Non sono certo il primo nipote – e non sarò di certo l’ultimo – che ha visto il proprio nonno spegnarsi piano piano. Ma credo che ciononostante sia bello poter raccontare di un’esperienza così importante, in grado di suscitare gioie e dolori, speranze e pianti davanti a quei ricordi che difficilmente potranno mai spegnersi.
Mio nonno si chiamava Lando e avrebbe compiuto 88 anni il prossimo 18 settembre. Da molto tempo era malato di cuore e negli ultimi tempi si è dovuto sottoporre a una serie di ricoveri, interventi e controlli davvero frustranti. Però, la “malattia” più grande si è manifestata d’improvviso il 3 febbraio di quest’anno: mia nonna, la sua amata sposa, ci ha lasciati una mattina provocando in lui quelle lacrime che mai avevo visto scendere dai suoi occhi, nonostante le prove e le sofferenze che la vecchiaia – come la chiamava lui – gli stava già da tempo riservando. Quel matrimonio, quel vincolo sovrannaturale che nemmeno la morte è riuscita a separare, spezzandosi materialmente ha provocato un vuoto interiore che si crea solo c’è stato amore vero.
Da quel momento, mio nonno ha smesso di combattere. Ha fissato gli occhi e il cuore sull’amata sua sposa con la quale aveva condiviso più di mezzo secolo di vita. Uno di quei matrimoni, se mi è lecito dirlo, che probabilmente saranno sempre più rari. Smettendo di combattere si è lasciato andare attendendo quella morte che sapeva non avrebbe tardato a sopraggiungere: ne parlava spesso, la sentiva vicina e forse, per certi versi, anche la desiderava. Un uomo che è sempre stato rigoglioso fatica ad accettare l’infermità, il decadimento e tutto ciò che ne consegue. Soprattutto, avendo vissuto come una carne sola e un’anima sola con sua moglie fatica ad accettare la solitudine. Non per questo però si è fatto schiacciare dallo sconforto e dalla tristezza, ma anzi ha affrontato tutto con un certo distacco, con un fare che lo ha sempre contraddistinto e che potrei definire quasi stoico. Realismo, lucidità e consapevolezza lo hanno aiutato ad affrontare l’agonia e la morte con coraggio e con la preoccupazione di arrivare a fare non una morte senza dolore, ma una buona morte.
Mio nonno è stato uno di quegli uomini che sicuramente hanno subito i mutamenti sociali del dopoguerra, che lo hanno sostanzialmente reso un borghese da piazzare davanti alla televisione. Tuttavia, avendo vissuto l’epoca in cui la fede e la religiosità non erano ancora contaminate – almeno nel momento della sostanziale formazione dei fanciulli – gli uomini e le donne usciti da tale epoca sono rimasti saldi nelle cose essenziali: nella fede, nel rispetto della Chiesa, nella figura del sacerdote e nell’importanza dei sacramenti. Tutta semente che fiorisce nei momenti di difficoltà vera, dove invece che imprecare si cerca il conforto del Cielo, che viene appunto concretamente attraverso i sacramenti.
Così è stato per nonno Lando che, pur non essendo un cattolico fervente, è riuscito a essere un buon cristiano e a morire come si conviene. Negli ultimi giorni della sua vita, fra sofferenze e assalti di demoralizzazione, ha mantenuto la lucidità per prepararsi alla morte, pregando e rimettendosi nelle mani di Dio.
La mia esperienza è stata qui molto forte, perché Dio mi ha riservato quel compito che nessuno, come dice Sant’Alfonso nell’Apparecchio alla Morte, vuole mai prendersi: ovvero portare la notizia, far capire a mio nonno che era doveroso confessarsi e prendere il sacramento dell’Estrema Unzione perché le sue condizioni erano gravi e tendevano ad aggravarsi ogni giorno di più.
Ci ho pregato, ho chiesto alla Madonna la Grazia di aprire il suo cuore, di allontanare le tentazioni del Maligno e gli ostacoli. E così è stato, ringraziando per l’intercessione l’Immacolata. La prima volta è stato il parroco del paese ad andare a far visita al nonno nell’ultimo suo ricovero in ospedale. Ero con lui, gli stringevo la mano mentre nel suo iniziale affanno tentava di riconoscere il parroco. Dopodiché l’ho lasciato in quella doverosa intimità che serve in queste situazioni. Da fuori la stanza sentivo le preghiere, sentivo che la sua voce le ripercorreva insieme al prete, in modo liscio e pulito. Me ne rallegrai fino alla commozione, continuando a pregare anch’io.
Nel medesimo tempo sapevo che già era stato tanto, eppure sapevo che non avevo fatto il massimo: conoscendo il depotenziamento dei sacramenti nuovi e il modo in cui sono amministrati, pur riconoscendo la bontà e la bella fede del parroco, avrei voluto per mio nonno qualcosa di più: avrei, di fatto, voluto assicurarlo ai sacramenti amministrati come la Chiesa ha sempre fatto.
E così ancora pregai per questa Grazia che mi sembrava più difficile da ottenere, considerando il tempo e la distanza di quei pochi sacerdoti che fedelmente rimangono ancorati alla Chiesa di sempre. Il Signore però doveva vedere di buon grado l’impegno di mio nonno, e così ci ottenne anche inaspettatamente questa Grazia, questo dono per cui mai finirò di ringraziare. Dimesso dall’ospedale, per qualche giorno è stato appoggiato alla casa di riposo in cui lavoro io, per darci il tempo di organizzarci a casa e perché, comunque, la situazione clinica era ancora grave.
Una sera, dopo cena, riuscii a recarmi da lui, nella penombra e senza parlarne troppo, con un sacerdote. Da subito si presentò a mio nonno spiegando le intenzioni e chiedendogli se avesse gradito confessarsi per poi ricevere gli oli santi. Lui accettò ancora una volta di buon grado, e tutto si compì come Dio volle, con il nonno vigile, lucido e volenteroso di accostarsi ai sacramenti. Fu forse il suo ultimo e vero grado di lucidità, nonostante avesse avuto da vivere ancora qualche giorno.
Le sue mani erano sempre più fredde, il suo affanno sempre più forte, ma la sua anima, per sua stessa ammissione, sempre più in pace e credo (spero) pronta per presentarsi davanti al Sommo Giudice.
Ciò che era da fare è stato fatto e di questo ancora oggi gioisco. L’ultimo atto fu quello di riportarlo finalmente nella casa dove aveva vissuto una vita con mia nonna in mezzo alla campagna verde, vicino alla vigna che per tanti anni aveva accudito. È importante tornare a far morire i nostri anziani nelle loro case, in mezzo ai loro profumi e con i parenti riuniti al loro capezzale. Poche ore prima di morire ha fatto in tempo a vedere il suo piccolo pronipote di un anno, che ha riconosciuto e accarezzato. Nel suo letto ha reso l’anima a Dio, chiudendo i conti con la sofferenza che mai aveva troppo lamentato.
Tutti nella mia famiglia faticano a ricordare il nonno Lando in quelle condizioni: dimagrito, sofferente, stremato, su di una carrozzina… Non più quello di sempre, nel pieno delle forze e nella stabilità di una salute che seppur precaria nascondeva ancora bene l’avvenire più tormentato che la vita gli avrebbe riservato. Li capisco e non li giudico, perché ognuno vive il dolore e il lutto a proprio modo
Io, però, voglio invece ricordar mio nonno proprio così, nella sua fragilità e nella sua sofferenza. Perché sono stati quelli i momenti in cui ho vissuto veramente con lui, in cui ho guardato negli occhi la povertà della vita che però, se vissuta appieno e se deposta nella volontà di Dio, diventa vita vera, vita oltre la morte nell’accettazione della sofferenza.
In fondo nient’altro che questa è la via cristiana: la Via della Croce si consuma fra i patimenti, nell’agonia che questo mondo è arrivato a detestare fino al punto di volerla far scomparire, perché consapevole del fatto che è un riflesso della Croce di Cristo, di quella Croce che salva, che monda, che innalza al Cielo.
In mio nonno ho rivisto il limite della condizione umana, ma ho visto, ho toccato e ho vissuto quella fragilità umile che viene premiata dal conforto di Dio, dall’abbraccio d’amore di quel Padre misericordioso e giusto che torna a riprendere i suoi figli, perché la morte è la via verso la vera Vita.
10 commenti su “La Grazia di vedere un nonno morire da cristiano – di Cristiano Lugli”
Grazie. Una testimonianza ben scritta, bellissima e toccante, che mi ha ricordato da vicino gli ultimi anni della parabola terrena dei miei nonni paterni. Anche mio nonno sopravvisse all’adorata moglie, scomparsa improvvisamente, per poi lasciarsi andare ed invocare per lunghi mesi (anche in uno straziante diario che conservo ancora) la fine di tutto. So per certo che la fede, pur nell’approccio un po’ burbero e privo di fronzoli di chi ha fatto la guerra e sofferto la fame per allevare molti figli, non gli mancò mai.
Siano questi nostri cari vecchi (non mi piace il dolciastro “anziano”) esempio di rettitudine, fede, forza e – nei limiti umani che pure loro avevano – coraggio.
Grazie
Grazie, è una testimonianza che tocca il cuore.
Condoglianze di tutto cuore, e grazie della testimonianza!
Mi permetto di ricordare, in casi come questi, la recita della coroncina della Divina Misericordia.
Molto bello e commovente. Morire in Grazia di Dio, è certamente questa la più grande Grazia che possiamo (e dobbiamo) chiedere per noi e per i ns. cari…
Molto vero. Grazie. Un anno fa ho vissuto una vicenda simile con mio padre, morto l’ottobre scorso: alcuni aspetti sono analoghi, ma la cosa che più condivido è il ricordarlo proprio nei suoi ultimi momenti, ben lontano dal vigore fisico (e purtroppo anche mentale e morale) ma sempre più vicino alla vita eterna (a Dio piacendo) ossia al vero compimento di quella terrena. Nelle mie preghiere, oltre a chiedere perdono per non essere riuscito a essergli vicino come avrei voluto, e ovviamente a chiedere a Nostro Signore pietà per la sua anima, mi sforzo di pensarlo esattamente come l’ho visto negli ultimi istanti, al contrario di quel “preferisco ricordarlo quando stava bene” o simile che va certamente più di moda oggi.
Ad 80 anni compiuti…..c’è sempre ancora da imparare! Grazie tante!
grazie per le Sue parole Sig. Lugli, spero anche io di poter intercedere fattivamente per mia nonna come ha fatto Lei, così che anche lei sia pervasa da quella “fragilità umile che viene premiata dal conforto di Dio, dall’abbraccio d’amore di quel Padre misericordioso e giusto che torna a riprendere i suoi figli, perché la morte è la via verso la vera Vita”. Vicino nelle preghiere a Lei, alla Sua famiglia e a tutte quelle famiglie che ancora, nonostante tutto, si fanno carico dei propri infermi nella testimonianza umilee silenziosa della propria Fede.
Fortunato quel nonno e fortunato questo nipote!
Anch io nel mio lavoro in casa di riposo, specie negli ultimi anni sono stata attenta a provvedere e sollecitare presso i parenti in situazioni come quella di Nonno Lando. E ne sono tanto felice!
Un solo rammarico: non aver fatto questo, aver avuto quest’attenzione negli anni precedenti.
Spero tanto che quando toccherà a me, ci sia qualche buon’anima che faccia altrettanto; per questo già prego Maria SS e San Giuseppe, patrono dei morenti!
Sia lodato Gesù Cristo!