Durante una sessione parlamentare delle Cortes spagnole, il ministro dell’Uguaglianza, esponente dell’ultrasinistra, ha così risposto alla domanda di una deputata di opposizione sull’utilità del suo ministero: serve perché tutti sappiano che è fuori della legge chi pensa, come lei, che la violenza non ha genere. Rimandiamo la polemica sul merito – la violenza come tratto strutturale dell’animo maschile – ed evitiamo altresì di commentare il chiaro tratto di intolleranza totalitaria delle frange peggiori del progressismo postmoderno. Quello che ci preme sottolineare è la deriva evidente delle sedicenti democrazie verso il loro contrario, ossia regimi in cui non solo esistono e vengono sanzionate penalmente idee o asserzioni il cui elenco si allunga quotidianamente, ma addirittura in cui il divieto si allarga ai pensieri e ai sentimenti.
Avanza la pseudo democrazia dei pensieri illeciti. Superfluo ricordare che l’impianto ideologico costituzionale dei regimi liberali – le orgogliose “società aperte” teorizzate da Karl Popper – vieta tali derive, riconoscendo la piena libertà di pensiero e di espressione. In realtà le cose non stanno proprio così, poiché lo stesso Popper teorizzò che la “società aperta” doveva rimanere ben chiusa ai suoi avversari, esprimendo la stravagante concezione che la libertà liberale vale soltanto per chi è d’accordo con essa. Le costituzioni formali, comunque, valgono sono sempre meno, documenti da brandire a comando per affermarne la grandezza o intangibilità (“la costituzione più bella del mondo”), ma da riporre nel cassetto subito dopo come carta straccia dinanzi alle “magnifiche sorte e progressive” di una società libertaria nella forma, totalitaria e proibizionista nei fatti.
In Spagna, dichiarano illegale il pensiero che nega la relazione diretta tra la violenza – pensata o esercitata – e il sesso, ribattezzato genere. Quello maschile, ovviamente. In Italia, si definisce delitto di odio il pensiero dissidente rispetto ad alcuni totem contemporanei: il giudizio sull’omosessualità, l’immigrazione, l’identità etnica e nazionale.
La nostra tesi è che, al di là dei banditori ideologici e politici di tali derive, la democrazia dei pensieri illeciti sia l’esito naturale dei grandi sommovimenti – antropologici, etici, di assetto del potere, di produzione – della postmodernità. I piani alti non hanno più bisogno di un’umanità operante e pensante. La trasformazione del mondo in pochi decenni è ancora più profonda di quanto appaia. Pensiamo alla teoria del valore introdotta da Karl Marx: il mondo di ieri si basava sulla formula M-D-M: merce-denaro-merce. Trasformazione di merce in denaro e ritrasformazione di denaro in merce, vendere per comprare. Accanto a questa forma, ne troviamo una seconda, la forma D-M-D: trasformazione di denaro in merce e ritrasformazione di merce in denaro, comprare per vendere. In entrambe, era fondamentale la presenza di grandi masse umane, lavoratori, produttori, consumatori.
Con la rivoluzione tecnologica, l’avvento di una civiltà digitale, il ciclo economico è divenuto immateriale. Il denaro, controllato dalle oligarchie finanziarie, genera e riproduce se stesso. Avanza inoltre la forma D-I-D-, denaro-informazione- denaro. Chi possiede le tecnologie che generano, contengono e ingegnerizzano informazione – la rivoluzione digitale – non ha più bisogno di gran parte della popolazione. Tanto meno, ha interesse che i superstiti pensino criticamente o affermino principi di libertà. Marco Della Luna parlò con preveggenza di “oligarchie per popoli superflui”. Il gregge umano, da governare con metodi zoologici, deve essere a taglia unica. Gli basta possedere un sapere strumentale, ridotto alle funzioni a cui è destinato, compiere gli stessi gesti, avere i medesimi gusti e correre nella direzione indicata dagli iperpadroni, detentori delle informazioni, ovvero dei software, delle tecnologie, degli algoritmi che presiedono a un mondo sempre più immateriale.
È vano, quindi, battersi unicamente contro gli effetti dei loro movimenti tellurici, le cui ricadute politiche e “societarie” sono appaltate al marxismo culturale deprivato della dimensione comunitaria, popolare e di emancipazione delle vecchie, tramontate classi subalterne, il proletariato industriale e in generale i perdenti della globalizzazione. Occorre tentare di scoprire le “porosità” di un sistema pervasivo, sostanzialmente totalitario, per attaccarlo sul suo terreno, allargando e occupando le fenditure. Il problema del pensiero libero è immenso; al riguardo, non si può non rilevare lo scarto enorme tra le parole e i principi – sempre orientate alla libertà più ampia, individuale e collettiva-comunitaria- e le azioni concrete.
Pensiamo agli studi di psicologia comportamentale di organizzazioni parallele al potere, quello politico degli apparati riservati e quello privato dell’industria e della finanza alleata della tecnologia ( fintech) portati avanti da oltre mezzo secolo dall’Istituto Tavistock, dal vecchio progetto MK –Ultra al lavoro del DARPA, il dipartimento della difesa americano per le ricerche avanzate e alla struttura di alta tecnologia ( sempre il potere delle informazioni…) che fa capo a Silicon Valley in sinergia con il cosiddetto Stato profondo statunitense e non solo. In parole semplici e incomplete, lavaggio del cervello praticato a generazioni, come l’immensa influenza delle dipendenze provocate, prima di tutte quella da droghe e sostanze artificiali, in cui il ruolo del nucleo più oscuro dei servizi segreti si incontra con il livello più elevato della criminalità, comune e finanziaria.
In maniera improvvida, incauta, ignara della vera portata delle parole, Irene Montero, ministro comunista spagnolo dell’Uguaglianza (un ossimoro da manuale nella neolingua orwelliana dei contrari) ha rivelato un pezzo di verità. Il potere vuole determinare i pensieri leciti e quelli illeciti per sanzionarli. In quest’ottica, sono del tutto inservibili le vecchie categorie giuridiche del diritto occidentale – la difesa dei diritti individuali e le costituzioni che affermano l’inviolabilità del foro interiore di ciascuno – la libertà di pensiero e di associazione, ed anche talune venerande acquisizioni della filosofia occidentale, a partire dall’opera di Baruch Spinoza nel Seicento, così influente nell’Illuminismo del secolo successivo.
Mai, infatti, il potere aveva avuto a disposizione strumenti tecnologici tanto potenti, l’arma totale, letale, definitiva- per penetrare sino nei pensieri reconditi di ciascuno. Inutile girarci attorno: gli iperpadroni – detentori delle “informazioni” – sono sempre più vicini a prevedere, orientare, determinare e quindi anche vietare i nostri pensieri. Il futuro è, da questo punto di vista, assai oscuro: non conosciamo la vera composizione delle sostanze che ci vengono e ancor più verranno inoculate nell’organismo, né gli effetti della fibra 5G. Non sappiamo quali informazioni produrrà l’impianto di chip sottocutanei o biochimici che sembra avanzare ineluttabile. Già oggi, attraverso la profilazione informatica, le card, i localizzatori, le reti sociali, la messaggeria (Whattsapp è di proprietà di Facebook), il nostro traffico in rete e nella telefonia mobile, l’oligarchia di vertice non solo sa tutto di noi, ma è in grado di determinare le nostre opinioni.
Il passo successivo, quello del controllo sui pensieri, non è forse così breve, ma la strada è tracciata. In attesa di costruire un fossato antropologico tra una minoranza “transumana” e tutti gli altri, l’Intelligenza Artificiale è destinata a pensare al nostro posto. Nessuno stupore, quindi, se il personale politico di servizio, in accordo con il clero secolare della cultura e della comunicazione, lavora attivamente ai divieti, a riformulare il diritto penale contro la libera espressione e addirittura proibisce certi pensieri. Fa tenerezza l’antica espressione “libero pensatore” riferita una volta agli atei, agli agnostici e ai frammassoni. Il potere disciplinare svelato da Michel Foucault si concretizza nell’intuizione di Gilles Deleuze sull’uomo condotto dalle varie oligarchie neocapitaliste, alleate nel progetto di dominio a una nuova soggettività di gregge legata al desiderio, alla compulsione, al primato dell’impulso, da cui deve essere espunta la dimensione riflessiva, critica, etica e spirituale. Viviamo in un regime post democratico e post liberale, in cui il prefisso post definisce una condizione mobile, non ancora ricondotta al nuovo paradigma, a metà del guado, scissa tra ieri e domani, dominata dal Grande Adesso. Il risultato voluto è quello di un gregge meno numeroso (denatalità, omosessualità, svalutazione della paternità e della maternità, egoismo, soggettivismo, dipendenze, abortismo, eutanasia) unificato nel consumatore globale a taglia unica, pensiero unico, sesso unico.
Fa sorridere il passo di Shakespeare in cui il bardo fa dire a un personaggio del Giulio Cesare che il re sa tutto, conosce tutto, con mezzi che nemmeno si possono immaginare. Appare superata anche la riflessione di Spinoza “se fosse tanto facile comandare sulle menti come sulle lingue, l’impresa di governare gli uomini sarebbe molto più semplice poiché tutti vivrebbero secondo la volontà di coloro che comandano e giudicherebbero il vero e il falso, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, esclusivamente in base ai loro mandati” Ognuno, invece, aggiungeva Spinoza, crede di possedere sufficiente capacità di giudizio per valutare le cose da sé, di modo che “esiste tanta differenza tra le teste come tra le bocche“. Generose anticaglie, temiamo.
Poco consola il testo costituzionale in cui, all’articolo 21, si afferma che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? Si chiedeva Dante nel canto XVI del Purgatorio. La pretesa del legislatore di trasformare in delitti certe opinioni e i pensieri che le generano dovrebbe trovare il suo limite nei diritti fondamentali di coscienza. Non è più così, segno tangibile che siamo transitati nell’epoca post liberale e post democratica. Credenza ingenua la convinzione che certi diritti di libertà fossero blindati, fossero, per così dire, per sempre. Nel 1670 Spinoza scriveva che in uno Stato libero “è contrario alla libertà di tutti impadronirsi del libero giudizio di chicchessia, costringendolo in qualsiasi forma”. È’ l’inizio del Trattato Teologico Politico, il cui obiettivo era dimostrare che “in uno Stato libero è permesso che ciascuno pensi ciò che vuole e dica quello che pensa”, come si legge nel capitolo conclusivo.
Per Spinoza e per molti dopo di lui, le due libertà, di pensiero e di espressione, sono inestricabilmente unite: non c’è soluzione di continuità tra pensare liberamente e manifestare ad altri il contenuto dei pensieri. La libertà di espressione è la prosecuzione naturale della libertà di pensiero nella stessa misura in cui è l’elemento che permette di svilupparla. L’effetto è che il dibattito sulla libertà di coscienza e di pensiero tende a svolgersi sul terreno più controverso della libertà di espressione, principio che ha significative differenze con gli altri citati. Interviene ancora Spinoza: si può controllare fino a un certo punto la lingua delle persone con leggi e punizioni, ma difficilmente si può comandare sulle menti e determinare ciò che pensano. Questo all’epoca sua e sino a poco tempo fa: oggi la potenza pervasiva dei sistemi di comunicazione e controllo è infinitamente più potente e sta invadendo la sfera intima.
Dal biopotere- potere sui corpi – stiamo penetrando nel territorio inquietante della capacità di conoscere, attraverso l’opportuna decrittazione degli impulsi e delle onde cerebrali, i nostri pensieri. Di qui a vietare ciò che è sgradito al detentore di quelle formidabili conoscenze tecnologiche non vi è che un passo, quello che le legislazioni positive, i cui tecnici e domines sono i politici di servizio alle oligarchie finanziarie e tecnologiche stanno compiendo attraverso norme che colpiscono non solo la diffusione di idee e opinioni, ma addirittura i pensieri che le costituiscono, definiti addirittura delitti di odio.
La postmodernità si sta impossessando, per distruggerla, della legge naturale. Nessuno, aggiungeva Spinoza, può trasferire a qualcun altro – dunque neppure alla legge scritta – il suo diritto naturale, la sua facoltà di ragionare liberamente e di esprimere opinioni e convinzioni su qualsiasi questione, né può esservi obbligato. Se il precursore di quell’Illuminismo su cui la modernità fonda i suoi dubbi fasti ha ragione, il trasbordo ideologico si è compiuto: la libertà non serve più agli interessi ed obiettivi di chi decreta le sorti dell’umanità del Terzo Millennio. Se c’è un principio fondamentale che si avvicina alla categoria di diritto assoluto e inalienabile, questo è il diritto naturale al pensiero libero e autonomo, la non interferenza di alcuno nell’ultima ridotta di ciascuno, il cervello luogo dei pensieri e delle idee, specie con i mezzi di tecnologie di enorme impatto. Non ci possono essere limitazioni o rinunce, neppure volontarie, pena la più devastante servitù mai sperimentata dall’essere umano.
Per il filosofo del Trattato, i governanti non possono penetrare in interiore homine con la spada. I mezzi che stanno mettendo a punto fanno rimpiangere la violenza diretta di altre stagioni, alla quale alcuni uomini coraggiosi potevano opporre la il sacrificio, anche estremo, mentre altri ricorrevano alla dissimulazione o alla resistenza passiva. Prima, con minacce e sanzioni potevano obbligarmi a tacere il mio autentico pensiero, ma non era possibile forzarmi a pensare come loro, accettando per vero il falso, giusto l’ingiusto, sino a non prestar più fede ai miei occhi. Ma oggi che la tecnologia è l’impianto (gestell, Heidegger), il paradigma del nostro vivere a cui non si può sfuggire, che fare? La conclusione di Spinoza, che si può legiferare sugli atti e sui fatti, ma non sui pensieri, che sono liberi, è figlia di un’epoca finita. Siamo entrati in un tempo radicalmente altro, senza gli strumenti – etici, culturali, civili e culturali – per affrontarlo e giudicarlo.
In una società organizzata, si rinuncia ad agire secondo capriccio e interesse personale, sottomettendosi a un insieme di leggi e prescrizioni, ma non si può essere costretti a ragionare con la mente altrui e ancor meno i pensieri possono essere assoggettati a controlli esterni, attraverso i quali si è puniti ed esclusi. Vanno dunque proclamati, rivendicati e imposti limiti invalicabili ai poteri pubblici e privati, sempre più in simbiosi contro la libertà e l’autonomia delle persone, tornate sudditi per essere trattate da bestiame d’allevamento. Per quanto dispiaccia alla signora Montero, agli estensori della legge Zan- Scalfarotto in Italia e a ai padroni universali della finanza e delle tecnologie informatiche e biochimiche, nessuno deve essere dichiarato fuorilegge per ciò che pensa.
Tempi terribili se tocca rammentare un principio giuridico bimillenario: Cogitationis poenam nemo patitur. Nessuno può subire una pena per i suoi pensieri, ossia il principio di materialità del diritto penale. Non possiamo che concordare con Spinoza allorché afferma che il regime più tirannico e violento è quello che pretende di fondarsi sul controllo delle menti, volendo “dettare a ciascuno che cosa deve accettare come vero o rifiutare come falso”. L’eco delle parole spinoziane si avverte nella descrizione insuperata delle conseguenze del totalitarismo fatta da George Orwell in 1984. Come spiega O’Brien, il funzionario incaricato degli interrogatori a Winston, protagonista del romanzo, non vi è altra verità se non quella decisa dal Partito, metafora del potere. Chi dissente dalla verità ufficiale, delinque, anche se “solo” con il pensiero. O’Brien è membro della psico polizia, poiché agli occhi del potere non vi è più distinzione tra mente, pensieri e atti. Scorre un brivido, osservando il mondo di oggi e le rane bollite a fuoco lento in cui ci hanno convertito.
Winston scrisse nel suo diario che la libertà è poter dire (e pensare, ormai…) che due più due fa quattro. L’ambizione di O’ Brien è uguale alla volontà del potere tecno totalitario che ci pervade: due più due può fare indifferentemente tre, cinque e persino quattro, ma solo se così vuole e decide il Potere. Le torture cui è sottoposto Winston hanno per obiettivo distruggere il prigioniero dal di dentro, spezzarne l’animo fino a farlo diventare un guscio vuoto. Per questo deve rompere i suoi legami affettivi, tradire Julia di cui è innamorato, ma innanzitutto occorre spezzare irrimediabilmente il suo pensiero, affinché creda davvero che due più due fa quello che il Partito decide.
La tragedia che ci cade addosso in tempi di impetuosa avanzata delle tecnologie di controllo del pensiero è che l’operazione può riuscire su larga scala senza bisogno di infliggere torture. Ci stanno espropriando dell’ultima e più intima proprietà: la facoltà di giudicare attraverso l’uso della mente, la ridotta ultima dell’autonomia personale, pegno della condizione di uomini, senza la quale non siamo che poveri manichini, come Winston al termine del trattamento. Non vi è nulla di più contrario alla natura umana che violentare il libero ragionamento. La domanda di fondo, tuttavia, è terribile: siamo, saremo ancora uomini, dopo che le tecnologie si saranno impadronite, insieme al corpo, anche della mente? Forse non resterà che la disperata scelta di passare al bosco come il Ribelle di Ernst Juenger. Ma ci sarà ancora un bosco, e resterà il Sé, cioè la percezione dell’Io?
1 commento su “La democrazia dei pensieri illeciti”
ormai la democrazia non esiste piu’ in occidente