Fin dall’inizio, il 7 ottobre, quando si è avuta notizia dell’evento sanguinoso che avrebbe dato avvio alla immane carneficina successiva a Gaza, è stata evocata da più parti l’immagine fatidica dell’11 settembre, del quale è sembrato di poter vedere una replica. Le assonanze sono state individuate nella sua sorprendente realizzazione, nella inattesa efficacia dei mezzi impiegati, nella violenza sconvolgente degli obiettivi, ma anche, nella inaspettata mancanza di una immediata risposta difensiva da parte di un apparato militare di rinomata efficienza e avanzata perizia tecnica.
Se quattro aerei dirottati avevano potuto scorrazzare indisturbati per un paio d’ore sopra i sorvegliatissimi cieli americani senza che un caccia si levasse in volo, ora un manipolo di facinorosi muniti di mezzi rudimentali avevano potuto sorvolare o abbattere le munitissime barriere metalliche israeliane erette intorno alla prigione palestinese a cielo aperto, e seminare ovunque terrore e sangue.
Con una differenza però. Nel 2001, pochi colsero subito la stranezza stupefacente di quella circostanza, mentre ora sulla incomprensibile inerzia difensiva immediata ci si continua ancora ad interrogare. E su questa si aprono anche le congetture circa una predisposizione dolosa delle condizioni per la “soluzione finale” del “problema” palestinese, che la sconsiderata reazione successiva tuttora in atto sembra avallare.
Tuttavia, le congetture non verificate non aiutano a districarsi in mezzo a questa tempesta che si annuncia come epocale. Quello su cui invece conviene fissare la riflessione partendo dai fatti dell’11 settembre, e che offre una oggettiva chiave di lettura del presente, è il suo porsi come archetipo complesso e paradigmatico della degenerazione politica e culturale, ovvero della degenerazione culturale della politica, interna e internazionale, in quel mondo in cui fregiarsi del nome di “occidentale” significa essere depositario di una civiltà politica superiore. Laddove la storia di un secolo dovrebbe indurre a tutt’altro consiglio.
Una volta scoperta la democrazia moderna, i governanti che si sono assunti il compito di guidarla verso le sue mete gloriose, hanno dovuto anche mantenere viva nei rappresentati la fiducia nella propria volontà di rimanere fedeli e ancorati al fine del bene comune.
Il potere difficilmente rispetta le promesse e soprattutto perde di vista il fine assegnato cui sovrappone la propria volontà di potenza o di sopravvivenza, a seconda dei casi. Dunque, ha bisogno di alimentare la fiducia dei governati con mezzi che non siano controproducenti e quindi inefficaci. Deve ricorrere alla demagogia, nel senso antico del “discorso politico efficace” e dunque all’effetto della persuasione, che può risultare anche più o meno occulta.
Infatti, rifugge dal fondarsi sulle evidenze fornite dalla ragione e dalla logica, quando queste appaiano strumenti pericolosi se è necessario falsificare la realtà per fini non apertamente confessabili. Ecco dunque la necessità di puntare sulla emotività, quel meccanismo oscuro ma anche fruttuoso per chi voglia confondere realtà e rappresentazione, e indirizzare le volontà individuali là dove le si vuole condurre.
La storia ha fornito modelli straordinari della forza motrice della emozione, dal discorso di Antonio sulle spoglie di Cesare al consenso ottenuto dai giacobini per le loro belluine decisioni. Ma oggi una manipolazione delle coscienze su scala planetaria richiede che le emozioni siano attivate attraverso la suggestione delle immagini o della finzione filmica che fabbrica la realtà virtuale. Per muovere le emozioni nel villaggio globale, occorre il dispositivo che colga l’oscena immediatezza dei fatti, o fornisca la rappresentazione teatrale di una realtà immaginaria spacciata per vera, sicché anche la menzogna pubblica può avvalersi dei mezzi offerti dalla tecnica.
Ora, dire che la menzogna pubblica sia una invenzione moderna sarebbe ingeneroso verso gli antichi, ma di certo grazie ai nuovi mezzi tecnici essa diventa capace di moltiplicare la forza delle emozioni e azzerare quella della ragione e delle facoltà speculative.
Del resto, il successo della menzogna pubblica e privata è stato preparato anche dalla filosofia, che ne ha assicurato il prestigio attraverso lo screditamento della verità, della quale è stata trionfalmente predicata la impossibilità teorica, e dunque anche pratica. Inutile dire come lo svilimento della idea stessa di verità inquini anche la dignità della ragione, che non trova più ancoraggi solidi cui appoggiarsi. Non per nulla la chiesa, prima di essere inghiottita nel vortice dello spirito del mondo a trazione politica, e perdere ogni orientamento morale in una prospettiva suicidaria, aveva sentito l’urgenza sotto un pontificato ancora degno di questo nome, di varare una enciclica sulla verità, ultimo allarme lanciato in vista della già incombente catastrofe culturale.
Il capolavoro assoluto di questo trionfo della menzogna, attraverso la tecnica è andato in scena proprio l’11 settembre del 2001 quando anche tutti gli spettatori sono entrati a far parte della sacra rappresentazione, quali nuovi coreuti necessari per l’allestimento della grande tragedia e assicurare ai suoi ideatori ogni impunità presente e futura.
Se all’indomani, anzi, il giorno stesso, quando eravamo davanti alle immagini sconvolgenti e affascinanti insieme che ci investivano dai teleschermi, avessimo tenuto a bada la emotività, non avessimo abboccato all’immane gioco di prestigio, se avessimo avuto la pazienza di aspettare, il sangue freddo di dubitare, di vagliare parole e immagini, nel confronto tra ciò che è plausibile credere e ciò che altri vogliono farci credere, allora forse quel meccanismo infernale si sarebbe almeno rallentato.
Giocarono allora, contro questa prudenza della ragione, un pregiudizio politico, un pregiudizio religioso, la fiducia ancora acritica nelle immagini, l’impossibilità morale di pensare altrimenti. La pornografia mediatica per immagini truffaldine aveva avuto modo di squadernarsi ai tempi dei sanguinosi conflitti balcanici, con una propaganda infame ma anche troppo grossolana per offuscare la lucida lettura di una guerra di stupefacente scelleratezza in cui fummo vergognosamente anche coinvolti, grazie a politici di rango ancora impunemente sulla cresta dell’onda.
Ci vollero le successive micidiali decisioni belliche statunitensi, prese sotto i paramenti della vendetta benedetta da Dio e dunque sacrosanta in senso letterale, troppo sfacciatamente arbitrarie, con tutta la loro arrogante inconsistenza logica e morale, per cominciare a minare in alcuni, ma ancora pochi, il dubbio di essere stati inconsapevoli spettatori di una criminale messinscena.
Ma la sbornia emotiva era stata ormai incorporata dalla massa e si era solidificata in una certezza incrollabile, sostenuta dalla paura di una verità troppo disturbante, che allontana il coraggio del disincanto.
Oggi, a distanza di più di vent’anni, les jeux sont faits. Neppure i diretti interessati, i milioni di americani che hanno subito una tragedia e una beffa scandalosa sono in grado di scoprire quello spaventoso scheletro che imputridisce nel loro armadio, le chiavi del quale sono tenute da un manipolo di malfattori, maschi, femmine o di altri generi, che continuano a rappresentare una minaccia e uno scandalo perpetui per l’intera umanità.
Quell’inganno globale, come è stato definito giustamente l’immane attentato ben riuscito alla vita di migliaia di individui, doveva dare il via alla premeditata mattanza irachena e afgana, prima di altre abominevoli mattanze. Quell’inganno globale era il banco di prova di una perversione culturale e politica capace di fagocitare senza ritegno il destino di interi popoli come degli individui, e spesso con il loro diligente e ottuso concorso.
Soprattutto nella economia del nemico oggettivo, che deve giustificare e tenere alta la tensione emotiva, dopo i sovietici entrava ora trionfalmente il fondamentalismo islamico, capace di fornire alla nuova guerra di religione “la rabbia e l’orgoglio” necessari per obnubilare la coscienza di una onesta e passionale intellettuale sinistroide come quella più umbratile del giornalista di nicchia passato dalla militanza marxiana a quella nella Cia, e che, come tutti i convertiti, ostenterà una devozione imperitura per il culto occidentale e i suoi potenti sacerdoti.
Più in generale, il senso di giustizia, con cui abbigliamo l’istinto di vendetta tenuto sempre vivo come un fuoco eterno sotto la cenere, si accese insieme al bisogno di compensazione che esso porta con sé.
La rappresentazione dell’undici settembre è risultata plausibile nonostante i suoi macroscopici paradossi, dal mancato intervento dei caccia nel cielo più controllato del mondo, alla impossibilita per aerei di linea di volare a bassa quota a 900 km orari e centrare un bersaglio relativamente piccolo, alla polverizzazione di enormi costruzioni di acciaio in dieci secondi per un incendio circoscritto, alla misteriosa caduta sempre in dieci secondi del terzo colossale edificio non colpito da nulla, al fantastico buco di cinque metri fatto dal terzo aereo nel Pentagono senza lasciare poi traccia di sé, alla scomparsa nel nulla sotto terra del quarto aereo. Tanto per ricordare qualche insignificante mistero di quella vicenda costruita come verità pubblica, ovvero come ciò che la comunità teleguidata deve credere. Perché la menzogna pubblica e la verità pubblica sono evidentemente le due facce indissolubili della stessa medaglia.
Come dicevamo, gli eventi successivi impietosamente misero in luce la mancanza di nessi logici tra i fatti raccontati e le conseguenze allestite con pretesti di plateale impudenza.
A fronte della folle delittuosità delle guerre messe in piedi ancora una volta dalle presunte vittime, di quelle vere pochi continuarono ad occuparsi, in attesa che la cancellazione della memoria le facesse inghiottire dal tempo. Invece, quanti non temevano di scoprire una verità troppo paurosa avevano già compreso la illogicità, ovvero la falsità di tutta la rappresentazione, mentre dalla insensatezza delle conseguenze prendeva corpo il dubbio sulla veridicità delle cause e sulla enormità omicida di una impalcatura illusionistica.
Tutta la vicenda si presenta tuttora come il paradigma archetipico della capacità del potere di dirigere e forgiare l’opinione pubblica attraverso i mezzi tecnici e l’arretramento emotivo delle attitudini critiche. Infatti, anche un intero popolo, di fronte al timore di doversi riconoscere vittima di un potere capace di tutto, di dovere affrontare il viso impietoso di una verità troppo penosa da sopportare, può scegliere, al pari del singolo individuo, di eludere la crudezza della evidenza.
Se si chiede a un cittadino americano chi ha distrutto le torri gemelle risponderà ancora oggi che sono stati i terroristi islamici guidati da Bin Laden; così, se si chiede ad un tedesco chi ha distrutto i gasdotti, risponderà che sono stati i russi; e se si chiede ad un italiano plurivaccinato se davvero la sostanza che gli hanno iniettato, la cui composizione è tuttora coperta dal segreto militare, sia stata capace di evitare i contagi, perché sia stata sostituita alle cure, se ne conosca la gravità degli effetti nocivi o addirittura letali, risponderà con esemplare vigore logico che un vaccino ha debellato la poliomielite. Insomma, se una automobile può viaggiare a 150 chilometri orari, lo può fare anche una bicicletta in quanto anch’essa di fatto è chiamata veicolo.
Eppure, il riconoscimento generalizzato della oggettività di un inganno globale, potrebbe forse minare definitivamente le basi malferme su cui si regge la scomposta arroganza di un potere che cerca di mantenere vive le proprie allucinazioni di egemonia universale indossando ancora gli abiti di scena di una civiltà democratica virtuale. Ma quella scomposta arroganza che si manifesta nella illogicità incomprensibile, ma sempre nefasta, di ogni sua intrapresa, ha intanto contaminato anche il modo di pensare degli imbambolati spettatori, i quali hanno assorbito quella stessa regressiva illogicità e sostituito al buon senso il manzoniano senso comune.
Ora dunque l’11 settembre torna a buon diritto alla memoria di molti con la nuova micidiale guerra tra Israele e i palestinesi, ma vi deve tornare anzitutto perché rappresenta il modello di una ragione politica degenerata e del deperimento indotto delle capacità critiche individuali; dell’asservimento dei mezzi di comunicazione ai poteri che, arruolandoli, li mantengono in vita; della possibile costruzione delle cause in vista di predisposte conseguenze, oppure dello sfruttamento insensato e irresponsabile delle ideologie religiose, qualche volta alimentate, qualche volta manovrate; nel generale ripudio della ragione e della misura e della onestà di intenti che dovrebbero essere il segno primario della civilizzazione. Al loro posto agisce a tutti i livelli un attivismo disordinato e belluino, che si fa forte della diffusa moderna ottusità culturale per muoversi senza freni inibitori dopo l’eliminazione sistematica di ogni argine morale, dietro ai carri armati degli eserciti mediatici.
Intanto, ancora una volta l’accensione emotiva serve ad allontanare la lettura complessiva e spassionata della realtà, la comprensione dei fatti e degli antefatti, la comprensione della storia e della dissennatezza del potere, che nel delirio di onnipotenza ha perduto fatalmente anche l’idea del bene e del male.