di P.Giovanni Cavalcoli,OP
Può stupire alquanto o forse anche irritare un accostamento della dialettica, metodo eminentemente razionale, col diavolo, soprattutto per chi considera il diavolo come residuo di una religiosità arcaica o come mitologica rappresentazione del male, soprattutto nella visione razionalista della dialettica, tipica di quella hegeliana o quella marxista.
Eppure, se badiamo all’etimologia dei rispettivi termini, dialettica e diabolica non sono poi così distanti fra loro. Esiste – questa è la mia tesi – una dialettica “diabolica”, considerando il diavolo non secondo certe raffigurazioni tradizionali più o meno fantasiose o grottesche, ma nel senso rigoroso e stretto della dogmatica cattolica, col suo necessario riferimento alla metafisica, cioè alla dinamica dell’essere e del pensiero. Mi spiego.
Infatti, stando alla suddetta etimologia, c’è da dire anzitutto che in entrambi i termini entra la preposizione greca “dià”, la quale esprime l’idea di differenza, separazione, opposizione, ma anche attraversamento, ossia collegamento tra due termini. Ecco allora rispettivamente la parola greca diaforà, che è la differenza e diàlogos, che comporta collegamento tra i due dialoganti.
Ecco allora dialettica da dià-lego e diavolo da dià-ballo. Lego: raccolgo, dico, parlo, da logos: parola, ragione. Essa è vicina a dià-noia, il pensiero. Ballo: lancio, getto, pongo, metto. Dialettica dice dunque opera della ragione o del pensiero per la quale essa oppone, contrappone e separa: il sì e il no, affermazione-negazione.
Diabolica dice lancio o pongo l’uno contro l’altro, metto discordia, opposizione, contrasto: ecco il diavolo, il divisore, il seminatore di guerre e discordie. Nell’uno come nell’altro caso la mente va facilmente all’idea della contraddizione, sia nel senso del logicamente contradditorio, sia nel senso nel contrasto, della lotta, del conflitto o dell’opposizione reali ed ontologici.
Il filosofo che avvicina sin quasi all’identificazione la dialettica, legata al pensiero, alla diabolica, legata all’essere, è Hegel, con la sua famosa concezione dell’essere come pensiero, in base al suo ben noto principio “ciò che è reale è razionale, ciò che è razionale, è reale”; ma pensiero-essere in divenire per opposizioni, anzi per contraddizioni. Per cui in Hegel sia il reale che il pensiero sono “dialettici”, ma sono anche “diabolici”. La sintesi dialettica in Hegel non esclude ma include la divisione e l’opposizione, anzi la contraddizione.
Inoltre, come è noto, il pensiero hegeliano è un pensiero monistico. L’ “Intero”, la “totalità” hegeliana è Dio stesso, l’Assoluto, che, se vogliamo, è l’ipsum Esse di S.Tommaso e il Pensiero sussistente di Aristotele, con la differenza che mentre l’ipsum esse e il pensiero sussistente aristotelico-tomisti sono distinti dal mondo, in Hegel sono identici con esso, c’è un “passaggio” , un divenire dall’uno all’altro.
Per il monismo hegeliano solo Dio esiste, e tutto il mondo è virtualmente contenuto in Dio identico con Dio: il panteismo. Il mondo è Dio e Dio è il mondo. Ed è panteismo idealista per l’identificazione dell’essere col pensiero, non solo in Dio, ma in tutto, anche nell’uomo, in quanto tutto è Dio. E un Dio “dialettico”, giacchè l’essere-pensiero è dialettico, Dio che diviene dialetticamente per contraddizione. Quindi la contraddizione è in Dio: il vero e il falso, il bene e il male. Dio causa della santità come del peccato, della vita come della morte.
Il Dio di Hegel potrebbe essere un’estremizzazione razionalista del Dio di Lutero, che appare sub contraria specie: Dio appare come diavolo e il diavolo come Dio. Dio appare come oppressore, falso e cattivo, il diavolo come liberatore, sincero e buono. Secondo Hegel Adamo ed Eva hanno fatto bene a ribellarsi a Dio ascoltando il demonio, perché così sono diventati “liberi”, “conoscendo il bene e il male”, mentre prima erano come degli ingenui e stupidi “animali”. Ribellandosi al Dio trascendente, hanno immanentizzato Dio in se stessi e sono diventati Dio.
Lutero non ha torto nel credere che Dio in certe circostanze sembri cattivo – per esempio il Padre che sacrifica il Figlio o nel momento della sventura e della sofferenza o quando Egli è “adirato” con noi e ci incolpa dei nostri peccati – e così pure il diavolo sembri buono, nel momento della tentazione o della seduzione. Ma essere non è sembrare. Lutero indubbiamente è un realista; ma la sua tendenza soggettivista, lo porta inevitabilmente a confondere l’apparenza soggettiva con la realtà oggettiva: Dio non solo sembra il diavolo, ma è il diavolo. Il male è anche in Dio. Se compio il male, è perché Dio mi spinge a farlo.
Da qui, attraverso Böhme, il mistico protestante del ‘600, che pone già il male in Dio, sorgerà il Dio hegeliano, Dio “dialettico” e “diabolico”, nel quale il vero è unito e al contempo opposto al falso e il bene al male, la vita alla morte, l’essere al divenire. Da qui il Dio che “diviene” di certe cristologie protestanti, oggi infiltratesi anche nel cattolicesimo: il Dio “debole”, “kenotico” (che si annulla), che “soffre”e “nega se stesso”, che “diviene” e “muta”.
Così nella cristologia hegeliana non c’è la distinzione fra natura divina e natura umana, ma col pretesto dell’unità della persona di Cristo, si ha anche l’“unità delle due nature”, dove gli attributi dell’una si fondono con quelli dell’altra o “passano” nell’altra. Da qui sorge l’umanesimo “cristiano” panteista-evoluzionista, nascostamente ateo, (l’uomo assorbito da Dio – l’uomo che diventa Dio) e l’umanesimo apertamente ateo di Marx (Dio assorbito nell’uomo – l’uomo che si sostituisce a Dio).
Noi cattolici non possiamo accettare questa cristologia. Dio è onnipotente, infinitamente sapiente e buono, immutabile e impassibile. In Cristo solo l’uomo muta, è debole, diviene, soffre e muore. L’unità della persona di Cristo è l’unità della sua persona divina, che non esclude affatto la distinzione delle due nature, divina ed umana, ma la comporta, e sarebbe assurdo pensare diversamente.
Quanto all’autocontraddizione o autonegazione in Dio, è un’orribile assurdità che non nega solo Dio ma l’ente in quanto tale, contravvenendo al principio primo del pensiero che è il principio di non contraddizione. Dio è semplicissimo, immortale e perfettamente identico a se stesso, in Lui non c’è nessuna “dialettica”, tanto meno la dialettica hegeliana della contraddizione. Dio muove e muta tutto ma non è Egli stesso mutevole.
E quanto a porre in Dio il falso, il male e la morte, il nulla, è una bestemmia. Cristo sulla croce non si mette in opposizione al Padre, come malamente intendono gli hegeliani, e con loro certi cristologi cattolici modernisti, riferendosi alle famose parole: “Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?” e dimenticando tutte le altre parole che Gesù dice sulla croce, le quali manifestano con chiarezza la sua unione col Padre. Questi sono i risultati tremendi del panteismo hegeliano. Il falso, il male, la morte e il non-essere sono nel mondo, non in Dio.
Ma è logico che se si pone il mondo identico a Dio, il falso, il male e la morte entrano in Dio. Ma allora chi ci salva più dal male, se Dio stesso è cattivo? Chi ci insegna la verità se Egli stesso è falso, inaffidabile ed infedele? Chi ci rende stabili se Egli stesso muta? Chi ci rende felici se Egli stesso soffre? Chi ci dà la forza se Egli stesso è debole? Se Dio muore, chi ci dà la vita? Se Dio è “non-Dio”, non è come fare professione di ateismo? Se Dio esiste e non esiste, come fa a dare fondamento all’essere? Dove finisce il Dio creatore? E Dio non c’è, dobbiamo cavarcela da soli? Ma con quali risultati? Come vanno a finire le società totalitarie ed atee?
Noi cattolici siamo chiamati ad respingere con estrema fermezza queste bestemmie e queste assurdità assolutamente devastanti ed impensabili. Il Dio che “soffre” o che “muore”, il Dio debole lo si può intendere solo nel senso della comunicazione o scambio degli idiomi o dei predicati (communicatio idiomatum), certo usati già dai Padri, ma non assolutamente riferiti alla natura divina, giacchè un dio così non sarebbe neanche Dio, ed è assolutamente falso che un dio del genere sarebbe il Dio cristiano insegnato dalla Bibbia. Questo dio è insegnato dal diavolo.
Oggi pertanto il Concilio di Calcedonia con la sua famosa immortale formula “una persona in due nature”, ben lungi dall’essere “superato”, come credono i modernisti, è più che mai attuale e da riproporsi con forza e convinzione, se vogliamo essere veramente cattolici ed aperti alla salvezza che ci ha donato il Figlio di Dio.
Occorre distinguere la dialettica hegeliana da quella platonico-aristotelica, ripresa da S.Tommaso d’Aquino. Si tratta sempre di dialettica intesa come opposizione tra affermazione e negazione, essere e non-essere; ma in questo secondo caso essa non ha la pretesa di essere scienza, ma si pone solo sul piano dell’opinione e della discussione, ed è precisamente la capacità di argomentare in base a ragioni probabili in vista del raggiungimento della verità o di comuni accordi.
Essa pertanto non è “diabolica” ma dialogica, ossia non istituzionalizza né divinizza la contraddizione, ma, per mezzo del confronto delle idee, la supera nel raggiungimento di una prospettiva coerente nel campo del pensiero e di una pacifica ed armoniosa coesistenza umana. Questa dialettica, quindi, si presenta come necessario e normale funzionamento dello spirito ed è strumento indispensabile della ricerca umana collettiva della giustizia e della verità, per cui si attua in modo elettivo sia come dialettica socio-politica (dell’esistenza) che come dialettica culturale-spirituale (del pensiero).
Questo tipo di dialettica, pienamente conforme alla cristologia cattolica, è raccomandabile per una vita umana libera, sanamente pluralistica e moralmente costruttiva, mentre l’altra, al di là del fascino gnostico e delle apparenze mirabolanti, conduce, come dimostrano la storia e la sana ragione, alle più amare disillusioni ed alle più gravi tragedie.