L’eredità più tremenda e duratura del Novecento, il secolo delle ideologie, è il marchio di maledizione che segna gli sconfitti, gli uomini che hanno combattuto dalla parte sbagliata. Maledetti a prescindere e senza appello perché hanno creduto, hanno vissuto e sono morti per le rivoluzioni nazionali che tentarono l’ultima battaglia contro la modernità. Chiamate genericamente “fascismi”, queste esperienze vanno oltre la cronaca politica degli anni tra le due guerre mondiali: al cospetto della dissoluzione del mondo moderno e dei suoi derivati, mostrano anzi che i loro contenuti sono stati condannati soltanto dalla storia scritta dai vincitori. Con la serie “Maledetti vi amerò” (iniziata con il ritratto di Corneliu Zelea Codreanu) Ricognizioni intende rendere omaggio alla vita e all’opera degli uomini che ne furono i protagonisti.
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“Miguel, help me to die with dignity”, il mattino del 20 novembre 1936, José Antonio Primo de Rivera, si era rasato e vestito con cura: lo attendeva il plotone d’esecuzione. Quando lo incontrò per l’ultimo saluto, il fratello Miguel non riuscì a nascondere le emozioni e il dolore. Fu allora che José Antonio gli disse in inglese, per non essere capito dai secondini, “Miguel, aiutami a morire con dignità”. Alle 6.45, in un cortiletto interno del carcere, davanti al plotone di esecuzione lo aspettavano due falangisti e due requetés carlisti, condannati a morte con lui. Prima di prendere posto contro il muro, chiese al direttore del carcere di far lavare le tracce di sangue affinché non le vedesse il fratello. Abbracciò infine i suoi camerati, esortandoli ad avere animo. Sotto l’abito aveva un crocefisso e lo scapolare della Vergine della Mercede. Fu fucilato come “nemico del popolo”.
Nobiltà andalusa e castigliana
José Antonio Primo de Rivera nasce a Madrid il 24 aprile 1903, primogenito di sei figli di una famiglia aristocratica. Il padre, don Miguel Primo de Rivera, era marchese di Estella, di antica nobiltà guerriera andalusa; la madre, donna Casilda Saenz de Heredia, di nobiltà castigliana.
Dopo studi privati si iscrive nel 1917 alla facoltà di giurisprudenza a Madrid. I de Rivera sono più nobili che ricchi, così José Antonio si trova un lavoro di corrispondenza in inglese per una fabbrica di automobili.
Nel 1922, terminati gli studi, si arruola in cavalleria nel reggimento Dragoni di Santiago. Nel 1923 le sconfitte subite dai ribelli marocchini nella colonia africana, indeboliscono la monarchia di Re Alfonso XIII. Di questo approfittano i separatisti baschi e catalani, affiancati da anarchici e socialisti. Si apre una stagione di sangue, costellata di attentati e omicidi. Il 12 settembre 1923 il padre di José Antonio, Capitano Generale della Catalogna, solleva la sua guarnigione, affronta i separatisti, marcia su Madrid e scioglie governo e parlamento. Il 23 settembre il Re gli conferisce i pieni poteri.
José Antonio è ora negli Ussari, dove diventa ufficiale, e qui termina la ferma militare. Nel 1925 apre uno studio a Madrid e in meno di due anni si impone come avvocato di alto profilo. Il decano degli avvocati della capitale lo definirà “Una gloria del Foro spagnolo”. Sono anni di intensa e brillante vita sociale, tempo nel quale incontrerà l’unico amore della sua vita, una giovane e bellissima duchessa.
Decidono di sposarsi, ma la famiglia della fidanzata si oppone perché, secondo le regole dell’aristocrazia, la moglie acquisiva il titolo del marito. Sposando José Antonio, dunque, la giovane avrebbe disceso un gradino della gerarchia nobiliare: da duchessa a marchesa. Il matrimonio non si farà e José Antonio non avrà mai più una donna al suo fianco.
Nel 1928 riceve l’investitura di cavaliere dell’Ordine di Santiago. L’anno dopo, a seguito della crisi finanziaria internazionale (il “venerdì nero” di Wall Street), il padre cade in disgrazia. Presenterà le dimissioni al Re per andare in esilio volontario a Parigi, seguito da tre figli, dove morirà nel marzo 1930 in un modesto albergo. I successori del padre danno vita ad una monarchia costituzionale.
La situazione politica in Spagna
Josè Antonio aderisce alla “Unione Monarchica Nazionale” che si distingue per le istanze di giustizia sociale e la chiusura al liberalismo. Nelle elezioni dell’aprile 1931 vincono le liste monarchiche, ma i repubblicani conquistano tutte le principali città e scatenano la piazza.
Per non ordinare repressioni, Alfonso XIII il 14 aprile parte a sua volta per l’esilio in Francia mentre a Madrid, in un clima di esaltazione collettiva, la sinistra saluta l’avvento della Seconda Repubblica, dominata da comunisti e massoni.
In Spagna comincia a prendere forma l’opposizione al fronte rosso. Nel 1931 uno studente di Filosofia, Ramiro Ledesma Ramos, diffonde un manifesto nel quale si propugna la nascita di uno Stato nazional-sindacalista, contro il liberalismo conservatore e contro il comunismo. Quasi contemporaneamente, un giovane avvocato di Valladolid, Onesimo Redondo, dà vita alle “Juntas Castellanas d’Actuation Hispanica” (Gruppi castigliani d’azione ispanica) che raggruppa universitari e contadini anticomunisti.Benché distanti per temperamento e idee – Ramos era su posizioni laiciste, Redondo era cattolico tradizionalista – i due giovani leader uniscono le loro formazioni nelle J.O.N.S. (“Juntas de Offensiva National Sindacalista”).
José Antonio segue con simpatia la nascita del nuovo movimento senza però parteciparvi. Nell’estate del ’32 iene arrestato con l’accusa, infondata, di aver preso parte ad una sollevazione militare tentata da un amico di famiglia, il generale Sanjuro. Dopo qualche settimana è rilasciato, ma è ormai schedato come nemico del regime repubblicano. Dalla primavera all’estate del ’33, abbozza le linee di un nuovo movimento politico che battezza sulle prime “Movimento Español Sindacalista”. Cura la pubblicazione in lingua spagnola di alcuni testi mussoliniani e in ottobre incontra il Duce a Roma.
Nasce la Falange
Il 29 ottobre 1933 José Antonio Primo de Rivera fonda la “Falange Spagnola”. Nel novembre si tengono nuove elezioni politiche e viene eletto deputato. Nel dicembre nasce “FE”, il giornale del movimento, cui seguirà il settimanale “Arriba” .
Nel 1934 la Falange si fonde con le J.O.N.S. Questo dà inizio a una sanguinosa guerra di strada tra rossi e falangisti. José Antonio incontra il Generale Franco. Nell’ottobre scoppiano tumulti separatisti nei paesi baschi, mentre la Catalogna dichiara l’autonomia. Nelle Asturie 30.000 operai entrano in sciopero e prendono le armi. La rivolta delle Asturie è un teatro di atrocità. Sacerdoti vengono appesi a ganci da macellaio con la scritta “carne di porco in vendita”.
José antonio mobilita la Falange, al tempo, però, ancora poco organizzata. Il 6 ottobre si comincia a sparare anche a Madrid, ma il giorno dopo la rivolta rientra. José Antonio, per ridare coraggio alla popolazione, raduna i suoi per sfilare nelle strade della capitale. Partono in 200 e terminano la marcia in molte migliaia: la storia politica della Falange inizia quel giorno, 7 ottobre, anniversario della battaglia di Lepanto.
Nel 1935la Falange è attraversata da gravi dissidi. Una parte delle J.O.N.S., guidata da Ledesma Ramos, rivendica l’anima popolare del movimento contestando le idee e le origini aristocratiche di José Antonio, che è costretto, nel gennaio, a espellerlo. La spaccatura è gravissima, ma Josè Antonio riuscirà a controllare la situazione.
Il 15 dicembre le Cortes sono sciolte e nuove elezioni sono indette per il 16 febbraio dell’anno seguente. Contro il Fronte Popular delle sinistre, le destre schierano la Falange, il partito “Rinnovamento Nazionale” di Calvo Sotelo e la C.E.D.A. di Gil Robles, di ispirazione monarchica. Insoddisfatto per le condizioni poste dagli alleati, José Antonio decide di correre da solo e si presenta al collegio di Siviglia, ma non verrà eletto. Le elezioni sono vinte dal Fronte Popular.
La repressione del Fronte Popular
Il 27 febbraio 1936, per ordine del nuovo governo di Azana, il periodico “Arriba” viene chiuso. La vittoria elettorale dei rossi è seguita da violenze di ogni tipo e misura. Alla Camera, Calvo Sotelo le denuncia e fornisce le cifre: dal 17 febbraio alla metà di marzo, sono state incendiate 106 chiese di cui 56 completamente distrutte. Settantaquattro morti a seguito di aggressioni, 345 i feriti. Sotelo cita il giornale comunista “Claridad”: “Ci avviciniamo alle ultime conseguenze del nostro trionfo elettorale. Tornare alla legalità, come chiedono le destre? A quale legalità? Noi non ne conosciamo che una: la Rivoluzione”.
Il 14 marzo, José Antonio è arrestato con motivi pretestuosi e portato alla direzione generale di polizia dove redige immediatamente un proclama che fa filtrare all’esterno, nel quale si esortano gli spagnoli a “una pericolosa e gloriosa impresa di riconquista”. Il proclama termina con “Arriba Espana!”. Il manifesto circolerà per tutta Madrid fino alla scrivania di Azana. Il giorno dopo José Antonio è traferito nel carcere di Madrid insieme ai componenti della Giunta falangista.
Nel maggio 1936 inizia il primo processo per stampa clandestina, illegalità della Falange e porto d’armi abusivo. Ledesma Ramos, dopo il drammatico dissidio dell’anno precedente, si reca in visita al carcere di Madrid riconciliandosi con José Antonio.
Viaggio verso la morte
Il 28 maggio i giudici emettono una prima sentenza con la quale riconoscono la legalità della Falange, ma Azana veglia e la Cassazione annulla la sentenza. È fissato così un nuovo processo per il 5 giugno. José Antonio si difende senza avvocati e tutto sembra procedere per il meglio: la sua arringa ottiene un enorme successo e la seconda udienza è fissata per il 24 giugno. Ma Azana continua a vegliare: la sera stessa di quel 5 giugno, lui e il fratello Miguel sono invitati a prepararsi a partire. José Antonio capisce subito che è un viaggio verso la morte e lo dichiara apertamente agli astanti. Sono trasferiti nel carcere di Alicante, sordido e sporco, a 400 chilometri da Madrid.
Il 12 luglio Calvo Sotelo è assassinato da poliziotti governativi: un delitto di Stato. Dopo quest’episodio il generale Franco insorge con le sue truppe. È il 18 luglio 1936, data dell’Alzamiento, organizzato con i generali Josè Sanjuro ed Emilio Mola. Sotto il loro comando, le truppe coloniali del Tercio dal Marocco sbarcano in Spagna: è l’inizio della “Riconquista” che José Antonio aveva auspicato.
Onesimo Redondo, cofondatore delle J.O.N.S., è liberato dai nazionalisti dal carcere di Avila dove era detenuto. Redondo si arruola subito nelle file degli insorti e muore in battaglia pochi giorni dopo, il 24 luglio.
Lesma Ramos è a sua volta arrestato dopo l’Alzamiento, ed è fucilato dai rossi il 29 ottobre. Gli eventi segnano il destino di José Antonio. Consapevoli di questo, i camerati della Falange operano vari tentativi per liberarlo, compreso un fallito assalto alla prigione, da parte di una folla di giovani, che finisce in un massacro. Il 13 novembre inizia un nuovo processo, nel quale José Antonio è accusato di complicità con il generale Franco. La sentenza, cinque giorni dopo, condannerà a morte Josè Antonio e a trent’anni di galera il fratello Miguel. All’alba del 20 novembre, il fondatore della Falange è fucilato nel carcere di Alicante.
Dopo la vittoria dei nazionalisti, il suo corpo sarà sepolto accanto ai “Grandi di Spagna” nel monastero dell’Escorial, poderosa costruzione eretta per volere di Filippo II che, a partire dal 1575, ne fece la residenza reale con una cripta per le sepolture dei Re di Spagna e dei loro congiunti. Il primo a essere inumato all’Escorial fu l’imperatore Carlo V, padre di Filippo II. Ricordate quella famiglia “aristocratica”che temeva di sminuire la figlia dandola in sposa a José Antonio?
La salma restò vent’anni all’Escorial. Nel 1959 fu traslata nella Valle del los caidos (Valle dei caduti), immenso complesso voluto dal generale Franco, la cui costruzione era terminata in quell’anno, dove riposano non solo caduti nazionalisti della guerra civile ma, per volere dello stesso Franco, anche caduti repubblicani. Sulla lapide, il nome di battesimo: “José Antonio”. Nient’altro.
Politica e Cavalleria
José Antonio era nobile di nome e di fatto. Mussolini disse di lui: “Josè Antonio era uno degli spiriti più belli che io abbia mai conosciuto”. In virtù dell’educazione ricevuta e della sua più profonda natura, il fondatore della Falange era un hidalgo, un gentiluomo permeato dell’insegnamento secolare della Cavalleria cristiana, maestra di fede. Dal programma della Falange: “Il nostro movimento pone a fondamento del rinnovamento nazionale la coscienza cattolica, che ha in Spagna una gloriosa e predominante tradizione” (1).
Cavalleria maestra di servizio, secondo il motto “Noblesse oblige”, oggi banalizzatooltremisura. La nobiltà obbliga al coraggio, all’affermazione della verità, alla difesa del debole, alla cortesia e alla magnanimità, virtù che accompagnarono sempre l’avventura terrena di José Antonio, la cui vita fu un omaggio alla Cavalleria.
Visitando la cattedrale di Siguenza, in Castiglia, di fronte alla statua in alabastro di un giovane cavaliere con libro e spada, José Antonio dichiara: “Costui era un falangista del XV secolo. Sarà il simbolo che campeggerà sul gagliardetto della Falange locale”. Nel programma della Falange, all’atto della fondazione, si legge: “Coloro che entreranno in questa crociata dovranno apprestare il loro animo al servizio e al sacrificio. Dovranno considerare la vita una milizia: disciplina e rischio, abnegazione e rinuncia ad ogni vanità, all’invidia, alla pigrizia, alla maldicenza. E allo stesso tempo serviranno con letizia e baldanza”(2).
Il pensiero politico
La Falange non fu un movimento confessionale, benché José Antonio fosse cattolico praticante e frequentatore di esercizi spirituali. Fu una fraternità d’armi che la Fede, come una radice, nutriva ininterrottamente ma che, come le radici, non appariva.
Josè Antonio combatte in ugual misura comunismo e capitalismo. Il suo anticomunismo è profetico. Scrive:“Il bolscevismo potrà rassegnarsi a fallire nei suoi intenti di collettivizzazione rurale, ma non cede in ciò che più conta: nell’estirpare dal popolo la religione, nel distruggere la cellula familiare, nel materializzare l’esistenza” (3).
E non gli sfugge la consanguineità tra comunismo e capitalismo, entrambi mondi senza Dio. Così dipinge la buona borghesia progressista: “Coloro che si aggrappano sino alla fine al godimento di opulenze gratuite, quelli che ritengono più urgente la soddisfazione di ogni loro capriccio, del soccorso della fame del povero, questi interpreti materialisti del mondo sono i veri bolscevichi. Bolscevismo d’una spaventosa raffinatezza: il bolscevismo dei privilegiati” (4).
Il presupposto del suo pensiero politico è il rifiuto della società atea e materialista nata dall’Illuminismo, contro la quale egli oppone l’idea di una restaurazione dell’ordine cristiano, riportato a nuova vita da una fortissima aspirazione alla giustizia sociale. José Antonio non fonda un’ideologia, né si identifica in quella fascista, pur condividendo con essa “punti fondamentali”, come scriverà nel ’34.
Nel suo pensiero, il concetto di “rivoluzione” si riappropria dell’antico significato latino: da revolvere, ricondurre indietro. Così, alle novità pensate per distruggere, José Antonio oppone verità antiche per costruire: “Dobbiamo dare avvio alla costruzione di un ordine nuovo cominciando dall’uomo, dall’individuo, come occidentali e come cristiani. Dobbiamo cominciare dall’uomo e procedere mediante unità organiche. Saliremo così dall’uomo alla famiglia, dalle famiglie al municipio e quindi al sindacato, per culminare nello Stato che sarà l’armonia di tutto” (5).
Un ordine di idee che lo conduce a combattere la democrazia, laboratorio perpetuo di dissoluzione. “Il suffragio, questa forza dei pezzetti di carta introdotti in un’urna di vetro, ha la virtù di dirci in ogni momento se Dio esiste o non esiste, se la verità è la verità o non lo è, se la Patria debba esistere o se sia preferibile che in un dato momento si suicidi” (6).Riserva lo stesso disprezzo ai parlamenti, visti come depositi di sporcizia morale: «Noi non vogliamo disputare agli abitudinari i resti insipidi di un sudicio banchetto. Anche se talvolta transitiamo per quei luoghi, il nostro posto è fuori di là. Il nostro posto è all’aria aperta, sotto la notte limpida, arma al braccio e nel cielo le stelle. Che continuino gli altri nei loro festini. Noi, fuori, in vigilanza attenta, fervida e sicura, già presentiamo l’alba nell’allegria dei nostri cuori” (7).
Nel suo pensiero, la vita politica segue quindi le stesse leggi della vita: essa deve essere “Milizia” secondo la legge di Dio. José Antonio sa però che l’uomo è libero di scegliere tra il bene e il male e che non vi è progetto politico che abbia il potere di garantire il primo e cancellare il secondo. Poiché il paradiso è altrove, José Antonio non offre, come Marx, ricette per un paradiso in terra. Egli piuttosto scende in campo perché in terra non irrompa l’inferno.
Nell’ottobre del 1933, José Antonio convoca una riunione privata in casa di un amico aviatore per dare forma definitiva al nuovo movimento che fino allora aveva chiamato “Movimento Español Sindacalista”. Il nome definitivo, “Falange”, sarà ufficialmente annunciato il 29 ottobre, nel discorso di inaugurazione al teatro “de la Comedia” a Madrid, insieme all’obiettivo: “Bisogna realizzare la rivoluzione nazionale, nella direzione della giustizia sociale e della grandezza della Spagna”. “
Due mesi più tardi, il 7 dicembre, è fondato il giornale del movimento, “FE”, sul quale appaiono i primi nove punti della dottrina falangista che diventeranno ventisette nella loro stesura finale, nel novembre del ’34. La fortissima aspirazione alla difesa del popolo contro la rapacità del capitalismo, favorisce subito un’intesa tra José Antonio e le J.O.N.S., per divenire poi alleanza strutturale: nel 1934, quando i due movimenti si fondono nella “Falange Española de las J.O.N.S”.
Le J.O.N.S. avevano per simbolo il giogo e le frecce dei Re cattolici, Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia; il loro grido di battaglia era “Arriba Espana!”. Diventeranno la bandiera e il motto della Falange.
Le J.O.N.S., fondate nel 1931 da Ramiro Ledesma Ramos e Onesimo Redondo, erano espressione del sindacalismo rivoluzionario, movimento nato in Francia all’inizio del secolo, che propugnava l’autonomia politica dei sindacati, il rifiuto della democrazia parlamentare, la nazionalizzazione delle banche e la socializzazione delle imprese, cioè la compartecipazione degli operai agli utili. Le J.O.N.S. avevano preso subito le distanze dalle venature anarchiche e socialiste che attraversavano il sindacalismo rivoluzionario europeo e si erano dichiarate nemiche tanto del capitalismo quanto del marxismo, considerati due facce della stessa medaglia.
La Falange era nata con le stesse idee. Tra i 27 punti programmatici della Falange, si legge al punto 10: “Ripudiamo il sistema capitalistico perché misconosce i bisogni del popolo, disumanizza la proprietà privata, agglomera i lavoratori in masse informi soggette alla miseria e alla disperazione. La nostra impostazione spirituale e la nostra coscienza nazionale ripudiano anche il marxismo. Noi orienteremo l’impeto delle classi lavoratrici, oggi traviate dal marxismo”. Punto 11: “Lo stato nazional-sindacalista (…) non resterà impassibile davanti all’oppressione delle classi più deboli da parte della classe più forte”. Punto 12: “È intollerabile che enormi masse vivano in miseria mentre un piccolo gruppo gode di ogni lusso immaginabile”. Punto 13: “Lo Stato riconoscerà la proprietà privata come mezzo legale per raggiungere i fini individuali, familiari e sociali. La proteggerà contro le aggressioni del grande capitalismo, degli speculatori e degli usurai.”(8) Armati di queste idee, i falangisti scesero in campo nella più sanguinosa guerra civile del XX secolo, fornendo all’armata nazionalista 15.000 combattenti.
In memoria
Il mattino del 20 novembre 1936, José Antonio Primo de Rivera morì come si era preparato da tempo a farlo:“Miguel, help me to die with dignity”, “Miguel, ayúdame a morir con dignidad”. Un anno prima, nel corso dei suoi viaggi lungo la Spagna per i comizi, era passato per il borgo di El Busto, in Navarra. Al vederlo, un pastore gridò: “Viva il nostro capo! Evviva i cuori onorati!”. Uditolo, Josè Antonio Primo de Rivera, marchese di Estella, corse ad abbracciare un povero pastore di pecore. Questa era la sua dignità
Note
1) Cfr. J.A. de Rivera “Scritti e discorsi di battaglia” a cura di Primo Siena, edizioni Settimo Sigillo, Roma 1993, seconda ed. p.148. Punto 25 o del programma definitivo della Falange, pubblicato un anno dopo la fondazione, nel 1934.
2) Ibid., p.127. Punto IX del programma iniziale della Falange, pubblicato all’indomani della fondazione sul n.1 di FE, 7 dicembre 1933.3) Ibid.,p.188. Dall’articolo di Josè Antonio “Il bolscevismo”apparso sul quotidiano A.B.C., 31 luglio 1935.
4) Id.
5)J.A. de Rivera, op.cit.,p.169.Discorso sulla rivoluzione spagnola pronunciato il 19 maggio 1935 al cinema “Madrid”, nella capitale.
6) Ibid., p.115. Discorso per la fondazione della Falange tenuto al “Teatro de la comedia” a Madrid il 29 ottobre 33.
7) Id. Passaggio finale del discorso
8) Cfr. J.A. de Rivera, op.cit., p.145
3 commenti su “José Antonio Primo de Rivera, la nobiltà della lotta politica”
che bello
L’uomo nuovo era in realtà l’uomo antico, “rivoluzionario” perché era necessario tornare all’ordine dell’origine.
Articolo più che degno nella celebrazione di un grande. Il Duce, come al solito, aveva visto bene.
Non ho commenti adatti a questa storia che presenta uomini TALMENTE STRAORDINARI, ECCELLENTI, ONESTI, CORAGGIOSI, DA RITENERLI “SANTI”…..