La nostra è un’epoca di falsa democrazia, astratte libertà e concrete dittature. Una di queste, la più sorprendente, è la supremazia dell’odiernità, una vera e propria dittatura del tempo presente. Il pensiero unico materialista conosce e idolatra esclusivamente ciò che appartiene all’oggi, ed è quindi moderno. In altre occasioni, abbiamo rilevato come il vocabolo modernità altro non significhi che “al modo odierno”. È un termine utilizzato da sempre con riferimento al presente, ma senza l’enfatizzazione, la carica positiva e idolatrica da cui è circondato da ormai mezzo secolo. La superiorità programmatica di oggi su ieri, postulata e sottintesa come evidente è infatti uno dei mille frutti avvelenati della stagione tossica che chiamiamo Sessantotto.
Da allora, tutto si ridusse all’attualità, all’attimo, trascinando ogni cultura, credenza, costume, storia davanti al tribunale grottesco dell’Eterno Presente. Strano tribunale davvero, privo di una giurisdizionale spaziale o territoriale, ma esclusivamente temporale con scadenza prestabilita alla fine del giorno corrente. L’indomani trascina inevitabilmente il presente nel passato, destituendolo d’importanza; un incantesimo che si scioglie allo scoccare della mezzanotte, come quello di Cenerentola. Una dittatura che rinasce continuamente al nuovo giorno, una Fenice che si rigenera dalle proprie ceneri: post fata resurgo, giacché è moderno ciò che vale oggi e il sole sorge ogni mattina. La vittima più evidente è il passato, gravato dal pregiudizio negativo, tacciato di oscurità e arretratezza, ma il presente, nonostante l’altro mito vigente, quello del progresso, distrugge anche il futuro.
Possiamo constatare ogni giorno il disinteresse per ogni grande progetto, per idee, azioni, realizzazioni che scavalchino il tempo. Vale per l’architettura e l’arte, ma anche per l’economia, teatro unico della rappresentazione moderna. Non solo non si costruisce nulla per i posteri – il Colosseo e la stessa Tour Eiffel non hanno i loro omologhi odierni, ma non si ragiona più a lungo termine. Le politiche non oltrepassano l’oggi, la finanza e il ceo capitalism lavorano per il profitto immediato degli azionisti. Per una schiacciante maggioranza il mondo di ieri e dell’altro ieri è un’imbarazzante infanzia dell’umanità, la memoria si impegna esclusivamente a breve termine.
Capita a chi ha superato la cinquantina di sentirsi chiedere come andassero le cose prima dell’avvento del telefono cellulare. La nostra risposta, invariabilmente, è che Omero, Michelangelo e Einstein diventarono comunque ciò che furono. Oggi non sarebbe neppure immaginabile la querelle des anciens et des modernes che impegnò i migliori ingegni tra il Sei e il Settecento per manifesta inferiorità degli antichi. L’unico futuro ammesso è quello ingabbiato, presentificato dalla previsione. Un tratto peculiare della modernità è la sua ansia di anticipare, prevedere, razionalizzare e neutralizzare il futuro attraverso il calcolo, le probabilità, la statistica e adesso i modelli matematici algoritmici. Dalla meteorologia alla demografia, alla produzione sino alla crescita, altro mito equivoco del presente, nulla sfugge agli schemi destinati a togliere all’avvenire la sua incertezza, detronizzarlo a favore dell’oggi, o ridurlo a una sorta di presente gonfiato, realtà aumentata o corda tesa all’infinito.
Incredibile è il destino toccato all’arte. Nelle grandi università anglosassoni, incubatrici di quanto è avvenuto nell’ultimo mezzo secolo, si è arrivati a imprimere bollini rossi sulle opere di Shakespeare, colpevoli, secondo il criterio del politicamente corretto, alternativamente di sessismo, razzismo e di non sappiamo che altro. Il tribunale supremo ha pronunciato la sua sentenza, pure Dante è sospetto, la stessa Bibbia rischia grosso. Nel futuro prossimo, i melomani dovranno rassegnarsi ad un Rigoletto censurato di almeno due arie, Cortigiani vil razza dannata (discriminazione e uso di parola proibita, razza) e La donna è mobile, poiché, “qual piuma al vento, muta d’accento e di pensier” è sessismo misogino della peggiore specie!
L’unica consolazione è la natura cangiante del tribunale del presente, domani potrebbe a sua volta mutare d’accento e di pensiero. Preoccupa il moralismo d’accatto che destituisce di valore ogni cosa in nome del criterio di attualità, senza neppure domandarsi se i suoi giudizi non verranno revocati in dubbio o derisi dalla giuria successiva. Oggi vigono i totem della tolleranza, dell’identico, dell’Unico. Domani, chissà. Ma l’imperativo categorico, svuotato della moralità di Kant, è quello di un vorace Carpe Diem nel nome di una giovinezza mitizzata – il Rinascimento di Lorenzo il Magnifico, quant’è bella giovinezza, senza più il dubbio (del doman non v’è certezza) – giacché il futuro è screditato quasi quanto il passato, nonostante il mito del progresso.
Domina l’idea di consumo: bruciare in fretta le esperienze, enfatizzare le emozioni, regine dell’Homo Consumens. Nel linguaggio dell’automobilismo sportivo, una vita in formula Indianapolis, giri infiniti alla massima velocità in un circuito simile alla gabbia del criceto.
Ovviamente, perdono importanza tutte le discipline non centrate sul presente, a partire dalla storia, ma anche la geografia, la metafisica, la stessa politica se tenta di interpretare ed indirizzare il mondo secondo idee e progetti. Va forte la sociologia, per la sua natura previsionale, e il sapere scientifico, le scienze della natura di Dilthey per il loro carattere cumulabile. Siamo diventati giganti per il passato lavoro di nani. Si diffonde l’idea che l’uomo sia una tabula rasa da riempire a piacere. L’unico criterio diventa l’attualità, alterata dalle lenti deformate dei valori correnti, tra cui eccelle la rimozione, che nega indirettamente il futuro. Comprendere l’oggi per viverci da protagonisti, da vincenti, diventa quindi basilare.
Tutta la conoscenza deve essere condensata in un sapere-Bignami, sempre più rapido, superficiale e strumentale al fare che ha sostituito l’agire. Di qui la diffusa ignoranza di massa, alimentata da uno specialismo sempre più angusto, la conoscenza settoriale con il paraocchi che fece scrivere a George Bernard Shaw che specialista è colui che sa sempre di più su sempre di meno, fino a sapere tutto di niente. La dittatura del presente è insieme arrogante, giacché giudica con il criterio dell’oggi in nome di “ciò che serve” ed ignorante in quanto scarta per principio quanto non si accorda con se stessa. In questo senso è infantile, non vuole crescere, Peter Pan è il suo eroe eponimo, irresponsabile come ogni bambino. Dell’infanzia ha anche il senso di onnipotenza e l’egocentrismo.
L’idolatria del nuovo ricorda il rapido disinteresse del bimbo per il giocattolo con cui si trastullava fino a un attimo prima dell’arrivo di un nuovo balocco. Nuovo è sinonimo di migliore esattamente come oggi è superiore a ieri. Il punto è che il sistema basato sul consumo, autore e beneficiario della rivoluzione presentista, ha necessità di nascondere ciò che è più ovvio nello schema lineare, cioè che domani sarà migliore di oggi. Ci si deve fermare sulla soglia, per non intralciare un cammino che, inevitabilmente, trasformerà in rifiuto ciò che non corrisponde al presente.
Sono curiosi l’entusiasmo e l’attesa spasmodica che circonda la messa sul mercato di nuovi apparati tecnologici dotati di una funzionalità in più rispetto al modello precedente, le code chilometriche, la gioia estenuata di chi ha conquistato a caro prezzo e con fatica fisica l’oggetto del desiderio. Stranamente, pochissimi si chiedono come mai avessero atteso con altrettanto fremito il modello precedente, così obsoleto, poco efficace, giudicato ora addirittura brutto. Ma nella dittatura del presente una delle leggi fondamentali è che ci piace esclusivamente ciò che ci viene fatto piacere (oggi).
(1 – continua)
1 commento su “La dittatura del presente (prima parte) – di Roberto Pecchioli”
Plaudo alla decisione di mandarci il suo Pensiero a puntate. Il sottoscritto non legge dal monitor, ma stampo l’articolo per leggerlo quando posso e, riplaudo al fatto di non avere una cosa troppo lunga e al piacere di aspettarn e il seguito. Anyway tante grazie per la sua costante collaborazione con Riscossa Cristiana. Bye IUGEEN