Di fronte all’islam che sgozza, Francesco alza la bandiera del pacifismo. Contro Sant’Agostino
di Alessandro Gnocchi
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Aleggia un’orribile forza attorno allo spettacolo delle teste mozzate esibite in favore di camera dai boia islamici. Un orrore impalpabile che sorge dalla banalità del male esibito sul palcoscenico planetario come simbolo di conquista religiosa e poi scende a serpeggiare sinuosa in platea. E lì, in luogo dell’applauso, si compiace del povero balbettìo di quel che resta dell’occidente cristiano, convinto di placare il proprio terrore mendicando dialogo presso un islam moderato inventato a propria immagine e somiglianza.
Pia illusione originata in un cattolicesimo che, nutrito di cascami illuministi e postilluministi, ha smesso da tempo di alimentarsi dei simboli propri e dunque non è più in grado di decifrare quelli altrui. Un cattolicesimo postilluminista che, per contrappasso, ha avuto in eredità una ragione così debole da aver abolito le differenze per manifesta impossibilità di comprenderle. Un cattolicesimo disarmato, dimentico di se stesso, che tenta goffamente di cogliere sfumature e gradazioni in un mondo che, nella sua radice religiosa, non ne contempla.
Lo scriveva quasi vent’anni or sono don Gianni Baget Bozzo in un saggio opportunamente titolato “Il futuro del cattolicesimo”. “Il problema della contrapposizione tra cattolicesimo e islam”, diceva Baget Bozzo, “è inteso poco nel mondo cattolico, che ormai non considera più le differenze religiose come significative e dimentica che per l’islam l’essenza della persona è segnata dalla appartenenza alla comunità islamica. E’ la perdita di identità cattolica tra i cattolici che rende a loro non comprensibile la permanenza della identità islamica. (…) quello a cui assistiamo è la distruzione dell’Oriente cristiano nel Mediterraneo. I cristiani fuggono verso terre cristiane. E la coscienza stessa dei cattolici è sensibile alle piaghe che affliggono l’uomo, non a quelle che, nel mondo comunista o islamico, affliggono i credenti in quanto tali. Il nichilismo diviene la volontà di non prendere in considerazione le cause che riguardano beni non economici e materiali. La fame nel mondo mobilita i cattolici, come è giusto, ma non vi è un istinto di solidarietà con i cristiani perseguitati. (…) La decadenza del cattolicesimo nei cattolici spiega il fatto che tra i cattolici l’offesa fatta ai cattolici non susciti un sentimento di identificazione”.
Era il 1997, regnante Giovanni Paolo II, e pare l’impietosa istantanea della chiesa non giudicante di Francesco, inoltrata lungo una china che non può più venire spiegata con le sole esigenze della diplomazia. La rinuncia al solo ipotizzare l’uso della forza come strumento di difesa, l’equiparazione tra vittime che “hanno diritto di essere salvate” e carnefici che “hanno diritto di essere fermati”, la desistente attesa dei pronunciamenti dell’Onu, la riesumazione del concetto di guerra solo per detestarla così come la detesta il mondo hanno ben altra radice. Emanano una sonorità nuova che stona non poco, per esempio, con l’”orrenda carneficina”, l’”inutile strage”, il “suicidio d’Europa” con cui Benedetto XV stigmatizzò la prima guerra mondiale, o con “l’inutilità delle guerre” della “Praeclara congratulationis” di Leone XIII.
La chiesa ha sempre considerato la guerra come un male, ma non ha mai pensato di poterla cancellare dal cuore degli uomini. Nelle rogazioni, che dal V secolo appartengono al sentire cattolico più profondo, le processioni oranti e penitenti chiedevano a Dio la liberazione da pestilenze, carestie e guerre: “A peste, fame et bello, libera nos Domine”. Ma lo facevano nella convinzione che peste, fame et bello sono inevitabili stigmate di un mondo segnato dal peccato originale. Proprio come “fulgure et tempestate” e “flagello terraemotus”, per i quali si invocava “libera nos Domine” con uguale pietà.
Dimentica di quanto era evidente anche all’ultimo dei popolani in coda nelle processioni, la chiesa postvolterriana si è innamorata di un’inesistente possibilità naturale della convivenza pacifica. Ha preferito bandire la consapevolezza che la violenza è nel cuore di ogni uomo, ha respinto la conseguente fatica di disciplinarla e così ora è sul punto di perdere se stessa. “La guerra” scrive in “Iota unum” Romano Amerio “non può essere l’estremo dei mali, tranne per chi adotta la veduta irreligiosa che ravvisa nella vita, e non nel fine trascendente della vita, il bene supremo, ed equipollentemente nel piacere il destino dell’uomo”.
Una platea siffatta può solo sentirsi paralizzata dal terrore davanti allo spettacolo offerto dai macellai islamici. Quel che resta dell’occidente cristiano, la gran parte dei pastori cattolici e del loro gregge, versati alle complicanze di ogni genere di dialogo, sono ormai incapaci di comprendere l’essenziale semplicità di un messaggio simbolico. Per quanto blasfemo sia, il gesto dell’assassino rituale continua ad avere natura religiosa e per questo non viene compreso. Raggiunge le corde di anime ormai non più abituate a vibrare e cade in un silenzio, in una rinuncia, in una indifferenza che nulla hanno di santo: in una trattativa banalmente mondana che i latori del messaggio possono solo disprezzare come atto di resa incondizionata.
Un atto religioso perverso si combatte e si sconfigge solo con un atto religioso retto. Quando San Francesco si trovò al cospetto del sultano, non si diede al dialogo e all’ascolto. Nella “Leggenda maggiore” San Bonaventura narra che il santo invitò il sovrano islamico ad accendere un gran fuoco e poi lo sfidò: “io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve tenere più certa e più santa”. E, davanti al diniego del re, San Francesco incalzò: “entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga imputato ai miei peccati; se invece la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e signore, salvatore di tutti”. Nei suoi “Ricordi”, frate Illuminato aggiunge come il santo di Assisi spiegò al sultano che “nessun uomo è a noi così amico o così parente, fosse pure a noi caro come un occhio della testa, che non dovremmo allontanarlo, strapparlo e del tutto sradicarlo, se tentasse di distoglierci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo i cristiani giustamente invadono voi e le terre che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quanti più uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi”.
Frate Illuminato si limita a chiosare che “Tutti gli astanti rimasero ammirati per le risposte di lui”. Altre fonti parlano della conversione del re musulmano che, per la prima volta, aveva percepito una pace nuova poiché aveva sentito parlare di una guerra nuova: l’una e l’altra estranee e antitetiche a quelle del mondo.
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace” dice Gesù ai suoi discepoli nel Vangelo secondo San Giovanni. “Non come la dà il mondo, io la do a voi”. Tra quella coroncina di parole che salvarono l’anima del sultano, il cattolicesimo contemporaneo ha finito per isolare il semplice termine “pace” evaporando il senso di un discorso così eloquente da essere persino didascalico: dal seguace di Cristo si esige la costante lotta con il mondo, poiché non vi è pace senza guerra. Ma questa è un’evidenza dalla quale il cristiano di oggi preferisce ritrarsi accontentandosi dell’illusoria tregua offerta dal mondo, imitazione scimmiesca di quella lasciata dal Salvatore.
Per questo la sua anima candida sussulta al solo sentire il termine guerra, e ancora più abominevole gli pare il concetto di guerra giusta. Elaborato sistematicamente da Sant’Agostino nel “De Civitate Dei”, poi da San Tommaso nella “Summa”, affinato e applicato fin sulla soglia degli ultimi decenni, tale concetto è stata oscurato dalla mitologia della “Pacem in terris”, che lega saldamente Giovanni XXIII all’attuale pontefice.
Secondo Agostino, una guerra è legittima quando viene dichiarata dall’autorità competente, quando si muove contro chi abbia commesso una colpa da punire e quando l’intenzione sia pura, libera da odio, col fine di ottenere un bene ed evitare un male maggiore. Ma, per quanto giusta, la guerra contiene un rischio che atterrisce chiunque difetti di vita religiosa: la morte, quella propria e quella altrui. Nel “De laude novae militiae” San Bernardo di Chiaravalle dice che “la morte data o ricevuta per Cristo merita una grande gloria, simile al martirio”. E, poco più avanti, spiega che il “cavaliere con serenità uccide, con serenità muore”. Nel “Contra Faustum”, Sant’Agostino scrive: “Che cosa infatti si trova da condannare nella guerra? Forse il fatto che uomini destinati in ogni caso a morire vi muoiono per domare uomini destinati a vivere in pace? Condannare questo è proprio di uomini privi di fortezza, non di uomini religiosi”.
Si può solo vagamente immaginare quanto simili parole e simili immagini siano scostanti per i cuori teneri dei cristiani postilluministi. Lontane nello spirito più che nel tempo, retaggio di un mondo barbaro in cui ancora non si aveva nozione della “dignitatis humanae” che avrebbe aperto una nuova era nella chiesa e nel mondo. Parole e immagini terribili perché riconducono l’uomo a considerare ciò che continua a essere in ogni punto della storia e in ogni angolo dell’universo, una creatura caduca destinata a morire. Ma l’uomo d’oggi, quand’anche sia cristiano, vorrebbe illudersi di essere immortale già in questa vita. Solo per questo, per alimentare la bulimia del proprio ego tremebondo, non vuole le guerre per sé e lo interessano poco o nulla quelle altrui. Perciò trova sempre più fascinosa la tentazione di un cristianesimo senza Cristo, di una fede senza Cielo, si una morale senza doveri, di una religioni senza ascesi, ormai pronto per seguire l’anticristo che nei dialoghi di Vladimir Solovev lo ammalia sussurrando dolcemente “Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace”.
Sembra che il cattolicesimo del terzo millennio abbia per solo padre Tertulliano, l’unico autore occidentale di epoca patristica a ritenere sempre illecito l’uso delle armi. Non a caso caduto nell’eresia montanista, questo antenato del pacifismo cristiano vieta ai fedeli di impugnare le armi anche quando sia necessario salvare i fratelli dal martirio e persino quando si renda opportuno evitare alle anime più deboli il rischio dell’abiura. Ma, coerente fino all’estremo nell’eresia pacifista, pretende che ogni cristiano, anche il più debole e il più acerbo nella fede, abbia il dovere di sopportare il martirio piuttosto che abiurare.
Persino lui, con quel suo disprezzo per i relapsi che avevano abbandonato la fede in cambio della vita terrena, oggi sarebbe incomprensibile e inaccettabile. Con il suo pacifismo non era riuscito a sterilizzare la realtà della morte e l’impegno di una decisione per il bene o per il male. Mentre il cristiano postilluminista è atterrito dal fatto che qualsiasi azione debba avere un movente, quindi sia morale e sottoposta a un giudizio. Invece che come cause, preferisce considerare i moventi come sottoprodotti di scarto del proprio agire, privi di rilevanza etica. Operazione tentata sul piano intellettuale archiviando Aristotele come reperto di una superata comunità dell’età del ferro. Tentativo apparentemente riuscito che, divenuto moneta corrente nella teologia, nella filosofia, nella predicazione, è naufragato su uno scoglio ineludibile come la morte, emerso dalle acque postmoderne sotto forme ritualizzate come la guerra o la violenza terroristica.
Proprio per il fatto di averlo bandito come incomprensibile relitto del passato, modernità e postmodernità sono indifese di fronte al rito. E, quando sono laiche e mondane, gli oppongono la chiacchiera, quando invece hanno ancora un retaggio religiose, lo sostituiscono con un simulacro.
In un caso e nell’altro, nulla dispone a comprendere e a reagire efficacemente alla violenza che non cessa. Non nei salotti in cui si troverebbe così delizioso avere come ospite un vero tagliagole, non nelle chiese in cui il sacrificio di Cristo è stato oscurato dalla festa della comunità e nulla deve evocare l’idea della battaglia.
Un tempo la chiesa non esitava a castigare violenza perché l’atto di religione più grande, la messa, iniziava nella sacrestia quando il sacerdote indossava come primo indumento l’amitto, simbolo dell’elmo, come difesa contro il demonio: “Impone Domini, capiti meo galeam salutis, ad expugnandos diabolicos incursus”. E poi, prima di salire all’altare che avrebbe letificato la sua giovinezza, il celebrante invocava il Padre perché mandasse il suo Angelo “qui custodiat, foveat, protegat, visitet atque defendat omnes habitantes in hoc habitaculo”, perché custodisse, sostenesse, proteggesse, visitasse e difendesse tutti gli abitanti di quella navicella di combattenti che si apprestava a guidare in battaglia contro il principe di questo mondo.
Ma ora persino il tre volte Sanctus Dominus Deus Sabaoth, da tre volte Santo Signore Dio degli eserciti è divenuto un più pacifico Signore Dio dell’universo: e quasi nessuno, a quella lode, si inginocchia più. Ma una chiesa che non è capace di far inchinare umilmente i propri fedeli davanti a Dio non può pretendere di farli alzare orgogliosamente davanti agli uomini. Si può solo accontentare di percorrere qualche tratto di strada insieme ora a questo ora quello.
Però è una povera chiesa, la stessa che nella Lauda LIII di Jacopone da Todi lamenta i tremendi effetti della pace mondana: “O pace amara, come m’hai sì afflitta/ Mentre fui in pugna, io stetti dritta;/ or lo riposo m’ha presa e sconfitta;/ el blando Dracone m’ha sì venenato”.
Sette secoli più tardi gli fa eco G.K. Chesterton in un saggio su Dickens: “La nostra civiltà moderna mostra molti sintomi di cinismo e decadenza, ma di tutti i segnali della fragilità moderna e della mancanza di principi morali, non ce n’è nessuno così superficiale o pericoloso come questo: che i filosofi di oggi abbiano cominciato a dividere l’amore dalla guerra, e a collocarli in campi opposti. Non c’è sintomo peggiore di quello che vede l’uomo, fosse pure Nietzsche, affermare che dovremmo andare a combattere invece che amare. Non c’è sintomo peggiore di quello che vede l’uomo, fosse pure Tolstoj, affermare che dovremmo amare invece di andare a combattere. Una cosa implica l’altra. Una cosa implicava l’altra nel vecchio romanzo e nella vecchia religione, che erano le due cose permanenti dell’umanità. Non si può amare qualcosa senza voler combattere per essa. Non si può combattere senza qualcosa per cui farlo. Amare qualcosa senza desiderare di combattere per averla non è amore, ma lussuria”.
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fonte: Il Foglio, 20.9.2014
16 commenti su “La Chiesa dell’arcobaleno – di Alessandro Gnocchi”
Parole come spade! Mi ha toccato profondamente!
Grazie,Alessandro.
Quanto scrivevano Baget Bozzo,Biffi,Ratzinger e pochi altri si sta avverando: la VERA Chiesa Cattolica
si sta dissolvendo a causa dell’adeguamento ai tempi “moderni” da parte di ormai numerosi sacerdoti che
lo fanno per debolezza e per timore.
E i tempi moderni sono in forte espansione anche per “merito” del vescovo di roma che parla sempre di
pace e di misericordia per tutti e tutto senza MAI CONDANNARE: nè aborto, nè nozze e adozioni gay,
nè eutanasia sui bambini, nè le stragi dei cristiani, ecc.
Vi ricordate quando scrissi del discorso del vescovo durante il viaggio di ritorno dalla Corea,cioè che I
CATTOLICI CHE TORTURANO COMMETTONO PECCATO MORTALE? Perché non citò ESATTAMENTE,
tutte quelle bande di cattolici che torturano gli islamisti,tagliano le teste,seppelliscono vivi bambini e donne,
ecc.?
Ieri sentii un intervento di Quirico a dir poco PAUROSO: non condannava,descriveva soltanto le caratteristiche,
la strategia,lo scopo dei jidahisti: la conquista…
Questo cattolicesimo ha rinunciato alle guerre legittime e doverose (compresa quella contro il peccato) e sta usando le proprie energie in modo suicida!
Bravo gnocchi stiamo vivendo tempi di tenebre non si capische che la pace e Gesu
Grazie dell’articolo. Possiamo rifletterne anche nella Santa Messa di stamattina da Tirana dove il quadro della Madonna a destra dell’altare riporta un arcobaleno. Ma, come nella bandiera della pace, i colori sono invertiti! Se l’arcobaleno è il simbolo dell’alleanza fra Dio e gli uomini i colori invertiti cosa ne rappresenta il suo contrario?
ma è chiaro: l’alleanza tra i modernisti (laici e religiosi, è indifferente) e satana, loro maestro e datore di lavoro. Quando ce vo’ ce vo’.
Quella a destra dell’altare del papa, è l’immagine di Nostra Signora di Scutari, da noi conosciuta come Madre del Buon Consiglio che nell’iconografia tradizionale (lo si può vedere facendo un giro su internet) porta un’aureola con i colori dell’arcobaleno, che ovviamente non hanno niente a che vedere con il significato che all’arcobaleno danno i movimenti pacifisti e gay. La tradizione vuole che nel 1467 durante l’invasione turca dell’Albania, gli angeli presero la miracolosa icona di Nostra signora di Scutari per impedirne la profanazione da parte dei turchi e la portarono a Genazzano in provincia di Roma e la deposero in una cappelletta dedicata alla Madre del buon consiglio, cappelletta officiata dai padri Agostiniani. Ad opera degli Agostiniani il culto alla Madre del Buon Consiglio si diffuse in tutta Europa. Leone XIII (nato a Carpineto Romano, vicino a Genazzano) con decreto del 22 aprile 1903, aggiunse alle litanie lauretane l’invocazione “Mater Boni Consilii” ora…
Concordo pienamente. Quello che non si vuole vedere è che i migranti, o rifugiati o altro, che ci stanno invadendo, con la collaborazione della Chiesa ufficiale purtroppo, ma anche seguendo una strategia che afferisce a poteri globali ben celati (io intravedo una strana collusione tra islamici e cinesi) altro non sono, nei grandi numeri, che avanguardie e soldati in incognito di un esercito invasore, a cui non viene opposta alcuna resistenza da politici e opinionisti che sulla resistenza storica hanno fondato le loro carriere… Ormai davanti a ogni chiesa stazionanoquesti individui inquietanti che fanno appello alla nostra carità e intanto ci catalogano.
Davvero ispirato questo scritto di Gnocchi: è tutta la mattina che lo medito. Si tratta di cose che, da ignorante, percepivo solamente e di cui nemmeno osavo discutere, per paura di dover ammettere ciò che la Chiesa di oggi non ammette e non tollera. Conoscevo alcuni scritti di Don Gianni Baget Bozzo, sul comunismo e, appunto, sull’anticristo. Mi avevano fatto drizzare le antenne e non poco e li ritenevo un po’ profetici ma, anche qui, con grande timore e non poche riserve. Ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi dovrebbe risvegliare le coscienze di tanti e liberarci, almeno e se non altro, da tutta questa fastidiosa chiacchiera laicista, da cui sembra affetto anche il vescovo di Roma.
Dice bene Gnocchi; negli anni 60 e 70 non vi era alcuno piu’ gradito, nei salotti che contavano, quanto un brigatista ed oggi, parimenti, probabilmente nessuno sarebbe altrettanto conteso quanto un vero tagliagole maomettano, magari con accento cockney, che farebbe piu’ fino.
GRANDE! Condivido i pieno!Mi sento meno solo e con qualche argomento in più! Grazie.
“Sul fatto che un pacifismo che non conosce più valori degni di essere difesi e assegna a ogni cosa lo stesso valore sia da rifiutare come cristiano siamo d’accordo: un modo di “essere per la pace” così fondato, in realtà, significa anarchia; e nell’anarchia i fondamenti della libertà si sono persi. Perché laddove tutti hanno ragione, nessuno ha più ragione” [J. Ratzinger Lettera a Marcello Pera]
Anche se non viene espressamente citato…, si parla del Papa, capo della Chiesa. Ma il pontefice (dal latino: pontifex) non è colui che “costruisce ponti”? Colui che cerca quello che l’altro non è in grado neppure di immaginare (es. il perdono, la misericordia,..il dialogo)? Il Papa sa bene che certa gente capisce solo il mitra e il coltello, ma Cristo ha insegnato di predicare (e possibilmente praticare) cose diverse, non di mettersi sullo stesso piano della mentalità del mondo irascibile e vendicativo. Il Papa (nessun Papa) non è il sovrano di una moltitudine di eserciti; non è il re Sole; non è un sultano… Anche se sa che prima o poi c’è gente che va fermata, la sua predicazione deve essere di tutt’altro tono. Glielo impone la sua religione, Cristo, che ha perfino detto di amare i nemici e pregare per la loro salvezza. Quanto a S.Francesco, è vero che si unì alla quinta crociata, ma non vi andò portandosi spade, piuttosto predicò Cristo coraggiosamente solo al sultano…
Parole troppo vere…..nella mia parrocchia ho ascoltato prediche sul terrorismo senza che mai venisse aggiunto l’aggettivo ”islamico”.
ma nessuno ha il diritto,manco il papa,di invitare(sapendo che potrà determinarla) ad una invasione della nostra o altra terra,con tutte le conseguenze che già vediamo!”mare nostrum” è iniziata dopo lampedusa….ed un pastore difende il suo gregge,non invita i lupi! questo,comunque,di fatto una parte della chiesa lo fa da anni; io non ho il dovere di approvare e vedere invasa la mia terra,appellandomi al “valore dell’accoglienza”,determinando poi che chi accolgo mi priverà della presenza di Colui per cui dovrei accogliere,tant’ è vero che attualmente,nei villaggi cristiani da cui l’isis ha cacciato i nostri fratelli di fede,non si celebra per la prima volta dopo 2000 anni la messa! e di tutto ciò che il cristianesimo ha generato(arte,cultura ecc. ),molto è stato distrutto!se accolgo così,non sono cristiano davvero!neanche un papa me lo può imporre! e neanche la caritas,che accoglie sulla nostra pelle! sveglia!
inoltre la sua religione è anche la mia e ,sperando il contrario,se al sinodo egli tradirà il cristianesimo, io non gli dovrò certo rispetto! lui non ne è il padrone….io sono un povero peccatore:non tocchi l’eucarestia e non mi imponga un cristianesimo ridotto solo ad amare “i poveri”.a quel punto,perché dovrei? echissenefrega! a quel punto,visto che sono di alassio, mi darò finalmente alla caccia….delle vichinghe!!! e io che mi sono fatto tanti problemi….a parte ciò, Dio susciterà chi salverà la Chiesa.stiamo pronti!