Forse, prima dei cinquant’anni non è nemmeno il caso di fare bilanci. Avrei bisogno di una vacanza, o magari di un gin tonic. Meglio ancora, avrei bisogno di una casa in campagna, accovacciata nel fieno in dieci ettari di boschi per chiudere gli occhi sulle miserie del mondo. Ho (ancora) un lavoro, un soprabito fuorimoda e una pistola. Ma non sono bravo a scrivere quanto Chandler, almeno quanto non sono veloce di intelletto come Marlowe.
Svelto non sono mai stato troppo in verità, però mi consolo. Basta considerare che viviamo nell’epoca in cui sul giornale scrivono: “Il vescovo di Bergamo ha un malore, evacuata la chiesa”. Perché, mi chiedo, ora esplodono i vescovi? Non l’avrei mai detto. D’altra parte, io non c’ero, in chiesa, intendo, e perciò sono modestamente portato a sottovalutare l’impatto della questione. Comunque, se anche fossi stato presente, qualunque manifestazione modernista stesse andando in scena, non avrei indossato nulla di più protettivo di un’armatura di flanella grigia, o un trench blu. Forse, ha rischiato di più il sindaco Gori, scapicollatosi al telefono.
Certo che questi eventi improvvisi, malori, attentati e ritorsioni malefiche della sorte spingono, almeno sommessamente, a riflettere sulla fragilità vitrea dell’esistenza. Oltre che della mente. Il pericolo è dietro l’angolo della cattedrale, almeno a livello emotivo, come un vescovo di Roma che piange in mondovisione parlando della guerra il giorno in cui dovrebbe parlare al mondo dell’Immacolata Concezione.
Il rischio forse non fa per me, anche se non ho paura delle armi più di quanta ne abbia della sintassi. Ho invece profumatamente paura dei rimpianti e delle rose non colte. Se ci penso, rischio un malore intellettuale d’eccellenza, di quelli da evacuare il vocabolario della povera, fragile, lingua italiana.
Ma più fragile è la mente. La mente del sottoscritto, poi, è messa male, anche se non malissimo. Diciamo grosso modo come la giacca di cotone bianco con una bruciatura sulla schiena di Sam Diamante: per gli amanti del genere, mi riferisco al Peter Falk di “Invito a cena con delitto”, un po’ Sam Spade e un po’ tenente Colombo. Comunque sia, questo fatto dei malori improvvisi in canonica e in platea, mi ha fatto riflettere sul valore metafisico dell’intelletto umano. Come tutti gli altri valori, oggi, anche questo campa di non detti, di insoluti, di scontati volersi bene da Baci Perugina, che poi si rimpiangono fino ai cinquant’anni.
Su cosa consista il valore metafisico dell’intelletto umano non so cosa ne pensi il vescovo Beschi, dei cui scritti non sono propriamente un cultore. Però Cornelio Fabro aveva proposto una bella sintesi, che si potrebbe riassumere così:
- L’accettazione del mondo esterno. Ovvero dell’esistenza della natura e degli altri uomini. Senza questa accettazione il soggetto non distinguerebbe se stesso dall’oggetto, con la conseguenza necessaria che la coscienza vivrebbe nel caos. Un pochino come non sapere se si è l’informatore o il ruffiano della faccenda, se si è maschi o femmine, rose o spine con egual sconsiderata simpatia.
- La coscienza del proprio io come realtà composta di anima e corpo. Come un nucleo personale che deve orientarsi alla vita e soprattutto all’essere (senza cui non si dà vita). Senza la coscienza della propria personalità, in senso lato, non sorge alcun interesse, perciò nessun problema (pertanto nessuna filosofia), tanto meno quello di Dio. Insomma, si vive come pesci nella boccia, che poi è un bicchiere molto grande senza alcool e non so immaginare niente di meno appassionante nella vita.
- La convinzione della validità o obiettività del conoscere. Perciò, con essa, la possibilità di avanzare attraverso le esperienze dalle apparenze alle essenze, dalla parte al tutto, dagli effetti alle cause e viceversa. Insomma, tutto l’armamentario millenario del pensiero occidentale che i perfidi modernisti col registratore alla mano e il microscopio ai piedi hanno rinnegato, per conseguire i propri porci comodi di carriera, denaro e piaggerie varie.
Eventuali dubbi intorno a convinzioni come queste sono stravaganze sofistiche equivalenti a bicchieri rotti, cuori infranti, rose di plastica.