Un momento di lettura distesa, magari impegnativa, ma ristoratrice. Un’idea per trovare un’occasione di svago tra le incombenze della settimana, che quasi mai sono piacevoli per chi abbia a cuore la fede in Cristo e la salvezza delle anime. È quanto Riscossa Cristiana intende offrire ai suoi lettori ogni domenica. Per quanto è possibile, ci piacerebbe richiamare alla memoria di chi l’ha vissuta e far conoscere a chi non ne ha mai avuto neppure il sentore l’atmosfera di quelle belle domeniche in famiglia in cui si andava a Messa, ci si metteva a tavola per il pranzo della festa e poi si leggevano quegli articoli così ben scritti che i giornali ora non pubblicano quasi più. Poi, sarà nuovamente lunedì, ma, come accadeva nelle belle famiglia di una volta, lo guarderemo con occhi diversi. Buona lettura.
Nascere (e morire) “Pitard”, un capolavoro di Simenon
di Matteo Donadoni
Ne “I Pitard” Simenon fa sentire umidi. «La Senna, che scendevamo seguendo la corrente, era invisibile. Oltre la cortina di pioggia, solo altra pioggia, altra umidità e, da qualche parte, in mezzo all’umidità due o tre luci appannate che sembravano occhi gonfi di lacrime». Pare che nelle prime pagine di ogni romanzo “non-Maigret” Simenon riesca a condensare, a mo’ di cammeo, in un periodo quasi più lirico che prosaico, l’intera storia che andrà a raccontare. Questa citata è la sintesi pittorica dell’opera che lo porta alla ribalta della critica letteraria francese.
Il romanzo è, possiamo dire, un “viaggio fatale” in cui è protagonista la gente di mare, più una donna. Non è possibile non collegare la vicenda narrata alla vita personale dell’autore, ai suoi viaggi con la barca a vela “Ostrogoth”, ai suoi soggiorni a Fécamp, alle peregrinazioni nautiche verso i paesi scandinavi. Impossibile per noi non cedere alla tentazione di riflettere sul fatto che l’autore si identifichi o meno con il capitano Lannec, il placido fumatore di pipa attaccatissimo al lavoro, cui si dedica con dedizione maniacale. Si legge ancora la volontà di rivalsa antropologica dei Simenon nei confronti dei Brüll e di ciò che rappresentano: il lavoro onesto come parte di una vita onesta di chi ha un criterio di lettura della realtà equilibrato e pacifico, fino a rischiare di sembrare troppo semplicistico, contro la mentalità piccolo borghese che idolatra il lavoro dedito all’arricchimento come strumento di potere e di scalata o controllo sociale.
Con “Les Pitard” inizia un genere di gialli borderline in cui la polizia non è più protagonista (“Dieci piccoli Indiani” di Agatha Christie è del 1939), l’opera è un capolavoro di cui non so se si dovrebbe parlare ogni giorno come sosteneva Céline, ma di certo dovrebbe essere enumerato nell’antologia della letteratura europea contemporanea.
L’orizzonte in cui si svolge la trama è costituito dall’ampiezza del mare costretta dall’immensità del cielo. Comincia il viaggio, l’aria è tersa e, qua e là, un piccolo peschereccio nero solca pigramente le onde. Dopo aver consumato l’abituale colazione, costituita da un caffè e un bicchierino di calvados, il capitano Lannec è stranamente di buon umore, ma vuotata la pipa, subito la ricarica e sputa in acqua. Avverte uno strano vuoto, una sorta di angoscia o di presentimento. Si fa portare un pezzo di salame che mastica senza smettere di fumare.
La moglie Mathilde che, diversamente da lui, è ossessionata dal sospetto e incline all’isteria, ha voluto imbarcarsi per il viaggio da Rouen per Amburgo. È la prima volta e apparentemente non ce ne sarebbe ragione. Ma un biglietto scritto da uno sconosciuto mette in guardia il capitano, sarà un disastro. Che sciocco pensarlo. Secondo l’antica tradizione marinara una donna a bordo porta male, eppure, “che sciocco!”, pensa, insieme al lettore, Lannec. I problemi cominciano presto, perché Mathilde non vuole pranzare con la ciurma, ma prima degli altri, con il marito solamente, interrompendo la consuetudine della nave di pranzare tutti insieme e mettendo a disagio il capitano, che in realtà è proprietario in società con il suo secondo. «Era furibondo ma al tempo stesso sollevato. Amava sua moglie. Non voleva certo farla soffrire, ma vedersela lì, in mezzo al quadrato, con le sue pose da Pitard!… da Pitard sì! Perché i Pitard avevano un modo tutto loro di sedersi, di prendere la senape, di tagliare la carne di guardare dritto davanti a sé con aria assente!». Non è vero che quando ci si sposa, a volte si finisce per sposare tutta la famiglia, lo si fa sempre. Così finisce che la Pitard si chiude in cabina, dando il via ad un piano inclinato tragicomico che finirà in tragedia.
Il gradino zero della climax è: «Non soffri il mal di mare?» – «Ti dispiace?». Tutto qui. Una dinamica tipicamente casalinga, la banale crisi di coppia che, di solito, finisce in niente, ma, se portata alle estreme conseguenze, magari con l’aggravante ambientale di essere costretti in una piccola imbarcazione, diventa esplosiva. Una delle capacità più straordinarie di Simenon è proprio il saper giocare in modo magistrale sul non-detto, e sugli equivoci psicologici che da ciò vengono innescati, diventando particolarmente devastanti all’interno di un rapporto familiare.
Basterebbe chiarire, parlare. Ma i borghesi, si sa, sono orgogliosi: «nonostante un lieve pallore, Mathilde mangiava», eppure il mare è tanto grosso che si devono applicare le tavolette antirollio al tavolo per evitare che i piatti finiscano a terra. «Non hai nessun disturbo?» -«Ti ho già detto di no!». Ecco scendere un altro gradino. Non paga della tensione conflittuale, Mathilde vuol vincere il tiro alla corda psicologico. «Pensi che Marcel non ne approfitti?». Lascia intendere (come minimo) l’adulterio sistematico. Ecco che scala diventa uno scivolo ad acqua verso l’abisso. L’uomo che Lannec odiava di più, dopo tutte le zie e le cugine Pitard, «il cui solo nome bastava a fargli ribollire il sangue nelle vene», era l’allampanato violinista che le faceva la corte a Caen. Fatto sta che Lannec finisce per «ruotare il timone un po’ a sinistra per portare la nave su una rotta che accentuasse il rollìo. Così forse Mathilde avrebbe finito per sentirsi male!». Pericoloso peccato veniale.
L’aumento della tensione generale sembra condizionare persino il barometro. «C’era acqua ovunque: acqua sul ponte, sulle paratie, sui volti, sulle cerate, acqua perfino nel tabacco e dentro la pipa di Lannec, che si spegneva di continuo». Le estreme conseguenze a volte vengono portate dal vento di grecale, non fosse che nel Mare del Nord, con ogni probabilità non si chiama così. Non tutto è perduto, tranne l’onore. Lannec si rivolge all’allievo ufficiale: «Hai davanti a te un cornuto. Non sarò né il primo né l’ultimo!». Poi butta il bicchiere di calvados vuoto nel mare, è allora che vede il fantasma. Il nostromo, travestito da fantasma, ruba un prosciutto dalla cambusa, rimproverato poi dal capitano, sempre con il lenzuolo in testa lo rimette a posto. Torna il tema della sciagura, peraltro orchestrato – si scoprirà – dallo stesso nostromo, a sovrapporsi a quello della gelosia, ma è troppo tardi. La nave attracca al porto di Amburgo.
Uomo semplice, per quanto non dozzinale, ogni volta che fa scalo ad Amburgo il capitano mangia due salsicce e un’insalata di patate. Sempre allo stesso bar. Sbrigate le carte portuali di routine, cerca di convincere la moglie a sbarcare per tornarsene a casa via terra. Il perdono potrebbe essere tutto sommato la miglior vendetta, ma i coniugi Lannec non lo sanno.
Di conseguenza, il capitano accetta uno scomodissimo carico per l’Islanda, perché la moglie non ne vuole sapere di scendere a terra e di tornarsene a casa. La moglie non vuole saperne di scendere a terra e di tornarsene a casa, perché il marito ha accettato il carico per l’Islanda. Sospetta che da lì voglia proseguire per l’America, vendersi la nave e sparire. Lannec, da parte sua, non si sogna nemmeno di vendere la sua amata imbarcazione, preferisce di gran lunga prendere subito il mare, consapevole che il tempo sarà brutto: «Avrebbe potuto indicare i punti nei quali, in quella stagione, le onde si ergevano, come muraglie, fino a otto o dieci metri d’altezza». Anzi, «Avrebbe preferito che sua moglie lo tradisse con dieci, venti, cinquanta uomini! Avrebbe preferito essere il capitano più cornuto della marina mercantile!». Quello che lo mandava in bestia, facendogli perdere il lume della ragione, era di non capire. Lannec non capisce perché la moglie si ostini in una cosa tanto sciocca come chiudersi senza far nulla altro che non fosse soffrire il mal di mare, per settimane, nella cabina di un cargo. «Nessuno fa niente senza un motivo, nemmeno le donne», riflette il marinaio, forse tacendo a se stesso la convinzione che nessuno fa niente senza un motivo, “soprattutto le donne”. Di certo non è piacevole restare chiusi in una cabina di cargo per intere settimane.
Vendetta della vendetta, il capitano e l’allievo ufficiale portano a bordo due ragazze tedesche sbronze con le quali divertirsi. La moglie, in cabina, sente tutto ciò che il lettore legge e anche di più, per quanto non sia poi niente di che. Si salpa.
Digressione storica. «Tre secoli prima di Cristo un navigatore Foceo, il primo a giungere da quelle parti aveva scritto: “Non c’è né mare né aria laggiù, ma un amalgama, quasi un polmone marino, nel quale mare e aria restano sospesi; il polmone marino lega tutto insieme”». Simenon si riferisce probabilmente all’avventuroso viaggio di Pitea di Marsiglia (Massalia è colonia focea) citando un passo di Strabone: «Pitea parla anche di acque intorno a Thule e di quei posti dove la terra, propriamente parlando, non esiste più, e neppure il mare o l’aria, ma un miscuglio di questi elementi, come un “polmone marino”, nel quale si dice che la terra e l’acqua e tutte le cose sono in sospensione come se questo qualcosa fosse un collegamento tra tutti questi elementi, sul quale fosse precluso il cammino o la navigazione» (Strabone, II 2, 1). Dimostra così una notevole conoscenza della storia greca, nonché nautica: il fatto è famoso, ma fra gli addetti ai lavori. In qualche modo la prova storiografica sembra aggravare ulteriormente il peso degli indumenti bagnati. La sensazione viene ulteriormente resa con un notevole risultato poetico: «Benché non piovesse, rivoli d’acqua serpeggiavano lungo il fumaiolo che si stagliava, nero, in un cielo senza colore. Il ponte, sempre bagnato, prendeva sin dal mattino i riflessi del crepuscolo». Le paratie sembrano sudare umori, sia dentro che fuori.
«La nave era immersa in un universo freddo e lattiginoso in fondo al quale si intravedeva di tanto in tanto la sagoma nera di un peschereccio» per la seconda volta, questa immagine del peschereccio nero getta un’ombra lugubre su quanto accadrà, andando ad intersecare bruscamente un racconto fin’ora familiarmente intimo, a tratti comico. Condannando la storia a un finale tragico.
«Allora, fra i rimpianti e i rimorsi, pensava anche ai Pitard. Che cosa aveva in comune lui con quella famiglia? Era entrato una sera a Chandivert e aveva sorriso a una ragazza che mangiava pasticcini ascoltando la musica e quasi senza rendersene conto si era ritrovato con una suocera, un cognato, una cognata e un nipote malaticcio, al quale cercavano invano di raddrizzare una gamba imprigionandola in un aggeggio di cuoio e acciaio!». La nave corre verso la calotta polare, la mente del capitano corre verso la soluzione dell’enigma. La vecchia Pitard l’aveva spinto a sottoporsi a una visita medica e pagare cinquemila franchi di premio per un’assicurazione sulla vita. E per giunta a firmare una carta preparata da un notaio, così, in caso di decesso, tutti i suoi beni sarebbero andati alla famiglia della moglie. Tutti insieme fanno vela verso il disastro.
Immerso in una sorta di manicheismo visivo naturalistico – «L’aria era così ferma e di un grigio così denso, che era possibile distinguere i granelli di luce da quelli neri e veniva voglia di farli scivolare alla rinfusa, come sabbia, nell’incavo della mano» – il raziocinio sul filo della pazzia del capitano compone i nessi causa effetto, così i tasselli vanno poco alla volta a posto.
Durante tutta la durata del viaggio Lannec si arrovella con un problema (prima il biglietto, poi la moglie) che, pur in ambiti diversi, ha per fondamento il sospetto. Continua ad assillarlo in modo incessante, complice l’ambiente di costrizione e contiguità forzata definito dalla nave, fino a spingerlo a sospettare del proprio equipaggio. Sospetta di tutti i suoi uomini in modo tanto intenso da arrivare, congetturando, a conficcare i denti nel cannello della pipa.
Il nostromo ha la moglie che «si fa pagare per leggere il futuro, e lui non sa neanche se crederci o no… si traveste da fantasma per rubare un prosciutto, ma ad Amburgo compra delle formule magiche da recitare applicando la pomata sulle scottature…». La moglie del nostromo predice una catastrofe alla vecchia Pitard se avesse comprato una nave, ma lei, con mentalità spiccatamente farisaica, conclude che in realtà sta garantendo solamente il prestito necessario per l’acquisto, e l’affare si fa.
Il biglietto minatorio, trovato dal capitano all’inizio del libro, è stato scritto dal nostromo, che è un tonto, ma lo vuole lo stesso mettere in guardia, perché con i fondi di caffè “non si sa mai…”.
… a Caen, in Rue Saint-Pierre, nel retrobottega del negozio di alimentari, quella stessa vecchia altera di sua suocera, che temeva di perdere la faccia di fronte all’opinione pubblica, aveva bisogno, furtiva, di farsi leggere le carte. Carte d’altro canto non troppo diverse dalla laurea del laureato Oscar Pitard, che aveva contraddetto il semplice pescatore Lannec, sostenendo che l’Olanda non è un paese protestante con l’esercizio della banale fallacia “C’è mai stato?” (come se fosse necessario andarci per saperlo, quanto mangiare il pesce per sapere se è avariato), ottenendo in sovrappiù il plauso salottiero della pletora delle donne Pitard.
La conclusione è che la suocera tutela il figlio, ma è disposta a lasciar partire la figlia, in un certo senso sacrificandola. «Esistono verità matematiche. Quando calcolava l’altezza di una stella, per esempio, Lannec era sicuro di non sbagliare. Eppure, questa volta era ancora più sicuro!». L’assicurazione avrebbe oltretutto tagliato fuori l’anziana madre del capitano «una vecchia col berretto bretone, che abitava a Paimpol, in una catapecchia, e riceveva dal figlio 600 franchi al mese» (con grande stizza delle Pitard a Caen).
«Porco mondo!» è tutto ciò che rimane da dire in questi casi, lo sappiamo, e con questa imprecazione lasciamo anche il buon protagonista.
Dunque, Mathilde crede che il marito voglia vendere la nave in America per fuggire con i soldi, mentre il marito ritiene che governare una nave di proprietà sia la più grande soddisfazione della sua vita. Ma cosa ne sa una Pitard del piacere di solcare il vasto pelago? Il vecchio Pitard ha certamente fatto i soldi vendendo scarpe, ma il mondo dei Pitard finisce sempre con l’orizzonte di una via di Caen. «Era una Pitard ed era fatta per vivere come i Pitard, in un appartamento a Caen, sopra un negozio di calzature!».
La “Fulmine del Cielo”, così si chiama la nave, nel frattempo, ha solo quattro giorni per raggiungere Reykjavik. Dopodiché i soci armatori dovranno pagare una penale al committente per ogni giorno di ritardo, ma quando ricevono la richiesta di aiuto da parte di un natante alla deriva, la “Françoise”, vanno ugualmente in soccorso, perché Jallu, il comandante, uomo più alto di Lannec di tutta una testa e con dei baffi color luppolo portati alla Vercingetorige, è un suo vecchio amico a cui aveva fatto da secondo anni addietro, ma «allora erano più giovani, non avevano né una nave né una moglie!». Ora Jallu ha 5 o 6 figli, diventa il terzo problema dell’ansioso cronico al comando. Con in più la forza del dovere morale che si impone nell’anima di un buon uomo.
In una luce fioca, nel fragore delle onde in grado di coprire qualsiasi suono, l’equipaggio tenta di tutto per trarre in salvo i superstiti. A un certo punto non si riesce più a capire se l’acqua arriva da sopra o da sotto, dal cielo o dal mare. Mathilde perde il senno. Si getta in mare. La ripescano. Il veniale è diventato mortale.
All’arrivo a Reykjavik si sentono le campane – è un funerale del ritorno alla realtà – in «un’alba così cruda e così spenta che avevano l’impressione di guardare sempre il mondo attraverso un vetro di cattiva qualità».
Simenon ne “I Pitard” fa sentire umidi, fino a un certo punto. «La terra nera sulle banchine era rivestita di una sottile pellicola di ghiaccio che scricchiolava sotto i piedi, e in città le pietre del selciato, di un candore aggressivo, erano sonore come se fossero state cave», straordinaria immagine che arriva dritta all’anima del lettore, asciugandone l’atmosfera, in un freddo secco e forte come l’eccesso di brennìvin, il liquore islandese, che aiuti a sopportare il senso di colpa: è l’aggressione della lucida realtà e il dovere di continuare a vivere, nonostante tutto.
Lannec, forse redento dall’aver salvato molte vite in cambio della più cara, per la quale nulla ha potuto, nell’incedere spiazza: «Sai che cosa mi ha fatto più impressione? I suoi seni esposti allo sguardo di tutti». Quei seni morbidi, fradici e bianchissimi di quel candore che hanno solo le donne pudiche e la morte, maltrattati dalle mani ruvide e luride della ciurma. Sembra di avvertire il senso di ruvido dello sfregare di secche ragadi di dita marinare, per quanto totalmente prive di alcun tipo di malizia.
Ma la grande scoperta psicologica, che accompagnerà il capitano nella tomba, esposta con la franchezza di un uomo di mare che non ha ormai altro da chiedere alla vita, in una sorta di strazio sereno e ormai accettato, è l’ammissione che viene affidata al compagno di mare, Jallu: «Forse lei era migliore di me, Jallu…»
1 commento su “La Domenica di Riscossa Cristiana (16)”
Ottima esortazione di don Elia ai suoi confratelli consacrati (in particolare a Vescovi), punto centrale di un più corposo articolo oggi (20 novembre 2018) apparso in rete :
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2018/11/pastori-dove-siete-don-elia.html
“Pastori della Chiesa, vi esorto nel nome di Gesù Cristo: se avete ancora un barlume di fede, pensate al Giudizio (che sarà per voi molto più severo che per le vostre pecorelle) e riscuotetevi dal vostro deplorevole torpore; se non l’avete più, dimettetevi e abbandonate il posto che occupate in modo fraudolento, prima che l’ira divina piombi su di voi e di voi faccia strame. Basta con queste ignobili farse! Ricominciate a fare i vescovi secondo il mandato di Cristo testimoniato dalla Scrittura e dalla Tradizione: proclamate e difendete la verità, confutate e bandite l’errore, istruite e governate clero e fedeli. Date accesso, nei vostri seminari, esclusivamente a giovani uomini dalla moralità cristallina, espelletene i professori eretici, sanzionate una buona volta i preti sodomiti, anziché continuare a coprirli profondendovi…