di P.Giovanni Cavalcoli,OP
Uno dei fraintendimenti modernistici più gravi della dottrina del Concilio Vaticano II riguarda il concetto di Chiesa, soprattutto nelle sue relazioni col mondo. Come si sa, il Concilio ci offre due grandi documenti sulla Chiesa: uno, di carattere dogmatico, la Lumen Gentium e l’altro di carattere pastorale, la Gaudium et Spes.
Il primo ci fa conoscere la Chiesa di sempre in una visione nuova, arricchita rispetto a quella precedente, tanto che il grande ecclesiologo card.Charles Journet, amico di Paolo VI e Maritain, il quale poco prima del Concilio pubblicò un monumentale trattato sulla Chiesa in due grossi volumi, opera già di per sé pregevolissima, – “l’Eglise du Verbe Incarné” – sentì il bisogno, da persona umile e fedele alla Chiesa qual egli era, di aggiungere, benchè ormai anziano, un terzo volume alla sua opera, per riprendere ed illustrare gli apporti dottrinali del Vaticano II.
Invece il secondo documento, come sanno tutti, offre una ricchissima dottrina pastorale su come oggi la Chiesa, nei suoi vari aspetti e componenti, deve rapportarsi col mondo contemporaneo, per contribuire alla crescita della civiltà, per la promozione della persona umana e del bene comune, della giustizia e della pace, e soprattutto per annunciare convenientemente il Vangelo, compito, questo, che costituisce l’essenza propria ed insostituibile della sua missione.
La Gaudium et Spes è il documento più famoso del Vaticano II, quello che maggiormente ha attirato gli sguardi e gli interessi non solo del mondo cattolico, ma anche di altre religioni e dell’intero mondo culturale e politico internazionale, anche non credente e addirittura ateo.
Essa è diventata così quasi il simbolo del Concilio nel suo aspetto innovativo di dialogo con la modernità, tanto che da varie parti, all’interno ed all’esterno della Chiesa, se ne è esagerato anche l’importanza, mettendo ingiustamente in ombra altri documenti a partire dalla stessa Lumen Gentium, vista dai modernisti con una certa antipatia, per la sua ripresa e conferma di insegnamenti tradizionali, quali l’aspetto soprannaturale della Chiesa, il riferimento alla Chiesa celeste (“aspetto escatologico”), la gerarchia, il primato pontificio, la devozione mariana, benchè anche questo documento non sia affatto privo di novità dottrinali, come un concetto più avanzato di “tradizione”, di “rivelazione” e di Chiesa stessa.
Col pretesto della “pastoralità” del Concilio e della più esatta corrispondenza della Gaudium et Spes ai voti che Giovanni XXIII aveva formulato all’apertura del Concilio circa quelli che dovevano essere i suoi scopi, già dagli anni immediatamente seguenti il Concilio è sorta in ambienti modernistici una nuova ecclesiologia, vicina alla concezione protestante, una Chiesa in rottura con l’ecclesiologia del passato, una Chiesa come puro e semplice “popolo di Dio”, fondata su di un equivoco democraticismo (“Chiesa dal basso”), dove la gerarchia diventa un semplice elemento coreografico, la Chiesa ultraterrena svanisce nella mitologia, mentre il rapporto col mondo si inverte rispetto alla sua impostazione tradizionale: non più la Chiesa “luce del modo”, ma il mondo come forma e modello della Chiesa, tanto che qualche ecclesiologo è giunto ad affermare la pura e semplice identità di Chiesa e mondo, in concomitanza con l’assorbimento del sacro nel profano, cosa che notoriamente fu rilevata dai sociologi della religione, per esempio Gian Franco Morra, sin dagli anni sessanta del secolo scorso.
Restano oggi indubbiamente la Chiesa, restano la gerarchia e il popolo di Dio, restano le organizzazioni essenziali, comunitarie ed istituzionali – e diversamente non potrebbe essere – , S.Sede, diocesi, parrocchie, istituti religiosi, associazioni, movimenti, ferve una grande e molteplice attività di singoli, di gruppi e di comunità: viaggi pontifici, pellegrinaggi, attività ecumeniche, pratiche sacramentarie e liturgiche, cattolici in politica, congressi, comunicazioni mediatiche, pubblicazioni, istituti accademici e scolastici, catechesi e missione, arte sacra, nuovi edifici di culto, produzione teologica, corsi di esercizi spirituali, opere di carità, cultura cattolica, ma tutto questo insieme spesso è in vari modi e misure ostacolato, inquinato o indebolito da quella visione ecclesiologica sostanzialmente secolaristica, politicizzante, carrierista, lassista, mondana, modernistica, filoprotestante ed affaristica di cui sopra. Un gran daffare, senza dubbio, ma con quale spirito? per che cosa? per quali fini? sulla base di quale concezione della Chiesa?
Si tratta, come dicevo, di un grave fraintendimento dell’ecclesiologia conciliare, la quale, se indubbiamente ci presenta il rapporto della Chiesa col mondo moderno in una visuale positiva, non nasconde però gli aspetti di opposizione e se parla dell’aiuto che la Chiesa può ricevere dal mondo, non ignora per nulla la più importante responsabilità che la Chiesa ha ricevuto da Cristo di guidare il mondo alla salvezza e se vede nella Chiesa la primizia del Regno di Dio già in questa terra, non chiude il Regno nei limiti di questo mondo e non trascura affatto di parlare, anzi offre un ricco insegnamento circa la dottrina tradizionale della tensione della Chiesa della terra verso quella del cielo, illustrando quella che il Concilio chiama “indole escatologica della Chiesa”.
Più volte il Papa, da grande ecclesiologo qual egli è, è venuto su questo argomento della vera interpretazione dell’ecclesiologia conciliare avvertendo che essa risulta non solo da un giusto collegamento fra la Lumen Gentium e la Gaudium et Spes, ma anche con l’ecclesiologia insegnata dal Magistero precedente, in particolare la visione interiore, soprannaturale e mistica della Chiesa come “Corpo mistico” e “Sposa” di Cristo, tempio della SS.Trinità, alimentata dalla grazia santificante, contemplatrice del Mistero, certamente comunità umana con le sue proprie energie e dinamiche e non priva, quaggiù, delle miserie dell’uomo peccatore, ma soprattutto comunione spirituale e sacramentale, la cui attività non si esaurisce affatto nella progettazione e nelle risorse dell’umano ingegno, ma giunge al suo vertice nella liturgia, “fons et culmen totius vitae christianae”, nella carità reciproca, nella risposta dei fedeli agli impulsi dello Spirito ed alle esigenze della Parola di Dio.
L’interpretazione modernistica, falsamente conciliare della Chiesa, ci propone una Chiesa che oltre ad essere nel mondo, è anche del mondo. Viceversa la vera Chiesa, quella Chiesa di sempre che rimane intatta nel Concilio ed anzi splende di nuova giovinezza, nuove forze e nuove speranze, è sì – giusta l’indicazione di Cristo – nel mondo, ma non del mondo; lavora nel mondo, ma per liberarlo da Satana; ama il mondo, ma odia il peccato; è sì per il mondo, ma perché essa è innanzitutto per Dio; è sì col mondo, ma perchè vuol guarirlo e liberarlo dai suoi mali; sta col mondo, ma ama di più la solitudine con Dio; dà gioia al mondo, ma per aiutarlo a portare la croce; gode del mondo, ma come creazione di Dio; assume certo in se stessa quanto di buono c’è nel mondo, ma portarlo al di là di se stesso, purificato dal male, nella terra dei risorti e nella pienezza della vita eterna.