di Roberto Pecchioli
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Paul Roesch, nonostante il nome, è un cittadino italiano. E’ sindaco della città di Merano, appartiene al movimento dei Verdi– Die Gruene – (il bilinguismo…), è il primo ad avere battuto, dopo settant’anni, la SVP, il partito di raccolta etnica della popolazione di lingua tedesca che governava la città dal dopoguerra, insieme con i democristiani locali. Recentemente, ha avuto il suo quarto d’ora di notorietà nazionale facendosi fotografare mentre lustrava le scarpe ad un “migrante” dell’Africa equatoriale. Fu davvero profetico Andy Warhol, l’icona della pop art, quando affermò che ognuno, nel mondo moderno, avrebbe avuto quindici minuti di celebrità: in fondo, i quarti d’ora sono novantasei al giorno.
Un italiano vero, a prova di Toto Cutugno, il sudtirolese sinistrorso e germanofono, subito sommerso dalle critiche dei suoi concittadini, la cui principale colpa è di averlo eletto. Nel 1985, i popolari scrittori torinesi Fruttero e Lucentini raccolsero in un libro tredici anni di interventi sul quotidiano La Stampa, con il titolo La prevalenza del cretino. Italianissimi anche loro, gli autori della Donna della domenica coglievano nel segno. Noi tuttavia crediamo nella prevalenza, dalle Alpi al Mediterraneo, di un’altra figura assai diffusa, il lustrascarpe, appunto. Sarà per la forma stessa della nostra terra, lo Stivale, ma il lustrascarpe è una costante della storia patria. Il buon Paul Roesch non è che l’ultima incarnazione della categoria.
Il grande scrittore Jack London, quello che teorizzò il “fardello dell’uomo bianco” civilizzatore benché colonialista, fu lustrascarpe in gioventù, e, giusto per rimanere in ambito letterario, Sam Weller, arguto protagonista del Circolo Pickwick, venne assunto come maggiordomo da Mister Pickwick dopo una lunga carriera di lustrascarpe. Fino all’inizio degli anni 80, all’esterno della stazione di Porta Nuova a Torino un piccolo gruppo di anziani dall’aspetto di valligiani con una divisa nera dai risvolti rossi svolgeva coscienziosamente il medesimo servizio, assai apprezzato dai danarosi subalpini.
Nessun pregiudizio contro chi si guadagna onestamente il pane lucidando le calzature altrui, meglio ancora se sono stivali, dalla superficie più estesa. Il fatto è che troppo spesso l’Italia è stata ed è il paese ed il paradiso degli sciuscià. Certo, non del piccolo sfortunato Pasquale Maggi nel film di Vittorio De Sica, manifesto del neo realismo e premio Oscar nel 1946. Tuttavia, fa male sapere che il termine sciuscià è l’italianizzazione artigianale di “shoe shine”, lustrascarpe appunto, nella lingua dei liberatori. Che gradirono molto l’ampia disponibilità degli italianuzzi alla pulizia degli scarponi ed anche a troppo altro, come rivelò Curzio Malaparte nella “Pelle”. Il fatto è che l’atto di lustrare le scarpe è un simbolo disgustoso di servilismo nonché di riconoscimento di inferiorità.
Per questo il gesto del sindaco altoatesino è così triste ed insieme carico di significati. Nello specifico, tra i quarantamila e più suoi amministrati, Herr Roesch avrebbe potuto compiere lo stesso gesto, unito all’aiuto concreto, verso un meranese povero, magari malato o disabile. No, le scarpe appartenevano ad uno dei tantissimi pasciuti giovani uomini neri muniti di telefonino e cuffie che ciondolano per le nostre città, e che non possiamo neppure chiamare clandestini, giacché sono stati condotti nel territorio italiano dalle navi militari che incrociano il Mediterraneo a supporto di scafisti, allertati dalle ricche ONG che possiedono navi da alto mare. Abbiamo capito, borgomastro Roesch, ma avevamo tutto chiaro già quando il vescovo di Roma Bergoglio lavò i piedi in San Pietro a vari migranti, tutti rigorosamente non cristiani. La cerimonia ricorda il giovedì santo, e la lavanda dei piedi di Gesù ai suoi discepoli, non a passanti qualunque, in quello che era il gesto doveroso dello schiavo nei confronti del padrone rientrato a casa da campi e strade fangose.
Sì, anche papa Francesco si comporta come un lustrascarpe del potere dominante, amato com’è dal mondo ateo, laico ed anticristiano, convinto che Dio non è cattolico, e che nessuno può giudicare, come cantava Caterina Caselli mezzo secolo or sono. A lui non è toccato il rifiuto vergognoso dell’Università romana, chiamata La Sapienza, che impedì a Benedetto XVI di parlare nella sede della cultura. L’argentino è stato ricevuto con tutti gli onori riservati a uno di casa, ed ha ricambiato con un discorso in cui mai ha pronunciato la parola Dio o nominato Gesù. Questo è il problema dei lustrascarpe: sono ampiamente muniti di spazzole e lucido di vari colori e tipi, a seconda delle calzature da trattare, ma non possono sgarrare. Guai a loro, è in agguato un concorrente, magari inviato attraverso l’apposita applicazione, la magica app della multinazionale di turno, come Uber che strozza i tassisti.
In Italia non è sfuggito nessuno alla sindrome del lustrascarpe: negli anni Venti del Novecento, gli squadristi prendevano di mira Nicolino Bombacci, che finì poi per morire ucciso nel 1945 da fedelissimo del Duce, cantando “Della barba di Bombacci ne faremo spazzolini, per pulire gli stivali di Benito Mussolini”. Chissà che tra loro non ci fosse qualcuno di quelli che, nella disfatta, parteciparono alla macelleria messicana di Piazzale Loreto (parola di Ferruccio Parri). Sì, perché i lustrascarpe più accorti non hanno un unico cliente, e cambiano sovente bandiera.
A Milano, per esempio, la giunta comunale di sinistra ha lustrato le scarpe alla multinazionale Usa Strarbucks, unica partecipante al bando per la risistemazione di Piazza del Duomo. Come elefanti in cristalleria, gli statunitensi hanno piantumato attorno al gioiello gotico e sotto la Madonnina una sorta di bosco di palme africane. Ignoranza, arroganza padronale amerikana, o onesto anticipo di un futuro ormai prossimo? Ricordiamo tutti le immagini dei mussulmani chini a pregare nella piazza e sul sagrato del Duomo.
Alberto Arbasino, brillante scrittore, uomo di mondo ed acuto osservatore del costume nazionale riconobbe la prevalenza del lustrascarpe nella casta intellettuale con una battuta fulminante. La giovane promessa diventa “venerato maestro”, ma, all’occorrenza, e per opera delle stesse persone, “solito stronzo”. Il nostro carattere nazionale, inutile nasconderlo, è quello di un popolo di camerieri desiderosi di indossare la livrea del padrone di turno, stendere tappeti rossi sul suo cammino e rendere lucidi come specchi stivali e mocassini. Convinto di essere furbissimo, il genoma nazionale italiano è tendenzialmente infedele, e, mentre lustra con indubbia maestria le scarpe dei potenti, si applica a trarre beneficio dall’ostentata fedeltà e, con la mano libera, già traffica con gli avversari del padrone in carica, come la maschera di Arlecchino.
Alcuni dei più scalmanati sostenitori di Silvio Berlusconi si sono distinti in questa dubbia arte: pensiamo a Sandro Bondi e ai tanti che sbavavano attorno al Cavaliere, lesti a sferrargli il calcio dell’asino quando il vento ha cambiato direzione. Nessun grande uomo è davvero tale, peraltro, per il suo cameriere, che ne conosce fatti e misfatti. Come i topi fuggono dalla nave prima del naufragio, i lustrascarpe migliori sono valenti meteorologi, fiutano il vento con istinto sicuro e posizionano l’attrezzatura accanto ai piedi giusti con un attimo di anticipo.
Quando il PCI, a metà degli anni 70 vinse le elezioni amministrative e sembrava travolgere ogni ostacolo, restò famosa la foto di una manifestazione moltitudinaria in cui accanto ad Enrico Berlinguer c’era il noto musicista Severino Gazzelloni che suonava il flauto. Il pifferaio di Hamelin de noantri suonava Bandiera Rossa a fianco del severo leader sardo. In quegli anni, iniziava una brillante carriera di lustrascarpe un giovane attore magro e travolgente, Roberto Benigni. Un suo film giovanile si intitolò Berlinguer ti voglio bene, i suoi baci e abbracci sguaiati avvolsero più volte l’uomo di Botteghe Oscure, personaggio tutt’altro che espansivo, e, dopo un’onorata e ben retribuita carriera, Benigni, forse per solidarietà toscana, è finito a lustrare, al recente referendum, le scarpe fashion di Matteo Renzi. Il finale del suo film più premiato, La vita è bella, resta il capolavoro di piaggeria dell’omino di Castiglion Fiorentino. Il campo di concentramento di Auschwitz viene liberato dall’esercito americano, mentre tutti sanno che il 27 gennaio 1945 furono i sovietici ad entrare nel lager. I produttori del film però, non erano russi, qualcuno israelita, ed apprezzarono il falso storico mascherato da licenza poetica.
Una specialità nazionale è quella del lustrascarpe per servizi di lunga durata, una specie di Duracell della spazzola e del lucido, e si basa sulla inversione sfacciata dei fatti ripetuta sino alla creazione di false verità indiscutibili. Nel 1981, Carlo Azeglio Ciampi, governatore della Banca d’Italia, e Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro, con una semplice lettera di quest’ultimo, dettero il via alla stagione del debito pubblico e della prevalenza della finanza, attraverso l’autorizzazione data alla banca centrale – all’epoca pubblica- a non acquistare obbligatoriamente le quote invendute di emissioni di buoni e certificati del Tesoro. Un atto storico devastante che ha lasciato lo Stato inerme davanti al mercato finanziario, lo possiamo definire un crimine contro il popolo italiano, seguito, dieci anni dopo, dalla distruzione delle riserve di Bankitalia per “difendere” la lira dalle speculazioni di Soros e soci. Risultato, lira comunque svalutata, una devastante manovra economica lacrime e sangue (governo Amato), via libera alle privatizzazioni low cost a favore di ben individuati centri di potere internazionale. Esito per Ciampi, la presidenza del Consiglio prima, addirittura la carica di Capo dello Stato poi. Resta un padre della Patria, i lustrascarpe hanno lavorato benissimo ed il banchiere livornese rimane un Venerato Maestro.
Più recente, ma non meno interessante, l’operazione di lucidatura delle morbide calzature in pelle umana di Mario Monti, adatte alle moquette ed agli eleganti marmi delle stanze dei consigli d’amministrazione di entità finanziarie. Ha salvato l’Italia, dissero per un paio d’anni lustrascarpe di lungo corso, sussiegosi come certi maggiordomi inglesi, ma non certo intelligenti e simpatici come il Jeeves di P.G. Wodehouse. Da che cosa e da chi Monti salvò l’amata Patria non è dato saperlo, specie se ci guardiamo intorno uscendo di casa. Di certo, ricordiamo l’orchestra per soli violini che magnificava il suo non eccelso curriculum, la sua capacità di risolvere problemi economici e finanziari, sino all’entusiasmo per il cagnolino con cui si presentò una volta in televisione.
Matteo Renzi, che ad occhio e croce ama essere circondato di laudatores, ha goduto per circa tre anni dei servigi di un battaglione di lustrascarpe. Forse ha persino dovuto comprare calzature all’ingrosso, magari dal suo amico Della Valle, patron di Tod’s, per consentire a tutti di cimentarsi in esercizi acrobatici di piaggeria. Qualche giorno prima del 4 dicembre, fatidico giorno del referendum costituzionale, abbiamo tuttavia assistito al rapido ritiro di spazzole, lustro e sgabelli dai piedi renziani, giacché la batosta appariva sempre più probabile.
Alessandro Manzoni scrisse il suo 5 maggio in morte di Napoleone, “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio “. Un pessimo esempio di italiano controcorrente, meglio il francese Pierre Corneille e le dediche delle sue tragedie al Re Sole, che sanno di zerbino sull’uscio di casa. Ma era Luigi XIV, quello che disse Lo Stato sono io! ed era Pierre Corneille, un genio della letteratura, cui si può ben perdonare qualcosa, nel quadro della Francia del XVII secolo, con buona pace di Simone Weil che non gli perdonò la sua attitudine servile.
Ci sono, ovviamente, anche lustrascarpe di modesti orizzonti. Nella terra di Liguria cara a chi scrive il quotidiano locale è sdraiato da decenni davanti alla sinistra, anche la più estrema, e sbava come un buon cane fedele ogni giorno dell’anno. In queste settimane, sono di turno le scarpe dei vecchi esponenti politici di sinistra, protagonisti di lirici pezzulli in cui si invoca l’unità del grande e glorioso Partito (quello democratico, è chiaro). Di un esponente locale viene descritto il merito principale: è iscritto dal 1954! Poiché il PD di anni ne ha circa dieci, ecco un vero antemarcia, un vecchio scarpone da lustrare con cura affinché brilli il colore di sempre, il rosso antico del PCI stalinista. Il vescovo di Chiavari, città clericale come poche, monsignor Tanasini, un mite prelato silenzioso, ha gridato al suo gregge recalcitrante che chi non accoglie i migranti non è cristiano. Che cosa scatena il timore del pensionamento anticipato, si è munito lui pure del banchetto da lustrascarpe del politicamente corretto e chissà che il denaro del business dell’accoglienza non faccia tappa anche nel Tigullio borghese e benestante.
I poveri sciuscià, a Napoli e altrove, chiedevano solo ai loro facoltosi clienti qualche soldino per tirare avanti, sfruttando il bieco orgoglio altrui di veder chini davanti a sé dei poveracci, ma nella Palermo del 2017 la Confartigianato sta mettendo in piedi una cooperativa di lustrascarpe da posizionare nei luoghi strategici della città. Si sono presentati 75 aspiranti, non pochi sono laureati, guadagneranno, si spera, almeno mille euro al mese, per ora stanno studiando. Eh sì, perché la formazione è importante anche per loro, e, temiamo, i piedi presso cui piegheranno la schiena saranno quelli di mafiosi, evasori fiscali mai raggiunti da Riscossione Sicilia, l’allegra Equitalia della Trinacria, privilegiati della ricca casta dei dipendenti e consulenti regionali.
Poco è cambiato dal 1882, quando il pittore naturalista francese Jules Bastien Lepage dipingeva il London Lustrascarpe, un bambino dallo sguardo triste con la livrea rossa appoggiato ad un lampione in attesa dei clienti. Riavvolgendo il nastro, cambiano solo i proprietari dei piedi. Forse Paul Roesch, l’italianissimo sindaco meranese di lingua tedesca si è solo portato avanti. Le scarpe dei finti rifugiati destinati a sostituire noi ed i nostri pochi figli sono ancora sporche e dozzinali. Domani saranno quelle dei nuovi padroni, e non pochi di loro lo hanno capito, con l’atteggiamento che ostentano nelle nostre città, sicuri della copertura politica mediatica ed ecclesiastica.
Sbrighiamoci anche noi. Basta uno sgabello, una borsa con spazzole, scopette e lucidi multicolori. Sicuramente il kit completo si troverà online. Consultiamo Amazon o Ebay, paghiamo con Paypal, ma non lasciamo cadere l’antica tradizione italica del lustrascarpe.
9 commenti su “Italia. La prevalenza del lustrascarpe – di Roberto Pecchioli”
Devo fare i complimenti a Roberto Pecchioli per aver steso un articolo così bello. Tra le righe, si comprende benissimo lo stato attuale delle cose a fronte di ciò che è accaduto dall’aprile 1945 a oggi. Sciuscià è solo una piccolissima variante di “espressione geografica”! “Nessuno più prova amore per la patria”, chi ha pronunciato queste parole? Non un nostalgico ma la Vergine, a La Salette. Chissà perché è la caratteristica portante dell’Italia.
L’apoteosi italiota è la diffusissima figura (prerogativa sinistroide “adulta” in àmbito civile e… religioso) del lecchino del “lustrascarpe”. Cambia solo il livello.
Post Scriptum: Roesch BUFFONE!!!
DA INCORNICIARE!!!
Analisi non stereotipata della crisi d’identità che attraversa l’Italia e, purtroppo, anche la Chiesa di Papa Bergoglio che ha trovato nel fenomeno migratorio il suo catalizzatore: scritta con una leggera e pervasiva ironia che niente tralascia per descrivere l’amara realtà in cui , incredibilmente, ci troviamo.
Gustoso e divertente. Grazie!
“il fardello dell’uomo bianco” è una nota poesia di Rudyard Kipling. Non so se London lo precedette. Comunque articolo gustoso ed amaro, pensando al futuro che sarà.
Stenderei mestamente un Velo pietoso sulla vicenda del palmizio in Piazza Duomo, quasi fossimo ai bordi di un’oasi a Luxor invece che di fronte alla Cattedrale dedicata a Santa Maria Nascente. Forse qualche “gerarca” diocesano si allieterà pensando, in vista del prossimo SS Natale, di avere a disposizione una “location” più realista in cui “installare” il Presepio…sempre che ciò non offenda la sensibilità religiosa di qualche musulmano in fila sul sagrato a farsi ecumenicamente lustrare le scarpe. Spero, perseverando nella preghiera di Umile peccatore, di potermi presto scrollare di dosso l’ira contro questa giunta scellerata (o la precedente, tanto Vale) così sapientemente descritta dalla Signora Carla d’Agostino Ungaretti in un suo recente articolo.
Come ci siamo ridotti… costretti a ridere per non piangere.