La libertà non si perde mai tutta insieme. Viene smontata pezzo a pezzo, sfogliata come un carciofo di cui, alla fine, non resta che il gambo. Come i carciofi, anche le libertà sono piene di spine e devono essere maneggiate con cura, rispetto, amore. Il nostro è il tempo degli schiavi della falsa libertà, che sta cancellando una ad una le libertà concrete. Diceva Schiller che gli uomini reclamano la libertà di parola in quanto aborrono quella di pensiero, più faticosa, troppo impegnativa. Nel frattempo, anche la libertà di parola viene erosa ogni giorno, per legge, per intimidazione, per il carico insopportabile di credenze, parole, condotte imposte.
Un giornale progressista esige che diventi reato il cosiddetto “negazionismo climatico”. Per fare pendant, un deputato conservatore chiede di sanzionare penalmente gli avversari delle vaccinazioni. Neppure i ministri possono parlare, se hanno un’idea dell’aborto non conforme. Il presidente della repubblica assevera che omofobia e transfobia sono terribili problemi italiani, altro che alluvioni, disoccupazione, precarietà, dissoluzione civile e insicurezza. Altri ingiuriano, riducono al silenzio quando non trascinano in tribunale chi non è d’accordo sull’immigrazione massiccia e osa parlare di sostituzione etnica. Non parliamo della guerra in corso, della beatificazione della sessualità sterile e di ogni altra diavoleria LGBT(QI+): codice penale alla mano (legge Mancino sulle discriminazioni, delitto di odio e via proibendo), si può avere un’unica opinione, quella diffusa a reti unificate dall’altoparlante del pensiero tendente all’unico. Pensiero unico uguale unico pensiero. E la libertà, che, sosteneva Rosa Luxemburg, è sempre libertà di dissentire?
L’elenco potrebbe continuare; proviamo allora a formulare un percorso alternativo, con il profumo aspro della libertà. Ci tocca partire da un elemento biografico. Chi scrive, già da adolescente militava nel più odiato dei partiti di allora, il MSI. Un po’ per istinto, molto per attrazione verso i pochi, i vinti, i proscritti. Era durissima: nessuno riconosceva il diritto di parola, impedito con le cattive o con argomentazioni cariche di ipocrisia. Bisognava farsi largo urlando più forte, talora menando le mani. Giusto o sbagliato, andava così.
Restavano tre possibilità: arrendersi, per quieto vivere e non perdere la tranquillità, il lavoro, l’incolumità. Era la scelta dei più, valida in ogni tempo o situazione. Chi grida di più, la vacca è sua, dice un proverbio. La seconda alternativa era diventare uguali e contrari a chi ci impediva la parola e ci aggrediva: violenti, intolleranti, incapaci di capire le ragioni altrui, disinteressati a difendere le proprie con argomenti e idee. No, non era proprio possibile essere come quegli altri, imitare condotta, atteggiamento, perfino l’estetica, tutto ciò contro cui era sorta una rivolta morale, grezza, sgangherata, ma netta, esistenziale. Chi assomigliò ai nemici fece le scelte peggiori.
La terza via, complicata come passare dalla cruna di un ago, era rivendicare la libertà per noi e per tutti, mettendola in cima ai principi. Ciò poneva in discussione una parte delle idee alle quali eravamo affezionati, costringeva all’autocritica, allo studio, a impegnarsi a costruire un sistema di valori attraente e inattaccabile, a riconoscere, se non le ragioni, l’umanità dell’altro, il suo diritto di non pensare come noi. Rammentiamo un dialogo con papà, tipografo anticomunista che lavorava sei notti alla settimana in un giornale. Lamentavamo il successo del PCI tra gli operai (altri tempi…). Il babbo distillò una perla di senso comune: guarda i quartieri dove vivono, gli ambienti in cui lavorano e i salari che ricevono: pensi che voterebbero Malagodi? Il politico citato era un colto galantuomo d’altri tempi, ma era il segretario del Partito Liberale.
Aveva ragione papà e la lezione servì, come la regola d’oro assiologica di non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te. Una formula semplicissima che gli uomini non seguono quasi mai, specie in tempi individualisti, egoisti, violenti nell’essenza, in cui impera quello che lo scrittore Javier Rùiz Portella chiama “ioismo”, il culto di se stessi unito alla superba convinzione di essere il centro dell’universo.
Dunque, bisogna innanzitutto riconoscere la liceità delle posizioni altrui, primo passo per esigere analogo trattamento. Nessuno mi farà tacere, né io intendo ridurre alcuno al silenzio. Con l’eccezione di chi usa la violenza, fisica o psicologica, l’intimidazione e l’esclusione. È più facile non avviare il dibattito: evita di misurarci con le idee altrui e magari uscire sconfitti. Naturalmente, bisogna fingere indignazione, sdegno, ripulsa morale: le idee altrui non sono sbagliate, sono malvage. Chi le difende è cattivo, un soggetto da ridurre al silenzio, espellere dal consorzio umano, punire con apposite leggi. È il principio di Carl Schmitt nella Teoria del Partigiano: l’avversario non è più tale, ma un nemico “assoluto” da annientare. Deve scomparire per indegnità. Purtroppo, è questa la deriva dell’occidente, ex tollerante, ex sostenitore della dignità intangibile di ciascun essere umano, ex difensore delle libertà.
Siamo entrati nell’era della post libertà e della postdemocrazia. È in corso una guerra cognitiva contro ciascuno di noi, contro me e contro te, affinché cambiamo irreversibilmente non solo la nostra visione del mondo (questo fa parte della libera dialettica), ma perché non crediamo più neppure ai nostri occhi. Pare che sia vietato – e comunque pericoloso per carriere e incolumità – affermare che “maschio e femmina li creò”, come insegna la cosmologia di cui siamo figli. Siamo scissi da ogni appartenenza -naturale, spirituale, etnica, comunitaria- e anche da noi stessi: io sono uomo o donna solo se lo voglio e fintanto che mi va, recita la nuova dogmatica. Diventa eresia prendere atto dei dati naturali – chiamati biologici per depotenziarne gli effetti – giacché il sesso/genere è un revocabile costrutto culturale, la maternità affidata alle femmine della specie un’imposizione, un modello di dominazione culturale.
Ebbene sì, siamo eretici: osserviamo bimbi e bimbe di tre anni comportarsi, muoversi, agire in maniera del tutto diversa. La scienza – neoreligione brandita quando serve, celata quando ci contraddice – spiega che persino il cervello funziona diversamente tra i due sessi. Dire “due sessi” potrebbe portare davanti a un giudice, ed espone alla riprovazione di una minoranza chiassosa di psicopoliziotti del nulla che non si ha il coraggio di contrastare. Non di zittire, sia chiaro: mai diventare come loro! Vogliono abolire – o capovolgere – la continuità naturale tra pensiero e parola: vediamo bianco ma dobbiamo chiamarlo nero, o viceversa.
Un grande uomo di cultura, Giano Accame, soleva dire che è semplicissimo sapere chi comanda: basta capire di chi e di che cosa non si può dire male. Non dovrebbe essere così, nella sacra democrazia, la procedura capace di regolare i contrasti dando voce a tutti senza violenza. E allora, di chi e di che cosa non si può “dire male” e, specularmente, di chi e di che cosa non si può “dire bene”? Ognuno faccia il suo elenco e il suo esame di coscienza.
Il nostro è il seguente: innanzitutto è sostanzialmente proibito eccepire l’idea che il sistema socioeconomico vigente sia il migliore di tutti. Di più: è l’unico, l’insuperabile, la conclusione dell’esperienza umana. Dunque, il sistema liberista (liberale è parola superata, Malagodi non crederebbe ai suoi occhi) è l’unico meccanismo di organizzazione della vita economica. Privatizzazione di tutto, anche dell’acqua, concentrazione della proprietà in pochissime mani, smantellamento dei diritti sociali, la moneta sottratta al controllo pubblico, prestata a debito dalla finanza privata e così via.
È ancora possibile proporre modelli alternativi, dal socialismo al corporativismo, alla dottrina sociale cattolica, al cooperativismo, all’autogestione, al comunismo, o dobbiamo morire liberisti, non avendo nulla ed essendo felici, come ci impongono senza vergogna? È ancora lecito pensare che il destino dell’uomo non sia limitato a commerciare e scambiare beni sul mercato, entità eterea sostituita dal monopolio, lo squalo che mangia gli altri pesci? Il punto è dirimente: l’orizzonte mentale del liberista/liberale/libertario, corroso dall’idea di progresso, teso a rendere tutto misurabile, compravendibile, prevedibile e razionalizzabile, espelle ogni possibilità di pensiero alternativo in quanto non sa neppure immaginarlo.
La pretesa neutralità etica è indifferenza assiologica, che diventa feroce contrarietà a tutto ciò che contraddice le (inesistenti) leggi del progresso lineare. Chi non è d’accordo, è un residuo del passato, forse un pazzo. Arrivano i “fascisti” (figure fantasmatiche, oniriche, evocate per troncare ogni ragionamento), torna il Medioevo. Ebbene, se tornasse? Fu il tempo in cui vissero Dante e San Benedetto, Giotto, Tommaso, San Francesco, i grandi matematici e scienziati arabi, in cui inventarono la bussola e la scrittura musicale, in cui gli architetti edificarono le grandi cattedrali e gli ingegneri idraulici fecero giardini dell’arida Andalusia. La cattiva fama del Medioevo è dovuta al fatto che l’idea dominante era Dio, non Mammona. Si può ancora preferire Dio alla materia? In tempi liberi, sì, oggi non sappiamo: un giovane è stato arrestato in Canada mentre distribuiva bibbie.
Si può dire bene di Aristotele e di Shakespeare, condannati dalla cultura della cancellazione, giudicati empi con il criterio di oggi, il suprematismo che pretende di abolire tutto ciò che non corrisponde al sistema di pensiero secondo cui noi contemporanei abbiamo ragione su tutto, mentre gli altri (tempi, culture, visioni del mondo) hanno torto in quanto arretrati? È ancora possibile rivendicare il valore assoluto della vita umana dal concepimento alla fine naturale? L’Occidente ha smarrito il senso del limite, anzi lo odia con ogni sua forza. Per quanto tempo potremo ancora dirlo senza essere banditi – scrivono “bannati” perché nasconde il significato- e magari trascinati davanti a un giudice che sarà anche accusatore? Possiamo ancora dir bene di noi stessi?
Bisogna essere tutti d’accordo e usare le stesse parole: il sesso è diventato “genere”, l’altro termine è riservato all’atto materiale: fare sesso. Stiamo passando dall’indice dei libri proibiti, brutta pagina della Chiesa, all’indice delle parole vietate dal breviario neolinguistico politicamente corretto. Anche la morte è bannata: si chiama “fine vita” e può essere richiesta agli uffici statali. Sembra che i popoli “civilizzati” (che non significa civili o liberi) approvino il “suicidio assistito” dei poveri, cioè il loro assassinio legale. Un’altra finestra di Overton spalancata sul nulla. Si potrà ancora giudicare nichilista una civilizzazione che non crede più in Dio, al passato, al futuro, chiusa in un angusto presente in cui ogni stranezza è chiamata diritto e ogni obiezione discorso di odio?
Si può restare impuniti se si afferma che i figli – nati dall’unione di un uomo e di una donna – sono il mezzo per riprodurre la vita e la società? E se, orrore massimo, ci ostinassimo a preferire la sessualità “normale” e feconda rispetto al modello sterile, transessuale perché transumano ? E se a un mondo di nomadi in preda alle dipendenze, precari della vita, sempre più ignoranti, contrapponessimo la vecchia triade Dio, Patria, famiglia, con l’aggiunta di lavoro e giustizia sociale? La diffusione della credulità – frutto di un’ignoranza “istruita” – permette al potere di farci diventare schiavi, gregge inconsapevole.
La Repubblica ha la ricetta: meno latino a scuola, più ChatGPT, la cornucopia dell’intelligenza artificiale. Il latino non permette di comunicare nei viaggi last minute e sulle spiagge alla moda, però insegna pensare, ovvero a diventare maturi, critici, liberi. ChatGPT impedisce il pensiero: le risposte sono tutte preconfezionate dentro la scatola magica. Oggi le differenze scavalcano le linee del passato: la libertà si difende innanzitutto alimentando il dubbio, figlio del pensiero, che, se è tale, è sempre critico e pretende di discutere ogni cosa senza tabù. Nessun pensiero espresso senza violenza e prevaricazione deve essere vietato.
Viviamo in un proibizionismo oscurantista mascherato da presunti “buoni “sentimenti e da un intento neomoralistico teso a vietare, oscurare, limitare la libertà, di cui ci stiamo disfacendo come delle foglie del carciofo. E se- non tanto paradossalmente- tornassimo, per autodifesa e rispetto di noi stessi, al “vietato vietare “del Sessantotto?