Un libro del giornalista Riccardo Prando e della professoressa Elena Zambon, «La Grande Guerra e il Varesotto», completa il quadro storico del grande conflitto nel centesimo anniversario.
di Luciano Garibaldi
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Una appassionata e approfondita ricerca storica ha consentito a Riccardo Prando, giornalista de “La Prealpina”, di realizzare un libro che ci aiuta a capire, ad un secolo dai fatti, lo stato d’animo dei nostri nonni e bisnonni nelle province non direttamente investite dallo tsunami della Grande Guerra, ma coinvolte direttamente, in primis per la loro vicinanza geografica, al fronte. Il riferimento è al volume «La Grande Guerra e il Varesotto» (Pietro Macchione Editore, 232 pagine, 25 euro) che Prando ha potuto realizzare grazie ad una attenta ricerca effettuata prevalentemente negli archivi del Comune di Varese, del quotidiano «La Prealpina», e del settimanale cattolico «Luce» (quest’ultimo ha cessato le pubblicazioni un paio d’anni or sono dopo oltre un secolo). Tra gli aspetti più significativi dell’opera, l’arrivo nel Varesotto di migliaia di italiani espulsi dalla Francia e da altre nazioni europee nel periodo della neutralità, e una vera e propria invasione da parte delle famiglie italiane che erano emigrate e si erano stabilite in Germania e dovettero fuggire verso l’Italia, abbandonando i loro beni e le loro case, quando decidemmo di entrare in guerra a fianco dell’Intesa.
Si può affermare che, nella miriade di libri dedicati, in occasione del centenario, alla Prima Guerra Mondiale, c’è sicuramente ampio spazio per una ricerca dedicata alla ricostruzione non delle battaglie, degli scontri, delle rotte e delle rivincite dei combattenti, ma al cosiddetto «fronte interno», ovvero al territorio coinvolto indirettamente nel terribile conflitto. Lettere dei soldati, documenti ufficiali, resoconti giornalistici dimostrano come le popolazioni del territorio compreso tra il Luinese, al confine con la Svizzera, e il Nord Milanese – un secolo fa suddiviso tra le province di Como e Milano, perché quella di Varese nascerà solo nel 1927- rimasero per lungo tempo all’oscuro di quello che in realtà stava accadendo sui campi di battaglia europei, compresi quelli orientali d’Italia.
Allo scetticismo circa l’effettiva entrata in guerra subentrò ben presto la certezza che difendere i sacri confini del Paese sarebbe stato quasi un gioco da ragazzi per intensità e durata. Fu così che Varese non solo continuò, anche dopo il maggio del 1915, a richiamare turisti da mezza Europa nei suoi bellissimi alberghi liberty e nelle sue ville nobiliari sparse sui colli, ma proprio attraverso i suoi giornali rilanciò l’idea di una economica locale tutta o quasi basata sull’accoglienza del villeggiante alla ricerca di aria salubre, tanto verde e laghi incantevoli che l’immancabile vittoria finale avrebbe moltiplicato.
Solo al volgere del primo anniversario del 24 maggio cominciarono a cadere le illusioni circa un conflitto breve e poco doloroso: le notizie incalzanti dei morti in combattimento, le censure sulla stampa che facevano presagire scenari luttuosi, il rincaro dei generi di prima necessità e la loro progressiva restrizione sul mercato, l’impoverimento delle risorse derivanti dalle strutture turistiche e dal lavoro agricolo, il sostanziale stallo delle operazioni militari alzarono il velo sulle illusioni di guerra. Molte aziende industriali furono costrette a chiudere e licenziare. Amministrazioni comunali ed enti assistenziali, perlopiù religiosi, che già avevano unito le forze nel 1914 fornendo assistenza agli emigranti di ritorno costretti a fuggire dai luoghi di lavoro in Francia e Germania, moltiplicarono gli sforzi dopo Caporetto, quando migliaia di veneti e friulani si riversarono anche in terra varesina in cerca di una casa e un lavoro. E in proposito, il libro di Prando fa capire quanto importante e utile sia stata l’assistenza umanitaria offerta dalle strutture religiose.
Ma «fronte interno» significò anche dare ospitalità alle truppe in attesa di essere spedite in trincea, con la conseguenza che le esercitazioni in campagna finivano con seri danneggiamenti all’agricoltura, mentre gli edifici pubblici, a partire dalle scuole, diventavano caserme improvvisate. Di sicuro interesse storico la seconda parte del volume, a cura della professoressa Elena Zambon, che descrive e analizza, con apposite schede, la successiva, capillare realizzazione dei monumenti ai Caduti in tutti i centri abitati del Varesotto. In proposito, gli Autori hanno realizzato un’ampia carrellata di immagini dei monumenti e hanno recuperato numerose e attraenti foto d’epoca.