Bisogna arrivare a una certa età da non cacciatore per svegliarsi un buon mattino e sentire il dovere di andare a caccia. Sembra assurdo, ma è quanto accaduto al sottoscritto.
Questo approccio rivela precocemente numerosi svantaggi pratici. Senza essere necessariamente un intellettuale o un topo di biblioteca, a meno che non sia anche un appassionato di ornitologia, il novizio si troverà a doversi districare fra un centinaio di specie avicole a prima vista tutte uguali (consiglio, partire dagli anatidi), perché pare doveroso che per praticare l’attività venatoria si debba prima conoscere l’avifauna. Ciò anche se si intendesse cacciare unicamente la volpe, per sport.
Oltre alla legislazione venatoria, poi, si dovrà cercare di capire il funzionamento e il munizionamento delle diverse armi da fuoco consentite. Una volta conseguita la licenza (il cui esame non è propriamente una passeggiata) si dovrà passare alla prova di sparo, una stupidaggine inutile di un’inadeguatezza quasi totale, dato che non vengono utilizzati né calibri, né fucili da caccia. Ragion per cui, di norma, il licenziato ne ha facoltà, ma non sa sparare. Adempiuti gli obblighi di legge si viene lanciati quasi allo sbaraglio con un’arma vera in mano e un “tutore” altrettanto vero e obbligatorio, che dovrebbe insegnare l’arte antica della caccia con i cani, attingendo al bagaglio prezioso e decennale accumulato con l’esperienza sul campo fin dai tempi in cui si cacciava l’uomo nero.
In realtà la regola del primo anno di caccia accompagnati è una perla legislativa che solo un Paese gravido di idiozia autolesionista come l’Italia poteva partorire. Primo, un neocacciatore potrebbe non cacciare il primo anno e poi andarsene a zonzo senza questo “apprendistato”. Seconda nota, e assai più grave, in genere il veterocacciatore insegna e/o mostra, anche involontariamente, al neocacciatore tutte le cose che non si dovrebbero fare, ma che tutti o quasi fanno, e così sia. Nel giro di poche decine di minuti se ne vanno alle ortiche mesi di studio disciplinato dell’etica venatoria.
Sia arriva così all’apertura. Preparativi. Levataccia. Ricontrollo semimaniacale dell’equipaggiamento. Preparativi di vettovagliamento del tutto inutili, in quanto a caccia ci si dimentica perfino di andare di corpo, figurarsi di mangiare. Partenza.
Il primo giorno di caccia per un neocacciatore, se non è particolarmente sfortunato, è una specie di safari oro e blu bagnato nel sangue di fagiano. I più puri dovrebbero essere preventivamente preparati. In questa categoria rientrano per forza di cose, tutti quei cacciatori che intraprendono l’antica arte per scelta e non per comportamento coatto da ereditarietà cromosomica. Meglio che si scelgano un maestro gentiluomo, di quelli che in sessantuno rinnovi, non hanno mai commesso un’infrazione. Posso fare un nome, che è quello del mio vecchio insegnante di ginnastica, il prof. Mori, che anziché spiegarci le regole del basket, parlava delle ricette per cucinare la selvaggina, salvo poi chiedere all’esame il regolamento della pallacanestro e non la ricetta della beccaccia, col risultato di abbassare la media finale per colpa di educazione fisica. Gli sarò eternamente grato.
Sentire la caccia come un dovere implica primariamente che bisogna sentirla. Bisogna esser vivi. Meglio, bisogna essere sopravvissuti alla società anti-educativa che i più definiscono ancora scuola. Qualsiasi scolaro non sia cresciuto in una famiglia di cacciatori, non abbia cioè gli anticorpi, uscirà inevitabilmente diplomato in pseudoanimalismo avanzato e giustizialismo facile applicato. Sarà dunque contro la caccia e talmente rimpinzato di tutti gli altri nobili sentimenti da esser diventato un tacchino con istinti suicidi. Il passo sarà per lui, più ampio, più pericoloso, sopra un crepaccio che, gelido, lo ha separato da se stesso ma che invariabilmente lo richiama.
Per questo ho rimandato la scelta (non solo l’essere!) per vent’anni, essendomi deciso ad ascoltare il richiamo della foresta, il soffio del crepaccio, per conseguire la licenza di caccia solamente con mio padre già in fin di vita – e con la sua benedizione, questo fatto è materia psichiatrica.
Non so se il cacciatore sia spaccone come il pescatore. So però di aver udito alcuni individui che sostenevano di aver preso ben sedici fagiani (ove il massimo carniere giornaliero consentito è due).
La caccia è rovinata dai cacciatori, diceva sempre il professore, anche questo fa parte del prezzo della libertà.
In ogni caso, come nella vita, a caccia si deve pagare un prezzo. Si torna esausti, fisicamente e emotivamente, si torna con mani sporche di sangue, stivali inzaccherati e pesanti, ma cuore leggero. Si torna con stivali inzaccherati, mani vuote e il cuore pesante. Già si pensa alla prossima caccia. La caccia ha il suo prezzo di fatica, sudore e sangue. Vi sentirete apostrofare con termini poco gentili. Vi verrà presentato il conto morale di aver ucciso un animale innocente (come se i vitelli, i polli, i maialini e perfino i cavalli! che mangiano loro fossero colpevoli). Ma tornare con una lepre di oltre quattro chili la terza uscita in assoluto, anche se la barba ormai ingrigisce e nessuno lo credeva possibile, non ha prezzo.
La caccia dovrebbe essere materia ministeriale a scuola, per rispetto dell’ambiente – la caccia è preservazione dell’ecosistema – e per rispetto dei bambini. La caccia è un’attività veritativa. Svela la verità che celiamo nei nostri cuori. Come l’alpinista scala le vette più nude e il palombaro porta sulla testa l’intero peso del mare, il cacciatore, cercando la preda, non è raro che trovi se stesso. Se amate i vostri figli insegnate loro la nobile arte della caccia. Non sarà mai pericoloso quanto una serata a zombificarsi in discoteca.
La caccia è per l’uomo un dovere. Il dovere di rivendicarsi a se stesso. Il dovere di essere completo, di circolare in armi, è un rito iniziatico permanente che ci ricorda il dovere di esser uomini, di esser liberi, di camminare a testa alta, animali eretti non perché animali, ma in quanto uomini e figli di Dio, il dovere di essere leali con la preda, per esserlo con noi stessi. Il dovere di vergognarci per la viltà e la menzogna. La morte che ogni volta abbiamo davanti agli occhi ce lo impone. O così almeno dovrebbe essere. Perché le scelte che ogni uomo opera modificano la struttura della realtà, determinando in piccolo il destino del mondo. E della nostra civiltà.
36 commenti su “La caccia svela la verità che celiamo nei nostri cuori”
Grazie, di cuore, per questo articolo che chiarisce le motivazioni per le quali la caccia risulta così profondamente legata al nostro essere. Penso non ci sia bisogno di ricordare che gli anticaccia sono, quasi sempre o sempre, favorevoli all’aborto. Si vede che per loro la lepre è innocente, il bambino, che deve ancora nascere, no.
Grazie ancora.
Francesco
Grazie a Matteo Donadoni e a Francesco Gerolamo!
Noto con triste stupore che tanta gente é profondamente legata ai riti e alle consuetudini del cretaceo inferiore…per sentirsi umani sarebbe necessario avere la compassione… altroché,
rivendicare se stessi con la morte degli altri…
Chapeau
La conclusione del testo
“La caccia è per l’uomo un dovere. Il dovere di rivendicarsi a se stesso. Il dovere di essere completo, di circolare in armi, è un rito iniziatico permanente che ci ricorda il dovere di esser uomini, di esser liberi, di camminare a testa alta, animali eretti non perché animali, ma in quanto uomini e figli di Dio, il dovere di essere leali con la preda, per esserlo con noi stessi. Il dovere di vergognarci per la viltà e la menzogna. La morte che ogni volta abbiamo davanti agli occhi ce lo impone. O così almeno dovrebbe essere. Perché le scelte che ogni uomo opera modificano la struttura della realtà, determinando in piccolo il destino del mondo. E della nostra civiltà”
Andre a caccia di un fringuello con un cannone…
Ecco l’etica del cacciatore
Ecco cosa vuol dire essere Uomo con la “U” maiuscola…
Grazie. E non aggiungo altro
Bellissime parole è vero gia a scuola media i professori paralano di noi cacciatori come animali assetati di sangue mia figlia che ha 11 anni è rimasta a bocca aperta la porto con me a caccia e sa cosa vuol dire mentre la professoressa insisteva che siamo solo assassini
Di lepri, beccacce, tortore, pavoncelle, coturnici e tante tante tante altre specie, non ce ne sono quasi più, ci siamo mangiato tutto!
Essere animali selvatici e sopravvivere in una natura già troppo urbanizzata, accerchiata e violentata, è già faticoso, perchè accanirsi, se proprio non c è la necessitá vitale di andare a caccia?
Abbiamo tante alternative di sentirci connessi con quello che siamo profondamente interiormente, andando a vivere la natura senza per forza dover togliere la vita ad esseri viventi che è già meraviglioso anche soltanto avvistare.
1. La caccia non è profondamente legata al nostro essere, prova ne sia il fatto che io ed altri non l’abbiamo mai praticata. 2. Il paragone con l’aborto è francamente fuori luogo: il nascituro non può essere MAI soppresso in nessun caso, l’animale può esserlo a condizione che si evitino inutili sofferenze, e solo per nutrirsene. 3. Io, sia pure dliettante, sono un ornitologo: il primo cacciatore che si azzarda a mirare ad un uccello in sua presenza, lo fa a SUO rischio e pericolo. 4. Stavolta non mi firmo con il mio solito nickmane (Oswald Cobblepot, the Penguin).
Alessandro attento… a “SUO PERICOLO” il fucile in mano lo ha il cacciatore non tu….!!! ricorda che esiste anche la legittima difesa!! Richieresti la vita per una quaglia o un fagiano?
La caccia è solo sfogo di istinto di morte, la potete indorare di belle parole e pensieri ma è solo questo, istinto di morte verso poveri indifesi…
Ci cibiamo di morte, siamo dunque mortali.
Condivido, quasi completamente, aggiungendo che, purtroppo, si confonde troppo spesso il cacciatore con volgarissimi sparatori dediti al bracconaggio.
Io cacciatore nel sangue , e non per il solo sparo,ma per tutto quanto è il contesto,feeling con il proprio ausiliare, inspiegabile sensazione di benessere vissuta prima e dopo la caccia, trovo difficoltà solo quando di fronte ho chi è vegano,ma vegano realmente, invece tutti gli altri anticaccia li reputo solo semplici sfigati senza identità e privi di colonna vertebrale.
Perdonatemi ma è così che la penso.
Parole stupende, descrizione che sento coincidere con la mia esperienza. Complimenti
Articolo stupendo che solo l’amore per la natura può partorire, la cultura venatoria va sicuramente però riveduta e a tratti corretta, aprendo un dialogo costruttivo tra associazioni venatorie ed ambietalistiche. Grazie
Bellissimo articolo, condivido tutto. Purtroppo ormai la frittata è
Fatta, troppo tardi, ormai gli italiani sono sterilizzati, gli è stato sradicato tutto questo, ormai il cacciatore agli occhi di tutti è un frustrato violento. Sopravvivono pochi bravi giovani che condividono questa meraviglio ma sono come indiani in riserva
Sono pienamente d’accordo!
bellissimo articolo, se per es. si ammazzassero più cinghiali ,( alla faccia degli animalisti) non ci sarebbe il pericolo di vederli passeggiare in disturbasti sulle strade urbane, a far rischiare la virta (per scansarli ) agli automobilisti.
mi ricordi del mio caro babbo che quando tornava da caccia era felice anche se il bottino era magro:-( qualche passerotto e un paio di quaglie!
Sottoscrivo tutto. Concordo sul fatto che non si impara a cacciare, usando i libri. Io ho iniziato a seguire i miei quando andavo alle elementari. Non sparavo, ovviamente, ma a 14 anni riconoscevo gran parte degli uccelli dal volo e dal canto. Non serve a molto riconoscerli impagliati o in diapositiva. Oddio, meglio che niente! Troppo ci sarebbe da scrivere……
Sono un cacciatore e volevo ringraziarvi per il vostro articolo è una boccata di ossigeno in un mondo che si riempie la bocca di tolleranza e democrazia ma scatena contro di noi un profondo odio si può uccidere un innocente nel grembo materno se non è sano , si può uccidere un infermo terminale senza essere paragonati a Hitler si rovinano i nostri figli con educazioni sessuali che si avvicinano alla pedopornografia , stanno massacrando la nostra fede cattolica ma il problema siamo noi cacciatori personalmente non auguro a nessuno di essere odiato a vista e insultato da chiunque passi ,nell infinita sapienza del Vangelo Cristo invita a porgere l’altra guancia questa società democratica e tollerante ce lo impone pena il ritiro del porto d’armi è una profonda amarezza che mi ha spinto a scrivervi scusatemi . Sandro
Non sono cacciatore ne pescatore ma riconosco in questi i veri amanti della natura e della vita essi sanno apprezzare le emozione dell’aurora, l’eccitazione dell’alba la meraviglia dell’intera giornata trascorsa all’aria aperta , attendere la sera per godersi il tramonto .
Credo fermamente che Cacciatori e Pescatori siano i veri protagonisti della vita , sono persone sensibili ,generosi altruisti e pazienti ,spesso Buongustai ,
Mi piacerebbe tanto appartenere al genere dei cacciatori e o pescatori , io li stimo tantissimo !!
Viva chi pratica caccia e pesca , NO agli allevamenti !!
Sono un animalista convinto !
Condivido pienamente tutto e se la disciplina venatoria fosse spiegata a scuola sarebbe tutto diverso in Italia…
Una sola parola: GRANDE.
Bellissimo articolo , pensavo fossi solo … Invece in molti condividiamo questo pensiero . La caccia è un’arte mobile , ho iniziato a praticarla a quaranta anni , poiché non ereditata da cacciatori di famiglia, per insegnarla ai miei figli “.amate i vostri figli insegnate loro la nobile arte della caccia. Non sarà mai pericoloso quanto una serata a zombificarsi in discoteca.”
Grazie
Non sono un cacciatore, ma difendo a spada tratta la caccia come attività e anche come sport. E soprattutto come diritto:”…dominate sopra i pesci del mare e su tutti gli uccelli del cielo e sopra tutti gli animali che si muovono sopra la terra” dice la Genesi. Considero gli anticaccia, gli animalisti, così come i vegani, gli ecologisti, la neo-genia dei gretini, i sostenitori dell’origine antropica di un presunto e indimostrato “riscaldamento globale”, i più pericolosi nemici attuali dell’umanità, spesso sostenitori della nostra estinzione, negatori della signoria umana della Terra creata per noi e dataci da Dio. Questa malvagia ideologia è una delle ennesime incarnazioni della gnosi, di odio demoniaco dell’uomo come creatura prediletta da Dio. Non per nulla i “verdi”, gli ecologisti, gli animalisti sono a favore dell’aborto, ma sono dediti alla criminale e violenta aggressione ad allevamenti e macellerie. Poi, c’è anche un aspetto sociale: essere contro la caccia è illiberale nei confronti di milioni di cacciatori (nessuno obbliga i gretini e assimilati a cacciare), rischia di rovinare interi settori dell’economia (allevamenti, riserve, armi, vestiario, turismo, ristorazione) e decine di migliaia di famiglie. Per non parlare della necessità della caccia per tenere sotto controllo animali dannosi e pericolosi (cinghiali, lupi, orsi, vari tipi di ungulati) che gli animalisti afflitti da insania mentale difendono nonostante le aggressioni all’uomo e i danni all’agricoltura, all’allevamento e al turismo. Ma loro preferiscono, come ideologia, le bestie all’uomo.
Che i tristi vegani si mangino i loro intrugli. Io continuerò, quando posso, e grazie ai miei amici cacciatori, a mangiare lepri in salmì, stufato di cervo e salamini di cinghiale.
Non sono cacciatore ma condivido pienamente l’articolo, un articolo che, al di là dei moralismi, esalta la vita e le leggi immutabili della natura.
Trovo questo articolo tanto bello quanto vero nella sua semplice verità. Altrettanto trovo essenziale la necessità di trasmettere l’antica nobile arte della caccia alle future generazioni coi metodi di sempre, quelli dell’amore per la natura, dell’esempio dei padri, del rispetto per la preda, del ringraziamento a Dio per la sua generosità.
L’animalista tipo ritiene che la bestia sia indifesa e che l’amore per il creato si concretizzi con la necessità di farsi difensori dei diritti del cinghiale o del capriolo, il cacciatore invece sa che le bestie sono bestie, solo e soltanto bestie e che l’unico diritto che hanno è di essere cio che sono.
E’ Dio che ci ha dato il nostro posto nel creato, Dio ha creato per noi tutto e poi ce ne ha fatto dono e noi non solo possiamo, ma dobbiamo testimoniare il nostro diritto e dovere di dominio e di tutela dei doni divini, bestie incluse. L’ornitologo della domenica, il difensore del fagiano o della coturnice infuocato dal sacro ardere del sentimentalismo animalista finge di non sapere che le bestie che il cacciatore non uccide moriranno di vecchiaia, restando inutili, per giorni esauste ad attendere qualche cane oppure morendo sole tra le frasche. Anche i cervi, le lepri, le beccaccie invecchiano e muoiono e le loro carcasse rose dai vermi e putrefatte appestano l’aria quando le trovi ricoperte di corvi.
Una lepre o un fagiano, che invece finisce nel carniere del cacciatore, fa la fine migliore tra tutte quelle possibili previste dal buon Dio.
Chissà se l’ornitologo sfranto, sia capace di capire che ha il dovere di amare l’uomo suo prossimo che spara ai suoi amati volatili, mentre l’uomo suo prossimo che spara ai suoi amati volatili ha tutto il diritto di spararli? Ad ogni modo siccome la nobile arte della caccia non è l’unica nobile arte, esiste anche la boxe, nel caso di intemperanze animalistiche il bravo cacciatore può sempre scaricare e metter da parte la doppietta e massaggiare con carità e rispetto le mandibole dell’animalista di turno che non va mai impallinato, non tanto per il rispetto delle sue candide natiche, quanto perchè si rischia di perdere la preziosa licenza venatoria. Tali lezioni di radicale concretezza e sincero spirito formativo di carità, un tempo venivano date ai giovinetti che manifestavano la devianza sentimentalistica dell’animalismo, che ne metteva in luce peraltro la scarsa ed immatura virilità. Oggi tali correzioni sono più rare in età adolescenziale ma sono proprio per questo sempre utilissime anche in età adulta.
Amen
sarei disposto a riconoscere le buone ragioni della caccia, se i cacciatori fossero all’altezza del nobile sentimento ispiratore; ne conosco troppo pochi per giudicare.
Allo stesso modo sarei disposto a riconoscere la nobiltà del servizio armato alla Patria e alla missione del Cavaliere, se i soldati fossero all’altezza dell’ideale; e qui, più che conoscere pochi militari, conosco troppe persone (di tutte le categorie, assolutamente non solo militari, e specialmente di quelle più elevate) che non hanno il minimo sentimento di Patria e di Cavalleria.
Le buone ragioni della caccia non dipedono dai singoli cacciatori, come le buone ragioni della necessità di forze dell’ordine non dipendono dai singoli poliziotti.
Se una cosa è vera resta vera anche se la dice un delinquente e se è falsa resta falsa anche se la dice il papa o il presidente della corte di cassazione.
Il suo modo di ragionare è erroneo e dimostra una efficacissima “democratizzazione” del pensiero che ascrive la verità non come assoluto ma come dipendente dall’opinione o dalla azione di chi è più numeroso. In altri termini la verità cambia al cambiare della moda.
Le ragioni della caccia sono sacrosante e non dipendono nè dalla moda, nè dai tempi nè dalla condotta dei cacciatori o della maggioranza degli stessi.
Matteo, mi ha sparato contro il suo commento, ma ha preso una clamorosa padella.
Ha ragione… ma non una qualunque, bensi, la Sua clamorosa padella.
Sono anni che calpesto la terra con anfibi carnera e cartuccera….
Ho avuto di fianco a me GRANDI maestri di caccia e di vita.. Che ora purtroppo un certo dio mi ha strappato…..
Ma non per questo mi fermo…..
Combatto…. Ciò che ti ferosce ti fortifica….
Continuo sola
con l’adrenalina alle stelle attendo alla posta lui il re della foresta..il cinghiale…
Ma pratico anche la caccia a pennuti…
Sono fiera e orgogliosa di me… La caccia è la mia vita…
La consiglio a tutti…
Con stima
Barbara
Ci si dimentica troppo spesso di ricordare che il primo divieto di caccia nella storia del mondo civilizzato è stato emanato da Adolf Hitler…
Un bellissimo articolo che non condivido, da cattolica tradizionalista con una famiglia che amo, due figlie e un marito, amo il Creato come riflesso del Creatore, come cantava San Francesco nel Cantico delle creature, sono ovviamente contro divorzio, aborto, eutanasia e tutte le altre porcherie sdoganate oggi.
Difendo gli animali senza farne totem, li mangio tranquillamente se sono stati allevati per questo. Amo la Natura tutta, coltivo piante da giardino e da orto e sono convinta che se piantassimo più alberi il mondo sarebbe un posto più bello.
Ma personalmente, resta quindi qualcosa di solo mio, non trovo nessun particolare piacere nel dare la morte a un essere vivente.
Ripeto, opinione personale.
Sono sostanzialmente d’accordo, non sono un cacciatore ma non ho assolutamente niente contro i cacciatori, trovo anzi lo spunto di riflessione sulla vicinanza della morte particolarmente prezioso per la societa’di oggi.
Quello che eviterei e’lo spargere a vanvera la parola “dovere” nell’articolo, che in realta’ ha un significato ben preciso: si tratta di un dovere di fronte al Creatore? Mi sono perso un articolo del Catechismo che impone di circolare in armi?
Usata cosi’a casaccio la parola “dovere” sembra piu’che altro una inutile autodifesa preventiva, comprensibilissima peraltro visto il modo ignobile in cui i cacciatori vengono ingiustamente attaccati, ma come sappiamo due torti non fanno una ragione.