La morte di papa Benedetto XVI segna un evento epocale. Nel libro intervista Ultime conversazioni, pubblicato nel 2016, tre anni dopo la rinuncia al pontificato, il giornalista e scrittore tedesco Peter Seewald, pose al papa emerito questa domanda: “Lei conosce la profezia di Malachia, che nel medioevo compilò una lista di futuri pontefici prevedendo anche la fine del mondo, o almeno la fine della Chiesa. Secondo tale lista il papato terminerebbe con il suo pontificato. E se lei fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo conosciuto finora?” La risposta di papa Ratzinger è sorprendente. “Tutto può essere. Probabilmente questa profezia è nata nei circoli attorno a Filippo Neri. A quell’epoca i protestanti sostenevano che il papato fosse finito, e lui voleva solo dimostrare, con una lista lunghissima di papi, che invece non era così. Non per questo, però, si deve dedurre che finirà davvero. Piuttosto che la sua lista non era ancora abbastanza lunga!”.
Le profezie di Malachia sono un testo pubblicato a Venezia nel 1595 da un monaco benedettino, Armand de Wion, attribuito al santo vescovo Irlandese Malachia, amico di san Bernardo di Chiaravalle, vissuto agli inizi del XII secolo, in cui vengono elencati 111 papi, a partire dal 1143, poco prima della morte del santo irlandese. L’ultimo dei 111 della lista è Joseph Razinger. Come dice Seewald, l’ultimo dei papi, in quanto finirebbe la Chiesa stessa, oppure “l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo conosciuto finora”. E in effetti, l’attuale vescovo di Roma, Jorge Mario Bergoglio, che da 9 anni non vive negli appartamenti pontifici, ma nel residence di santa Marta, da anni si è significativamente discostato da stili, contenuti, dottrine dei suoi predecessori.
Ma relativamente al dopo Benedetto XVI, cioè dopo l’ultimo dei papi dell’elenco di Malachia, cosa dice la profezia? “Durante l’ultima persecuzione di Santa Romana Chiesa siederà Pietro Romano che pascerà il gregge in mezzo a molte tribolazioni; terminate queste, la città dei sette colli sarà distrutta, e il terribile Giudice giudicherà il suo popolo. E così sia”.
E’ papa Bergoglio Pietro il romano che pascerà il suo gregge tra molte tribolazioni? Non lo sappiamo. In realtà la profezia di Malachia parla di Pietro il Romano, Pietro II, che porterà alla fine il nome del primo pontefice, ma non lo indica come un centododicesimo, ma come l’ultimo. Quindi, teoricamente, ci potrebbero essere altri papi fra il numero 111, De gloria Olivae, e Petrus Romanus. Saremmo quindi entrati in una fase particolare della storia dei papi e della Chiesa.
Di sicuro ciò che abbiamo visto negli scorsi nove anni ha rappresentato una situazione molto particolare, come non si vedeva da secoli: la compresenza di due papi. Un fatto assolutamente straordinario. E in effetti nel medioevo la presenza di due papi significava che in realtà uno di loro fosse un antipapa.
Sulla presenza contemporanea di due papi nei tempi ultimi del mondo aveva parlato una veggente tedesca, Anna Katharina Emmerick, che tra il 1819 e il 1824, anno della sua morte, dettò allo scrittore Clemens Brentano le descrizioni delle visioni che aveva ricevuto.
Anche alla grande santa medievale Ildegarda di Bingen, contemporanea di Malachia, è attribuita una profezia secondo la quale nei tempi ultimi vi saranno due papi. Il primo cadrà sotto i colpi di un cardinale geloso che diventerà antipapa, il secondo sarà l’ultimo della storia, il più santo di tutti.
In effetti il passaggio di consegne tra Benedetto XVI e il suo successore è avvenuto in circostanze particolari, che hanno suscitato stupore ed emozione. Pur vivendo nell’ipertecnologico mondo del XXI secolo, molti avevano notato anche dei segni misteriosi e inquietanti che hanno accompagnato questo passaggio.
Il primo segno fu il fulmine che colpì il crocifisso sulla cupola di San Pietro durante un temporale alle 17,56 dell’ 11 febbraio 2013, il giorno in cui Benedetto XVI annunciò le proprie dimissioni. Il fatto venne documentato da un fotografo dell’agenzia Ansa, e la foto divenne famosissima.
Il secondo segno è del 26 gennaio 2014, non meno significativo: papa Francesco al termine della preghiera dell’Angelus liberò nel cielo sopra san Pietro due bianche colombe, che subito vennero attaccate da un gabbiano (bianco) e un grosso corvo (nero). Quella attaccata dal corvo venne uccisa di fronte alle migliaia di presenti nella piazza.
Un anno prima, nel gennaio 2013, anche Benedetto XVI dalla stessa finestra aveva liberato una colomba, attaccata anch’essa da un gabbiano, che si era salvata rientrando nell’appartamento papale. Una differenza che può far pensare.
In altri tempi questi eventi avrebbero assunto un forte significato simbolico. La colomba è da secoli uno dei simboli più importanti della Chiesa: simbolo di pace, ma anche dello Spirito Santo, la cui azione sembrerebbe – in chiave simbolica- essere aggredita da esseri voraci e spietati come un rapace.
Al di là di questi piccoli fatti, resta la realtà di una Chiesa che non gode di buona salute. Una realtà certamente non di oggi. Il 29 giugno del 1972 – solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo, durante l’omelia che segnava l’inizio del suo decimo anno di Pontificato – papa Paolo VI affermò con tristezza di avere la sensazione che “da qualche fessura era entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”.
Dal resoconto di quella storica omelia, curata dalla Santa Sede nella pagina web dedicata a Papa Montini, leggiamo: “Si direbbe che da qualche misteriosa, no, non è misteriosa, da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. (…) La scuola diventa palestra di confusione e di contraddizioni talvolta assurde. Si celebra il progresso per poterlo poi demolire con le rivoluzioni più strane e più radicali, per negare tutto ciò che si è conquistato, per ritornare primitivi dopo aver tanto esaltato i progressi del mondo moderno”.
La Chiesa per Paolo VI è dunque intossicata dal “fumo di Satana“. Come vi è entrato? Il papa ha sempre più evidente che c’è qualcosa di profondo e negativo che inizia ad affliggere la Chiesa. E’ forse il primo momento in cui il papa avverte seriamente che la via del secolarismo e la mancanza di unità interna stiano diventando due grossi problemi per la Chiesa. La fessura è da ricercarsi nel post Concilio. “Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza… Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli…”.
Lo scenario descritto da Paolo VI col passare degli anni è andato peggiorando. Dopo l’entusiasmo del dinamico pontificato di Giovanni Paolo II, in cui si è assistito al crollo dei muri, alla fine dell’Unione Sovietica, alla fine della Guerra Fredda, il nuovo millennio si è aperto con nuove gravi crisi internazionali, con l’emergere di un terrorismo islamista globalizzato, con l’evento drammatico anche da un punto di vista dell’immaginario collettivo dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, alle nuove migrazioni dalle dimensioni quasi bibliche, e infine alla pandemia da Covid con relativa gestione “emergenziale” con molti Paesi che hanno introdotto legislazioni illiberali, e col Vaticano che ha sposato in toto la narrazione mainstream.
Nella Chiesa sono emerse nuove criticità, come gli scandali sessuali del clero. Nuove, ma forse in realtà antichissime: erano quelle contro cui si era scagliato il profeta biblico Malachia, e che il suo omonimo irlandese tanti secoli dopo si era sforzato di sanare con la parola, con i gesti, con l’esempio.
Se la presenza del fumo di Satana era stato segnalato con dolore e preoccupazione da Paolo VI, oggi sembra che la Chiesa si sia rassegnata a conviverci. Secondo molti anche ad alimentarlo. Le dimissioni di Benedetto XVI sono apparse come una resa di fronte a queste insormontabili difficoltà.
Se la profezia di Malachia annunciava già da secoli questi fatti, è a partire dal XIX secolo che si è cominciato ad avere eventi soprannaturali che annunciavano tempi drammatici per la Chiesa. Nel 1846 la Madonna apparve in una località delle Alpi francesi, La Salette, e tra i messaggi che lasciò ai veggenti c’era quello secondo cui Roma avrebbe perso la fede e sarebbe diventata la sede dell’Anticristo, e che malvagità e perversione si sarebbero diffuse sempre di più. Il messaggio sulla perdita di fede di Roma era terribile, e benché la Chiesa abbia riconosciuto queste apparizioni e consentito la devozione alla Madonna di La Salette, il messaggio in questione venne ridimensionato e quasi occultato.
Era una tremenda rivelazione: la Chiesa avrebbe conosciuto lacerazioni profonde e persino il caos: vescovi contro vescovi, cardinali contro cardinali, mentre il papa terrorizzato sarebbe fuggito dal Vaticano.
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un profetismo di sventura esagerato, una visione cupa di una Chiesa che è invece chiamata a essere portatrice di speranza. Tuttavia questi temi vennero ripresi settant’anni dopo in una delle più celebri e importanti apparizioni mariane della storia, quella di Fatima. Ancora una volta l’umanità veniva richiamata all’urgenza del pentimento, della riparazione, della conversione, al fine di evitare di percorrere la china che porta all’autodistruzione del mondo.
Prima di questa catastrofe, tuttavia, sembra che verrà una crisi gravissima della Chiesa. Forse le profezie di Malachia riguardano in primo luogo la fine della Chiesa, e non la fine del mondo. Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il “mistero di iniquità” sotto la forma di un’impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne. E’ il tempo dell’impostura anti-cristica, che dopo la morte di Benedetto XVI potrebbe dilagare nel mondo.
2 commenti su “Joseph Ratzinger: è lui “l’ultimo” di Malachia?”
Molti anni fa il mio maestro del mese ignaziano mi confido’ che quando ” un papa nero ” verrà eletto questo sarà il segno della fine della chiesa cattolica. Il papa nero non è, come diceva una simpatica canzonetta dei tempi andati, una persona di colore ma, come tutti ben sanno in ambiente ecclesiastico, un gesuita.
Tant’è che il generale dell’ordine viene chiamato ” papa nero” .
E terminò questa profezia dicendomi ” io non lo vedrò ma tu si” In effetti lui è tornato alla casa del Padre ed io sono qui, insieme a tutti voi, ad assistere allo scempio. La preghiera è l’unica strada
Sono d’accordo con lei, però vorrei chiederle una cosa: è stato o no Paolo VI il più grande distruttore della Chiesa? è stato o no massone? Don Vigna incaricato da Padre Pio e addirittura da Pio XXII di scoprire la Massoneria all’interno della Chiesa è stato un mentitore ? è stata o no celebrata una messa nera il 29 giugno 1963 una settimana dopo l’intronizzazione al Papato di Paolo VI nella Cappella Paolina, riconsacrata poi da Benedetto nel 2009 ? il fumo di Satana Paolo VI l’ha scoperto giusto solo nove anni dopo nello stesso giorno ? è troppo scandaloso dire queste cose ? bisogna occultarle ? di fatto però non si nomina più Don Vigna, sembra non sia mai esistito.