre fare un passo indietro. Fino da prima dell’inizio del secondo conflitto mondiale, il console tedesco a Baghdad, Fritz Grobba aveva svolto un lungo ed accurato lavoro di preparazione, avvicinando i membri del partito nazionalista arabo (già in contatto con il Movimento filonazista e antiebraico capeggiato dal Gran Muftì di Gerusalemme, Husseini) e i principali esponenti dell’esercito iracheno, convincendoli del fatto che fino a quando il governo di Londra avesse continuato a mantenere il controllo sull’ex-possedimento ottomano (alla fine della Prima Guerra Mondiale la Gran Bretagna, aveva ottenuto una sorta di protettorato sull’Iraq, garantendosi il controllo delle principali aree petrolifere del paese, di quelle del vicino Kuwait e la continuità dei collegamenti tra il Medio Oriente e l’India), l’indipendenza politica del paese, governato a partire dal 1939 dal reggente Abd al-Ilah (il re, Feisal II aveva soltanto quattro anni), si sarebbe sempre rivelata più fittizia che reale. Considerazioni, queste, che fecero facilmente breccia nella mente di Rashid Alì, influente uomo politico che, tuttavia, contrariamente al Primo ministro Nuri Said (anch’egli un fervente nazionalista, ma favorevole a mantenere buoni rapporti con l’Inghilterra), desiderava sbarazzarsi della protezione britannica.
Nel 1932, all’indomani della scadenza del “mandato” inglese sull’Iraq, il governo di Londra aveva imposto a Baghdad un nuovo trattato che garantiva alla prima il mantenimento sul territorio delle basi aeree di Shaibah, nei pressi di Bassora, e di Habbaniya, località situata a 88 chilometri dalla capitale. Non solo, una nota dell’intesa consentiva inoltre alle forze di terra britanniche – in caso di guerra – di agire indisturbate su tutto il territorio iracheno. Clausola, quest’ultima, che scattò automaticamente nel settembre del 1939, con la dichiarazione di guerra di Londra a Berlino. Evento, quest’ultimo, che costrinse tra l’altro il governo iracheno, succube dell’Inghilterra, a rompere i rapporti diplomatici con la Germania.
Tuttavia, nel marzo del 1940, Rashid Alì divenne Primo ministro, avviando una lenta ma costante politica di distacco nei confronti dell’Inghilterra e un contestuale riavvicinamento alla Germania e all’Italia di Benito Mussolini che da tempo manifestava chiare simpatie per tutti i Movimenti arabi antinglesi. Non a caso, nel giugno del ’40, nonostante la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia e all’Inghilterra, Rashid Alì si rifiutò di rompere le relazioni diplomatiche con Roma, suscitando le ire del Primo ministro Winston Churchill che, per dare un chiaro monito a Rashid Alì, fece sbarcare a Bassora una Brigata indiana che, tuttavia, venne poi dirottata in Egitto e quindi in Sudan (l’unità venne impiegata contro le forze italiane presenti in Etiopia). Nell’autunno del ’40, il governo di Londra, preoccupato dall’atteggiamento chiaramente ostile di Rashid Alì e dalla ripresa di contatti diplomatici segreti tra il suo governo e quello tedesco, esercitò pesanti pressioni sul Reggente affinché allontanasse il Primo ministro. E nel dicembre del ’40, Rashid Alì venne costretto a lasciare il suo incarico al generale Taha el Hashimi, un esponente del partito pan arabo, ma non avverso all’Inghilterra.
All’inizio della primavera del 1941, anche sulla scorta delle vittoriose campagne portate a compimento in Europa dalla Wehrmacht, in Iraq il mai del tutto sopito sentimento antibritannico e antiebraico diffuso nella stragrande maggioranza del Movimento nazionalista iracheno esplode nuovamente e l’estromesso Rashid Alì ritrova la forza per riproporsi quale unico ed indiscusso capo di una rivolta ormai prossima a scoppiare. In seguito ai successi conseguiti in Africa Settentrionale dall’Armata italo-tedesca, il 1° aprile 1941, i colonnelli di Rashid Alì destituiscono sia il Primo ministro che il re Feisal II (che tuttavia riesce a sfuggire all’arresto rifugiandosi presso l’ambasciata americana), impadronendosi del potere ed instaurando un governo militare dichiaratamente filotedesco e antiebraico (Rashid Alì accusa infatti la minoranza israelita presente da secoli in Iraq di parteggiare per gli inglesi).
La manovra, che viene ovviamente accolta con favore dai servizi segreti tedeschi, si rivela però un azzardo in quanto si sviluppa troppo rapidamente e non nel quadro di una necessaria intesa di tipo politico-militare con gli alleati tedeschi e italiani.
Se è vero che l’Afrika Korps sta respingendo gli inglesi dalla Cirenaica e che la Siria, presidiata da forze francesi fedeli a Vichy, si dimostra solidale con gli insorti, è altrettanto vero che la Wehrmacht, l’esercito italiano di stanza in Albania e quello dell’alleato bulgaro non hanno ancora scatenato la loro grande offensiva (evento che si verificherà il 6 aprile) presidiata da forze britanniche, e che quindi, ad esclusione dei porti e degli aeroporti italiani del Dodecaneso, le forze dell’Asse non dispongono delle infrastrutture logistiche aeroportuali indispensabili per garantire collegamenti con gli insorti iracheni. In buona sostanza, Rashid Alì scopre le sue carte con scarsa avvedutezza non dando il tempo ai suoi potenziali alleati di elaborare un piano coordinato, indispensabile per garantire all’Iraq (che è geograficamente isolato in quanto la Turchia e la Persia – entrambi paesi mussulmani – si rifiutano di immischiarsi nella faccenda) il necessario appoggio militare. La fretta e la superficialità pregiudicano le potenzialità del Golden Square (o “blocco d’oro”), la rivolta attraverso la quale Rashid Alì spera di ottenere l’indipendenza del suo paese. Come si è detto, nonostante gli euforici proclami di Hitler (“Fornirò all’esercito di Rashid Alì armi, munizioni e mezzi aerei di prima qualità”), la Germania, per non parlare dell’Italia, non è ancora in grado di supportare concretamente gli iracheni. Hitler rifugge poi da un prematuro, e in realtà effettivamente problematico, intervento diretto di forze di terra tedesche in Medio Oriente, pur dichiarandosi pronto ad inviare un certo quantitativo di aiuti al nuovo governo di iracheno. Pochi giorni dopo il colpo di stato, a raggelare il sangue nelle vene di Rashid Alì e dei suoi colonnelli ci pensa l’ambasciatore inglese a Baghdad, Cornwallis che annuncia al nuovo primo ministro l’imminente arrivo (tra il 18 e il 29 aprile) a Bassora di due forti contingenti di truppe indiane (di cui fanno parte la 20ma Brigata indiana, un reggimento di artiglieria e il Quartiere Generale della 10ma Divisione indiana). L’ambasciatore si premura di assicurare che il contingente non si fermerà in Mesopotamia, in quanto destinato all’Egitto. Ma tra i capi iracheni inizia a serpeggiare l’inquietudine. Tanto più che pochi giorni più tardi, una squadriglia di bimotori da trasporto Valentia della RAF proveniente da Karachi atterra a Bassora e scarica un paio di centinaia di soldati britannici destinati a mettere sotto controllo il porto e a rinforzare la vicina guarnigione di Shaibah.
Ovviamente, dietro questa mossa, voluta da Winston Churchill, si nasconde un secondo fine: ripristinare il controllo britannico sull’Iraq e mettere Rashid Alì nelle condizioni di non nuocere. Intenzione che non sfugge nemmeno al nuovo primo ministro iracheno che ora non riesce però a reagire con la dovuta prontezza, limitandosi ad inviare un’inutile nota di protesta all’ambasciatore inglese. Finalmente, il 30 aprile, dopo lo sbarco a Bassora del secondo contingente britannico, Rashid Alì rompe gli indugi e ordina al suo esercito di circondare la base aerea inglese di Habbaniya e di chiudere le valvole dell’oleodotto, costruito dagli inglesi, che collega i giacimenti petroliferi di Kirkuk al porto di Haifa, dirottandone il flusso verso i depositi siriani controllati dalle forze francesi di Vichy. E a questo punto qualcosa inizia a muoversi. Il governatore della Siria, generale Fernand Dentz, si dichiara infatti disposto non soltanto a cedere in uso i propri aeroporti alla Luftwaffe e alla Regia Aeronautica Italiana, ma anche ad inviare immediatamente, tramite convogli ferroviari, aiuti militari a Rashid Alì.
L’esercito di Rashid Alì (che negli anni Venti-Trenta è stato addestrato e quasi totalmente equipaggiato dai britannici), risulta, almeno sulla carta, una compagine non del tutto trascurabile. Esso è composto da 2.177 ufficiali e 49.237 soldati suddivisi in quattro divisioni (ciascuna su una brigata di cavalleria, due brigate di fanteria, una brigata d’artiglieria e un battaglione pionieri), più una brigata autonoma di cavalleria e una brigata meccanizzata forte di 30 fra cingolati leggeri e autoblindo. Nell’aprile del ’41, l’Iraq dispone anche di un contingente aereo formato da circa 116 velivoli, di cui soltanto una cinquantina di pronto impiego e bellicamente efficienti (1). Radunata nell’area di Baghdad una parte delle sue migliori truppe (una brigata di 5.000 soldati, rinforzata da due compagnie di carri armati leggeri e di autoblindo e da 28 pezzi d’artiglieria da campagna) Rashid Alì decide di eliminare subito la pericolosa enclave inglese di Habbaniya dove si trovano 49 apparecchi (buona parte dei quali da addestramento) con 1.000 tra piloti e specialisti (2). La guarnigione della base, che è circondata da un perimetro di filo spinato e bunker lungo circa 20 chilometri, è difesa da circa 1.200 soldati (reclutati tra le minoranze locali cristiane e curde), trecentocinquanta fucilieri inglesi giunti per via aerea da Karachi e da un nucleo di 18 autoblindo Rolls Royce. Data l’assenza di artiglieria, il comandante della guarnigione, il tenente colonnello Brown, ordina ai suoi uomini, armati con soli fucili e mitragliatrici leggere, di rimettere in funzione una mezza dozzina di vecchi cannoni della Prima Guerra Mondiale utilizzati come ornamento del quartiere generale. Sulle prime, la situazione sembra essere a tutto svantaggio dei difensori inglesi che, essendo completamente circondati, non possono ricevere immediati soccorsi dal forte contingente indiano dislocato nella lontana area di Bassora. Tuttavia, il tenente colonnello Brown è ben lungi dal volere abbandonare la partita, anche perché egli può sempre contare sul piccolo, ma bene addestrato contingente della RAF. A compensare la mancanza di artiglieria ci penseranno infatti i caccia e gli assaltatori presenti sul posto.
Dopo essersi consultato con il vice maresciallo Smart, il comandante in capo delle forze inglesi presenti nelle basi di Habbanyia e di Shaibah, Brown respinge il primo ultimatum degli iracheni e prende in contropiede il nemico con un improvviso e violento attacco dall’aria condotto da 40 tra caccia e bombardieri. Le forze di Rashid Alì subiscono gravi perdite, ma tentano egualmente alcuni assalti contro l’anello difensivo della base, venendo però respinti. I cannoni iracheni effettuano allora un nutrito tiro sulla pista dell’aeroporto provocando la distruzione di un paio di apparecchi e il danneggiamento di altri trenta. Il 2 maggio, otto bombardieri a largo raggio inglesi Wellington provenienti da Bassora bersagliano i concentramenti di artiglieria iracheni intorno ad Habbaniya, ridando coraggio agli assediati. Il giorno seguente è però l’aviazione irachena ad attaccare l’aeroporto, causando diversi danni. Il 4 maggio, i Wellington bombardano nuovamente le posizioni nemiche, proprio mentre gli Swordfish imbarcati sulla portaerei Hermes (giunta da poco a Bassora) iniziano a martellare le vie di comunicazione tra la Mesopotamia meridionale e Baghdad, sconvolgendo le retrovie irachene. Il 6 maggio, dopo un ultimo, vano attacco condotto dalle fanterie irachene, due battaglioni britannici appoggiati da autoblindo e aerei contrattaccano, costringendo infine il nemico a ritirarsi in direzione di Al Falluiya. Venuto meno il tentativo di conquistare Habbaniya e presagendo il pericolo di una più generale controffensiva britannica, Rashid Alì inizia a tempestare Berlino di richieste di aiuto e a sollecitare l’invio da parte francese dei rifornimenti promessi. Nel frattempo, per cercare di ritardare l’avanzata britannica dalla Mesopotamia meridionale e dalla Palestina (da dove sta giungendo la 4a Brigata di cavalleria Motorizzata, rinforzata da numerosi reparti giordani e beduini, agli ordini del maggiore generale Clarke), gli iracheni effettuano sabotaggi alle linee ferroviarie e stradali, distruggono argini e allagano vaste aree intorno al corso del Tigri e dell’Eufrate, e trasferiscono notevoli quantità di carburante presso la base area di Mosul, situata nel nord del paese, dove dovrebbero atterrare gli aerei della Luftwaffe e della Regia Aeronautica Italiana. Ma ancora una volta gli ufficiali e le truppe irachene non si rivelano all’altezza della situazione. Oltre ad avere dato chiara prova di incapacità in occasione dell’attacco ad Habbaniya, ora non riescono neppure a preparare il terreno all’arrivo dei velivoli dell’Asse. Nella fretta, e complice anche la perdurante carenza di collegamenti, le truppe di Rashid Alì accatastano a Mosul quantitativi di benzina che non si riveleranno adatti ai motori degli aerei germanici. E come se non bastasse, un loro reparto centra in pieno l’apparecchio del maggiore Axel von Blomberg (ufficiale al quale Goering aveva affidato il compito di fungere da collegamento tra i reparti della Luftwaffe e il comando iracheno) in fase di atterraggio a Mosul.
A questo punto il comando inglese comprende che l’esercito iracheno non può rappresentare un grave pericolo, ma ciononostante accelera la offensiva concentrica contro la Mesopotamia centrale, nel timore di un massiccio intervento dell’Asse le cui forze, nel frattempo, hanno completato l’occupazione della Grecia. Effettivamente, nonostante disguidi e contrattempi, la macchina da guerra tedesca inizia a muoversi in direzione del Medio Oriente. Non potendo intervenire direttamente con forze di terra o inviare sostanziosi contingenti via mare (l’isola di Creta e quella Cipro sono ancora in mano agli inglesi e le coste della Palestina, ma anche quelle della Siria e del Libano francesi sono sorvegliate dalla Royal Navy), Berlino induce il governo di Vichy a muoversi per primo. E il 13 maggio 1941, il governatore Dentz invia da Damasco a Mosul tre convogli ferroviari carichi di armi e munizioni di fabbricazione francese. Tuttavia, questo primo aiuto non soddisfa affatto Rashid Alì che giudica assolutamente insufficiente ed obsoleto il materiale ricevuto (3).
A partire dal 14 maggio, italiani e tedeschi iniziano quindi ad inviare aerei da trasporto, da bombardamento e da caccia in territorio iracheno, usufruendo del campo trampolino di Rodi Gadurrà e degli aeroporti francesi situati in territorio siriano (4). Allarmato, Winston Churchill, che teme addirittura un’occupazione tedesca della Siria oltre che dell’Iraq, chiede aiuto al presidente americano Roosevelt e invita il generale Archibald Walvell (comandante in capo delle forze britanniche in Medio Oriente) e il generale Quinnan, responsabile del Corpo Aereo inglese, di accelerare i tempi e di mettere sotto controllo tutto il paese, prima che le forze dell’Asse possano rafforzare la loro testa di ponte a Mosul. Per prima cosa, le forze inglesi, ora al comando del generale Kingstone, puntano su Al Falluja, che viene raggiunta il 15 maggio al termine di una marcia non facile più a causa delle insidie del terreno e degli allagamenti che non a causa del nemico. Al Falluja viene conquistata dopo una breve ma violenta scaramuccia con le retroguardie irachene che sono costrette a ritirarsi in direzione di Baghdad, onde evitare di essere presi in trappola dalle colonne motorizzate anglo-indiane che da Shaiba e Bassora stanno marciando alla volta della capitale. Il 22 maggio gli iracheni tentano una controffensiva, ma vengono respinti dai britannici. La strada per Baghdad è aperta. Il 28 maggio le forze inglesi conquistato il forte di Khan Nuqta, appena evacuato dal nemico che, nella fretta, si è dimenticato di tagliare le linee telefoniche che collegano il caposaldo alla capitale. Kingstone decide di approfittarne e con l’aiuto di alcuni interpreti arabi fa trasmettere a Baghdad notizie catastrofiche circa l’andamento della campagna. Nella città delle Mille e una Notte si diffonde il panico. E a torto, in quanto, nonostante le perdite subite, l’esercito iracheno è ancora abbastanza numeroso e armato per potere tentare di imbastire (magari con un più incisivo apporto da parte del contingente aereo italo-tedesco) una linea di resistenza a difesa dei campi petroliferi del nord del paese. Ma nel quartiere generale di Rashid Alì regna ormai la confusione più totale, anche perché i capi iracheni sono venuti a sapere che Hitler non invierà più alcun aiuto, almeno non prima di avere completato la conquista dell’isola di Creta, operazione che costringe i tedeschi ad impiegare la quasi totalità di quegli aerei da trasporto (gli Junkers Ju52) e di quelle truppe aviotrasportate di élite (i Fliegerkorps) la cui presenza, anche parziale, in Iraq avrebbe sicuramente modificato le sorti della sfortunata e caotica campagna. Comunque sia, a partire dal 15 maggio, i caccia pesanti Me110 e i bombardieri Heinkel 111 della Luftwaffe, affiancati in seguito da apparecchi italiani Fiat CR42, effettuano dalla base di Mosul un breve ciclo di missioni, consistenti nell’appoggio diretto alle colonne irachene e nell’attacco a quelle britanniche. Nel corso di queste operazioni gli aerei dell’Asse hanno anche modo di scontrarsi con quelli della RAF, infliggendo e subendo diverse perdite (5).
A dimostrazione della leggerezza con la quale la Germania decide di affrontare l’”emergenza” irachena, basti pensare che Berlino non provvede (o non fa a tempo a provvedere) a trasferire in Medio Oriente che una minima parte dell’organizzazione logistica e dei quadri indispensabili per sostenere non soltanto l’esercito iracheno, ma anche il piccolo corpo aereo della Luftwaffe. Ne consegue che l’attività dei velivoli tedeschi (per non parlare di quelli italiani, i cui piloti e specialisti fanno miracoli data la cronica penuria di rifornimenti) viene a dipendere in tutto e per tutto dagli iracheni incapaci perfino – come si è visto – di fornire carburante idoneo o di approntare un paio di piste di atterraggio decenti. Pur volendo aiutare Rashid Alì, la Germania continua a muoversi con eccessiva lentezza e con il contagocce, pregiudicando non soltanto le sorti della rivolta irachena, ma dando agli inglesi l’opportunità di attaccare ed occupare anche la Siria e il Libano: colonie che verranno strappate con la forza alla Francia di Vichy – accusata di avere fornito armi agli insorti iracheni e di avere messo a disposizione dei reparti aerei italo-tedeschi i suoi aeroporti – e poi “girate” agli alleati gollisti (6).
Il 30 maggio, dopo avere infranto le ultime roccaforti di resistenza nemiche, le colonne anglo-indiane giungono alla periferia di Baghdad, città ancora presidiata da una divisione irachena. Pur avendo l’opportunità di concludere eroicamente la sua avventura (egli dispone ancora di circa 12.000 soldati), Rashid Alì, male informato circa la forza del nemico, decide di mollare la partita. Lo stesso giorno, infatti, il primo ministro, assieme ai principali esponenti del suo governo rivoluzionario, abbandona in macchina la capitale, guadagnando la frontiera persiana. In seguito, grazie all’appoggio degli agenti italiani del SIM, Rashid Alì riuscirà a fuggire anche da Teheran e a passare in Turchia (7). Dopo la partenza di Rashid Alì, il sindaco di Baghdad prende di fatto le redini della situazione, chiedendo un armistizio al tenente generale Quinnan. E la sera del 30 maggio 1941, sul pennone del Palazzo del governo della città delle Mille e una Notte viene issata la bandiera britannica.
Se da un lato il fallimento della Rivolta irachena del 1941 non permise al Movimento nazionalista di Rashid Alì di ottenere la totale indipendenza del paese con largo anticipo rispetto all’inizio del processo di decolonizzazione – che a partire dal secondo dopoguerra interesserà non soltanto la Gran Bretagna, ma anche la Francia e altre nazioni europee – questo primo, sfortunato e mal architettato tentativo di affrancamento, contribuirà comunque a mantenere vivo e a rafforzare nella casta militare e politica irachena, quel sentimento esasperatamente nazionalista che cementa ancora oggi le basi della più coriacea, dispotica e pericolosa dittatura mediorientale.
NOTE:
1) Nel 1941 l’armamento dell’esercito iracheno comprendeva fucili Lee-Enfield Mark III, mitragliatrici pesanti Maxim-Vickers, leggere Lewis da 7,7 mm. E cannoni da campagna da 4,5 pollici di fabbricazione inglese. E le forze meccanizzate erano equipaggiate con carri armati leggeri L35 Fiat da 3 tonnellate e con autoblindo inglesi Crossley e Lanchester. La Royal Iraqi Air Force disponeva di circa 25 Hawker Nisrs, nove Gloster Gladiator, quindici Breda Ba 65 di fabbricazione italiana, quindici Douglas Northrop 8A/4 e quattro Savoia Marchetti SM79B di fabbricazione italiana.
2) Sull’aeroporto di Habbaniya, si trovava la quasi totalità dell’aviazione inglese presente in Iraq allo scoppio della rivolta di Rashid Alì. Erano dislocati 32 Hawker Audax da addestramento (poi modificati e utilizzati, assieme agli Oxford, come bombardieri leggeri), otto Gordon, 26 Oxford, cinque Hart, tre caccia Gloster Gladiator, un bimotore da bombardamento leggero Bristol Blenheim e una squadriglia di aerei da trasporto Vickers Valentias. Il 19 aprile, cioè prima che le forze irachene riescano a circondare la base, la RAF farà a tempo a trasferire dall’Egitto ad Habbaniya altri 9 caccia Gladiator, rafforzando contestualmente l’organico della base di Shaibah che oltre ai vecchi bombardieri Vincent riceverà 17 moderni bimotori da bombardamento Wellington, mentre altri 7 bimotori da bombardamento leggeri Blenheim IV verranno dislocati sull’aeroporto secondario di Lydda.
3) I rifornimenti inviati dalla Francia di Vichy ammontavano a ben 15.500 fucili Lebel, 200 mitragliatrici Hotchkiss da 8 mm. E 5 milioni di proiettili; 354 pistole mitragliatrici (probabilmente MAS) con 88.850 caricatori, quattro pezzi da 75 mm. Con 9.999 colpi, quattro pezzi da 155 mm. con 6.000 colpi e 30.000 granate.
4) Corpo di Spedizione Aereo Italiano operativo in Iraq: 11 caccia Fiat CR42 della 155ma Squadriglia al comando del capitano Sforza; due trimotori da trasporto pesante Savoia Marchetti SM82, due trimotori da trasporto Savoia Marchetti SM81 e un trimotore da bombardamento e supporto Savoia Marchetti SM79. Dal canto loro, i tedeschi inviarono (da Belgrado a Mosul, via Atene e Rodi) il FliegerKorps VIII al comando dell’Oberst Warner Junk. Questo era composto da 14 bimotori da caccia pesante Me Bf 110 e 7 bimotori da bombardamento Heinkel He 111 H6. Per il supporto logistico vennero impiegati circa 20 trimotori e bimotori da trasporto Ju 52 e Ju90 B. L’Oberst Junk, che mantenne il suo quartiere generale a Rodi, inviò ad Aleppo (Siria) il colonnello von Manteuffel con compiti di coordinamento.
5) Il 16 maggio, tre Heinkel 111 bombardano Habbaniya, distruggendo anche un caccia Gloster Gladiator. Il 17, due Me110 in fase di decollo dalla base di Mosul vengono abbattuti da due Gladiator. Tra il 19 e il 20 maggio, nel vano tentativo di alleggerire la pressione inglese su Remadieh e Al Falluja, i Me110 e gli Heinkel 111 effettuano diverse sortite. E il 20, sei Me110 attaccano nuovamente Habbaniya distruggendo due Valentia, un DC2 e un Bristol Blenheim. Il 30 maggio, poche ore prima dell’arrivo a Mosul delle truppe anglo-indiane, i quattro He111 superstiti lasciano la base e fanno rientro in Siria.
Per quanto concerne la breve attività della Regia Aeronautica Italiana, va notato che essa inizia ad operare con ritardo nei cieli iracheni. Il 29 maggio, tre caccia Fiat CR42, di base a Kirkuk, si scontrano con una formazione mista composta da tre Audax e da due Gloster Gladiator, riportando l’abbattimento di un Audax, ma accusando la perdita di un velivolo, il cui pilota verrà fatto prigioniero. Il 30 maggio, sette CR42 attaccano a volo radente, e senza subire perdite, le colonne inglesi in avvicinamento a Baghdad. Tuttavia, al loro rientro alla base due CR42 si sfasceranno al suolo causa delle pessime condizioni della pista. Il 31 maggio, in seguito al tracollo dell’esercito iracheno, i sette CR42 ancora efficienti, l’SM79 e i due SM81 abbandonano Kirkuk alla volta dei campi siriani.
6) Dopo avere schiacciato la rivolta irachena, un grosso esercito anglo-indiano al comando del generale Henry Wilson, sostenuto da un contingente della “Francia Libera” al comando del generale Georges Catroux, invade la Siria. L’8 giugno 1941, con una manovra a tenaglia gli alleati penetrano da ovest e da sud nella colonia, difesa da un esercito di circa 35.000 soldati (di cui 18 battaglioni di fanteria e 20 squadroni di cavalleria sono formati da addestrati soldati della Legione Straniera e da elementi di colore marocchini, tunisini, algerini e senegalesi) agli ordini del generale Dentz. Pur rendendosi conto della disparità delle forze in campo e dell’impossibilità di ricevere aiuti dalla madrepatria o dalla Germania (i cui ultimi aerei presenti in Medio Oriente hanno abbandonato la Siria il 6 giugno), Dentz, che è un ottimo generale, decide di opporre una fiera resistenza, causando agli inglesi e alle forze golliste dure perdite. E soltanto il 22 giugno, Damasco cadrà nelle mani dei britannici. Il 10 luglio, Dentz accetterà di arrendersi, richiedendo ed ottenendo l’onore delle armi.
7) All’inizio del 1943, l’Iraq, ormai saldamente sotto controllo inglese, dichiarò guerra all’Asse. Mentre. Rashid Alì trovò rifugio (assieme al suo alleato-rivale, il Gran Muftì di Gerusalemme) nella Germania dove trascorse il resto della guerra, lottando a fianco dei nazisti contro le “plutocrazie occidentali” e contro gli ebrei e vagheggiando un suo ritorno in patria da vincitore. Dopo il 1945, Rashid Alì riuscì a fuggire in Arabia Saudita dove trovò asilo, rientrando in Iraq dopo la rivoluzione del 1958.
BIBLIOGRAFIA:
Buckley, Christopher. FIVE VENTURES. London: HMSO, 1954.
Playfair, I. S. O. THE MEDITERRANEAN AND MIDDLE EAST, volume II: THE GERMANS COME TO THE HELP OF THEIR ALLY. London: HMSO, 1956.
Dudgeon, A. G. THE WAR THAT NEVER WAS. Shrewsbury: Airlife, 1991.
Pal, Dharm. OFFICIAL HISTORY OF THE INDIAN ARMED FORCES IN THE SECOND WORLD WAR, 1939-1945: THE CAMPAIGN IN WESTERN ASIA. Delhi (?): Combined Inter-Services Historical Section, 1957.
Hirszowicz, Lukasz. THE THIRD REICH AND THE ARAB EAST. London: Routledge & Kegan Paul, 1966.
Joseph E. Katz Middle Eastern Political and Religious History Analyst Brooklyn, New York
Bernabò Brea, Gianni. Iraq 1941: un’occasione perduta, in Storia e Battaglie, n. 2 maggio 2000, Editoriale Lupo, Vicchio (Firenze)
Costa, Mario. PERCHE’ HITLER NON LANCIO’ I PARA’ SUL MEDIO ORIENTE?, in Storia Illustrata, n. 140 luglio 1969, Arnoldo Mondatori Editore, Milano
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