di Lino Di Stefano
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Ho conosciuto Francesca Lo Bue un paio d’anni fa attraverso una collega del Sindacato e considerati i comuni interessi letterari ne è nata un’amicizia rafforzata anche dal fatto che, da autodidatta, ho imparato un po’ di lingua castigliana visto, altresì, che ho parenti in Argentina, precisamente nella capitale Buenos Aires, con i quali mi esprimo, entro i miei limiti, s’intende, in tale idioma.
Naturalmente, ci siamo scambiati i rispettivi libri, e in un paio di occasioni, ho parlato, o meglio, ho scritto sulla poetica e sulla poesia della nostra poetessa che ha al suo attivo già diverse pubblicazioni quasi sempre bilingui. Mi limiterò alle principali non senza fornire anche qualche notizia biografica sull’Autrice. La quale, nata in Sicilia – esattamente a Lercara Freddi in provincia di Palermo – ha seguito da piccola i genitori trasferitisi in Argentina; compiuti gli studi colà, si è laureata in Lettere e Filosofia all’Università Nazionale di Cuyo de Mendoza.
Ecco perché, la critica, Antonietta Tiberia, rileva giustamente che la nostra poetessa “è come un uccello migratore, con una zampa qua e una là, che si muove a cavallo fra due mondi culturali, con originale profitto”. Da qui, continua la citata studiosa, la duplice appartenenza di Francesca Lo Bue “al paese natale e al paese dove ha trascorso l’infanzia e la giovinezza rievocando (sembra con rammarico) la patria lontana” .
Così continua Antonietta Tiberia: “Nella sua poesia, dunque, Francesca elabora l’interpretazione e l’esplorazione della realtà che pur essendo al di là del sensibile , lo presuppone. Perciò, per cogliere i mistero eterno della vita e del mondo non si arresta alla superficie delle cose o alla loro logora parvenza , ma penetra oltre, indagandone l’intima significazione, con una forte stesura simbolica nel gioco metaforico e teatralizzato della vita”
Anche la studiosa Francesca Innocenzi, nella sua Nota di lettura ai testi, facendo leva sul fattore bilingue della poetessa italo-argentina, scrive che tale componente identitaria “si carica di valenza etica in quanto strumento di conoscenza in rapporto con il vero”, sicché, essa prosegue, la “Lo Bue (…) esprime la sua idea di patria, che coincide con l’attaccamentoa una lingua viva, concepita come estrinsecazione di sé”.
Ciò premesso, torno alla nostra Autrice la quale, dopo aver vinto una borsa di studio del Ministero degli Esteri Italiano, col lavoro ‘Lirismo y Metafìsica en Giacomo Leopardi’, ha seguito, sotto la guida del noto studioso Aurelio Roncaglia, studi filologia romanza alla ‘Sapienza’ di Roma conseguendo il relativo attestato accademico. Dopo la specializzazione in tale disciplina, la prof.ssa Lo Bue si è stabilita a Roma dove vive e lavora.
Ha pubblicato in Argentina il romanzo di viaggio ‘Pedro Marciano’ e in Italia le seguenti raccolte poetiche bilingui quali ‘Non te ne sei mai andato’ (Nada se ha ido), Roma, 2009, ‘Por la palabra, la emociòn’ (L’emozione nella parola), Roma, 20010, ‘Moiras’, Roma, 2012, per menzionarne solo alcune. Molto bella e calzante risulta la dedica di Francesca Lo Bue, premessa alla raccolta ‘Non te ne sei mai andato’, alla sua Sicilia, lo possiamo dire, ed essa così suona: “Sicilia, bellamara, / fiamma pietrificata./ Dalla tua aurea falce appuntita/ goccia lento il miele del passato”.
E proprio dalla citata raccolta mi piace iniziare la disamina dell’universo poetico dell’Autrice la quale così esordisce: “Avrò un nome? / Sarò un nome nell’oblio delle spume ombrose? / Avrò un’eco nel crepitio giallo del vento?” (? Poseeré un nombre? / ? Seré un nombre en el olvido de las spumas sombrìas?/ ? Tendré un eco en el crujido amarillo del vento?”) . La poetessa, dopo altre domande, conclude sperando di poter, un giorno, dormire nella sabbia non senza essersi posta ancora un altro quesito e vale a dire “Lontana stella d’argento/ che dici nella tua ombra fulgida? (? Que dices en tu sombra fùlgida, / Lejana estrella de plata?”).
E, qui, la Lo Bue esclama, sconsolata: “Sorrido e piango,/ questo mi basta” (Sonrìo y lloro/ Eso me basta”); e così di seguito in un crescendo di inquietudine e di angoscia che rappresentano le caratteristiche precipue di questa visione del mondo che parla sempre di attese, di speranze, di lontananze, di aspirazioni, di ricordi e di misteri: questi ultimi crocifissi “fra caverne di carne opaca” (entre las cavernas de carne opaca).
Com’è facile intuire, il mondo dell’Autrice è una realtà sofferente nel cui seno, essa osserva, “Si dilatano nell’azzurrigna palma intricata/ le note dell’incognito, la sorte e la grandezza” (Se dilatan en la azulada palma enraizada/ Las notas del incògnito la suerte y la grandeza). Nella lirica ‘Incompiuto’ (Incompleto), mentre il tempo fugge talmente veloce che, rileva ancora, “Fu, appena è” (Fué, apenas es).
Il tema della fugacità dell’esistenza è un motivo dominante nella poetessa, talmente pressante da farle intravedere, nel cosmo, soltanto “Geni neri, angeli in battaglia, / così senza niente, e senza mani, / solo più in là, fuoco di paradiso bruciato, / paradiso rannuvolato, senza patria. / Infinito di ghiaccio!” ( Duendes negros, àngeles en batalla, Asì sin nada y sin manos ./ Solo un allà, fuego de paraìso quemado, / Paraiìso nublado/ !Un infinito de hielo!”).
Ed ecco un significativo componimento del florilegio – intitolato ‘Rifiuto’ (Rechazo) – e che mette a nudo l’anima della poetessa vilipesa da chi ripaga i suoi sinceri sentimenti “con puntute monete di vetro,/ sputi gelati, /canne sfatte” (Devuelves puntiagudas monedas de vidrio, / Esputos helados, / canas deshechas”).
Anche la ‘Madre Terra’, titolo della poesia le appare come una “Sfinge di fango indurito” (Madre de tierra/ Esfinge de lodo endureciso) mentre “verranno le allodole del terrore” (Vendràn las alondras del terror” e mentre “Si scavano, si scavano le gallerie trasparenti di Dio” nel “Sole sepolto” (Se excavan, se excavan las galerìas transparentes de Dios”) nel (Sol sepultado).
Nel mondo poetico di Lo Bue non c’è tregua, non ci sono mezze misure perché tutto si svolge in maniera accelerata e irrefranabile visto che sulla terra tutto è triste, tutto è illusorio, tutto è fugace mentre la sfida della speranza s’infrange contro “muraglioni d’argilla, vetri e canne” (Tapias de arcilla, viario rotos, canas) e mentre nemmeno la poesia riesce a penetrare i segreti dell’universo.
Cosmo dominato da un mistero inestricabile e agitato da una pena attorcigliata tra gli alberi senza che nessuno riesca ad evitare l’abisso dell’arcano e a squarciare il velo – così è scritto in ‘Moiras’ – che “Si affaccia nell’alba inquieta” (Se asoma en el alba inquieta), densa di rancori antichi.