La festa di tutti i Santi – di dom Prosper Guéranger*

*da: P. GUÉRANGER, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI, P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 1222-1234.

http://www.unavoce-ve.it/pg-1nov.htm

 

 

La festa della Chiesa trionfante.

Vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, d’ogni nazione, d’ogni tribù, d’ogni lingua e stavano davanti al trono vestiti di bianco, con la palma in mano e cantavano con voce potente: Gloria al nostro Dio  (Apoc. 7, 9-10). Il tempo è cessato e l’umanità si rivela agli occhi del profeta di Pathmos. La vita di battaglia e di sofferenza della terra (Giob. 7, 1) un giorno terminerà e l’umanità, per molto tempo smarrita, andrà ad accrescere i cori degli spiriti celesti, indeboliti già dalla rivolta di Satana, e si unirà nella riconoscenza ai redenti dell’Agnello e gli Angeli grideranno con noi: Ringraziamento, onore, potenza, per sempre al nostro Dio! (Apoc. 7, 11-14).

E sarà la fine, come dice l’Apostolo (I Cor. 15, 24), la fine della morte e della sofferenza, la fine della storia e delle sue rivoluzioni, ormai esaurite. Soltanto l’eterno nemico, respinto nell’abisso con tutti i suoi partigiani, esisterà per confessare la sua eterna sconfitta. Il Figlio dell’uomo, liberatore del mondo, avrà riconsegnato l’impero a Dio, suo Padre e, termine supremo di tutta la creazione e di tutta la redenzione, Dio sarà tutto in tutti (ibid. 24-28).

Molto prima di san Giovanni, Isaia aveva cantato: Ho veduto il Signore seduto sopra un trono alto e sublime, le frange del suo vestito scendevano sotto di lui a riempire il tempio e i Serafini gridavano l’uno all’altro: Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti: tutta la terra è piena della tua gloria (Is. 6, 1-3).

Le frange del vestimento divino sono quaggiù gli eletti divenuti ornamento del Verbo, splendore del Padre (Ebr. 1, 3), perché, capo della nostra umanità, il Verbo l’ha sposata e la sposa è la sua gloria, come egli è la gloria di Dio (I Cor. 11, 7). Ma la sposa non ha altro ornamento che le virtù dei Santi (Apoc. 19, 8): fulgido ornamento, che con il suo completarsi segnerà la fine dei secoli. La festa di oggi è annunzio sempre più insistente delle nozze dell’eternità e ci fa di anno in anno celebrare il continuo progresso della preparazione della Sposa (Apoc. 19, 7).

Storia della festa.

Troviamo prima in Oriente tracce di una festa in onore dei Martiri e san Giovanni Crisostomo pronunciò una omelia in loro onore nel IV secolo, mentre nel secolo precedente san Gregorio Nisseno aveva celebrato delle solennità presso le loro tombe. Nel 411 il Calendario siriaco ci parla di una Commemorazione dei Confessori nel sesto giorno della settimana pasquale e nel 539 a Odessa, il 13 maggio, si fa la “memoria dei martiri di tutta la terra”.

In Occidente i Sacramentari del V e del VI secolo contengono varie messe in onore dei santi Martiri da celebrarsi senza giorno fisso. Il 13 maggio del 610, Papa Bonifacio IV dedicò il tempio pagano del Pantheon, vi fece trasportare delle reliquie e lo chiamò S. Maria ad Martyres. L’anniversario di tale dedicazione continuò ad essere festa con lo scopo di onorare in genere tutti i martiri, Gregorio III, a sua volta, nel secolo seguente, consacrò un oratorio “al Salvatore, alla sua Santa Madre, a tutti gli Apostoli, martiri, confessori e a tutti i giusti dormienti del mondo intero”.

Nell’anno 835, Gregorio IV, desiderando che la festa romana del 13 maggio fosse estesa a tutta la Chiesa, provocò un editto dell’imperatore Luigi il Buono, col quale essa veniva fissata al 1 novembre. La festa ebbe presto la sua vigilia e nel secolo XV Sisto IV la decorò di Ottava obbligatoria per tutta la Chiesa. Ora, sia la vigilia sia l’Ottava, sono soppresse.

È utile lodare i Santi.

Una esortazione per i suoi figli la Chiesa la chiede a san Bernardo, e ci parla con la sua voce.

“Dato che celebriamo con una festa solenne il ricordo di tutti i Santi, diceva ai suoi monaci l’abate di Chiaravalle, credo utile parlarvi della loro felicità comune nella quale gioiscono di un beato riposo e della futura consumazione che attendono. Certo, bisogna imitare la condotta di quelli che con religioso culto onoriamo; correre con tutto lo slancio del nostro ardore verso la felicità di quelli che proclamiamo beati, bisogna implorare il soccorso di quelli dei quali sentiamo volentieri l’elogio.

A che serve ai Santi la nostra lode? A che serve il nostro tributo di glorificazione? A che serve questa stessa solennità? Quale utile portano gli onori terrestri a coloro che il Padre celeste stesso, adempiendo la promessa del Figlio, onora? Che cosa fruttano loro i nostri omaggi? Essi non hanno alcun desiderio di tutto questo. I santi non hanno bisogno delle nostre cose e la nostra divozione non reca loro alcun vantaggio: ciò è cosa assolutamente vera.

Non si tratta di loro vantaggio, ma nostro, se noi veneriamo la loro memoria. Volete sapere come abbiamo vantaggio? Per conto mio, confesso che, ricordando loro, mi sento infiammato di un desiderio ardente, di un triplice desiderio.

Si dice comunemente: occhio non vede, cuore non duole. La mia memoria è il mio occhio spirituale e pensare ai Santi è un po’ vederli, e, ciò facendo, abbiamo già ‘una parte di noi stessi nella terra dei viventi’ (Sal. 141, 6), una parte considerevole, se la nostra affezione accompagna, come deve accompagnarlo, il nostro ricordo. È in questo modo, io dico, che ‘la nostra vita è nei cieli’ (Fil. 3, 20). Tuttavia la nostra vita non è in cielo, come vi è la loro, perché essi vi sono in persona e noi solo con il desiderio; essi vi sono con la loro presenza e noi solo con il nostro pensiero”.

Desiderare l’aiuto dei Santi.

“Perché possiamo sperare tanta beatitudine dobbiamo desiderare ardentemente l’aiuto dei Santi, perché quanto non possiamo ottenere da noi ci sia concesso per la loro intercessione.

Abbiate pietà di noi, sì, abbiate pietà di noi, voi che siete nostri amici. Voi conoscete i nostri pericoli, voi conoscete la nostra debolezza; voi sapete quanto grande è la nostra ignoranza, e quanta la destrezza dei nostri nemici; voi conoscete la violenza dei loro attacchi e la nostra fragilità. Io mi rivolgo a voi, che avete provato le nostre tentazioni, che avete vinto le stesse battaglie, che avete evitato le stesse insidie, a voi ai quali le sofferenze hanno insegnato ad avere compassione.

Io spero inoltre che gli angeli stessi non disdegneranno di visitare la loro specie, perché è scritto: ‘visitando la tua specie non peccherai’ (Giob. 5, 24). Del resto, se io conto su di essi perché noi abbiamo una sostanza spirituale e una forma razionale simile alla loro, credo di poter maggiormente confidare in coloro che hanno, come me, l’umanità e che sentono perciò una compassione particolare e più intima per le ossa delle loro ossa e la carne della loro carne”.

Confidenza nella loro intercessione.

“Non dubitiamo della loro benevola sollecitudine a nostro riguardo. Essi ci attendono fino a quando anche noi non avremo avuta la nostra ricompensa, fino al grande giorno dell’ultima festa, nella quale tutte le membra, riunite alla testa sublime, formeranno l’uomo perfetto in cui Gesù Cristo, nostro Signore, degno di lode e benedetto nei secoli, sarà lodato con la sua discendenza. Così sia” (Discorso sui Santi, passim).

Imitare coloro che si lodano.

Troviamo in san Giovanni Crisostomo la dottrina già esposta: è cosa buona lodare i Santi, ma alla lode bisogna unire l’imitazione delle loro virtù.

“Chi ammira con religioso amore i meriti dei Santi e celebra con lodi ripetute la gloria dei giusti è tenuto ad imitare la loro vita virtuosa e la loro santità. È necessario infatti che chi esalta con gioia i meriti di qualche santo abbia a cuore di essere come lui fedelmente impegnato nel servizio di Dio. O si loda e si imita, o ci si astiene anche dal lodare. Sicché, dando lode ad un altro, ci si rende degni di lode e, ammirando i meriti dei Santi, si diventa ammirabili per una vita santa. Se amiamo le anime giuste e fedeli, perché apprezziamo la loro giustizia e la loro fede, possiamo anche essere quello che sono, facendo quello che fanno”.

I modelli.

“Non ci è difficile imitare le loro azioni, se consideriamo che i primi Santi non ebbero esemplari innanzi a sé e quindi non imitarono altri, ma si fecero modello di virtù degno di essere imitato, affinché, con il profitto che noi ricaviamo imitando loro e con quello che il prossimo ricaverà, imitando noi, Gesù Cristo nella sua Chiesa sia glorificato perpetuamente dai suoi servi.

Così avvenne fin dai primi tempi del mondo. Abele, l’innocente, fu ucciso, Enoc fu rapito in cielo, perché ebbe la fortuna di piacere a Dio, Noè fu trovato giusto, Abramo fu approvato da Dio, perché riconosciuto fedele, Mosè si distinse per la mansuetudine, Giosuè per la castità, Davide per la dolcezza, Elia fu gradito al Signore, Daniele fu pio e i suoi tre compagni furono vittoriosi, gli Apostoli, discepoli di Cristo, furono designati maestri dei credenti e i Confessori, da loro istruiti combatterono da forti, mentre i martiri, consumati nella perfezione, trionfano e legioni di cristiani, armati da Dio, continuamente respingono il demonio. Per ciascuno di essi la lotta è diversa, ma le virtù sono simili e le vittorie di tutti restano gloriose”.

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