Intervista a Mons. Gyula Márfi, arcivescovo di Veszprém (Ungheria). I decenni passati, l’immigrazione, e il futuro. Traduzione di Andras Kovacs

Ringraziamo l’amico Andras Kovacs, che ci ha inviato la traduzione di questa interessante intervista, che proponiamo ai nostri amici lettori come preziosa testimonianza di chiarezza nella Fede.

PD

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Mons. Gyula Márfi ha concesso al periodico on-line Veol.hu un’intervista sugli ultimi decenni, sull’immigrazione e su come vede il futuro. Mons. Márfi da vent’anni è alla guida dell’arcidiocesi di Veszprém. In occasione della Festa nazionale, l’arcivescovo Gyula Márfi ha ricevuto la prestigiosa medaglia dell’Ordine al Merito della Media Croce Ungherese.Nella motivazione della medaglia erano riportati il suo servizio nella chiesa per i giovani, per le famiglie e per gli ammalati, per la canonizzazione dell’operaia Mária Magdolna Bódi.

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Come ha accettato il riconoscimento?

Questa medaglia è un onore per me, per il quale ringrazio, ma non deve essere sopravvalutata. È una responsabilità. Uno prova a svolgere il proprio lavoro al meglio. Sento che il riconoscimento è indirizzato anche alla diocesi e alla Chiesa. Contiene il mio impegno per i giovani e per le famiglie: durante la settimana vado nella Cappella di Sant’Anna alle Messe degli studenti e partecipo ad ogni programma rivolto alle famiglie. Quando ero vescovo ausiliare ad Eger o direttore d’ufficio a Szombathely frequentavo regolarmente gli ammalati negli ospedali. A Veszprém solo occasionalmente ho la possibilità di farlo. La canonizzazione di Mária Magdolna Bódi è sul mio cuore, ma il merito principale non è mio bensì dei miei collaboratori.

Quest’anno è esattamente il ventesimo anniversario che è diventato Arcivescovo della Diocesi di Veszprém. Che eredità ha preso dal suo predecessore?

Come precedentemente ad Eger così anche a Veszprém mi hanno accolto con affetto i preti ed i fedeli. Ho preso una diocesi che stava invecchiando, l’età media dei preti era di 55 anni, il numero dei preti stava diminuendo. In vent’anni non è diminuito il numero dei preti e adesso abbiamo più seminaristi che all’epoca. È una gioia constatare che negli ultimi anni è aumentato il numero dei matrimoni, dei battesimi sia di bambini che di adulti, e delle cresime.

Quanto è grande la diocesi? Quanti preti ed istituti ha?

Il territorio della diocesi è di 6.920 kilometri quadrati, il numero degli abitanti è di 441.000, il numero dei fedeli cattolici è di 280.000. Abbiamo 180 parrocchie, 117 preti, 23 monaci, 20 seminaristi, 16 diaconi, 106 insegnanti di religione mondani.

In totale ci sono 16 istituzioni scolastiche, 5 organizzazioni benefiche; inoltre le istituzioni culturali ed i musei. È aumentato anche il numero delle scuole.

Che istituzioni e scuole sono state fondate negli ultimi due decenni?

Ho fondato io la casa di cura Szent Lukács per anziani a Hévíz, il Centro Turistico dell’arcidiocesi Szaléziánum, una scuola elementare a Tapolca, a Keszthely, a Várpalota, ad Ajka e ufficialmente anche la scuola Szilágyi di Veszprém.

Non abbiamo dovuto chiudere neanche una chiesa, anzi sono state costruite 20 nuove chiese, cappelle e luoghi per la celebrazione della Messa, per esempio a Hévíz, a Jenő, a Küngös e a Balatonakarattya. È una grande gioia che molti istituti mondani – per esempio mense, concessionari, fabbriche di parquet, segherie – ci chiamano per la benedizione. Questi fatti dimostrano che il mondo – almeno nella nostra diocesi – non è indifferente nei confronti della religione.

Ha quindi un buon rapporto con le organizzazioni mondane?

La chiesa in genere ha un rapporto buono, basato sulla collaborazione con le organizzazioni ed istituzioni civili. Menzionerei l’amministrazione comunale e regionale, l’ufficio governativo, l’università, l’ospedale, le organizzazioni militari, la polizia e le istituzioni culturali. Credo che la sfera civile e quella ecclesiastica non debbano essere fuse, perché non sono mai stato dalla parte della Chiesa di Stato; però non credo neanche nella separazione completa tra Stato e Chiesa. Oltre alla conservazione dell’autonomia, ritengo giusta la collaborazione corretta. Da questo punto di vista ho provato a camminare sulle orme dell’arcivescovo Szendi e penso di esserci riuscito. È migliorato il nostro rapporto con la comunicazione di massa, non sono stati pubblicati articoli scandalosi su di noi.

I media citano regolarmente il suo parere forte sugli affari pubblici.

Di recente ho ricevuto un libro, pubblicato a Parigi, sulla migrazione e si potrebbe tradurre il titolo come: “il grande problema, il grande pericolo, malessere, inquietudine”. L’autore nel suo libro cita anche me due volte e sempre in accordo con me. Avevo fatto una dichiarazione davanti a quindici persone nel Szaléziánum, dopo essa è stata pubblicata in un giornale italiano, infine l’ha riportata la stampa di quindici paesi.

Che pericoli ha la migrazione?   

Io vedo il pericolo maggiore nel fatto che una parte dei leader europei – e purtroppo anche una parte del popolo – ha rinunciato ai Dieci Comandamenti, ha rovinato le moralità fondamentali e come punizione ha perso il senso comune, si è accecata. Nelle scritture sacre varie volte capita che Dio punisce le persone con il bigottismo. Per esempio nella lettera di Efeso possiamo leggere: “accecati nella loro mente” (Ef 4,18). Alcuni leader dell’Europa sono caratterizzati da questa cecità. Siamo nell’epoca di Caligola, Claudio e Nerone, nell’epoca della decadenza dell’Impero Romano. Nel nome della tolleranza invitiamo l’intolleranza, nel nome della libertà di religione invitiamo un sistema politico totalitario, nel nome del multiculturalismo invitiamo la folla musulmana che rifiuta la nostra cultura cristiana. Nel nome del multiculturalismo invitiamo la monocultura. Nel nome del pluralismo annunciamo l’ideologia del gender, per cancellare la differenza tra i sessi. Queste sono tutte contraddizioni che dimostrano che chi le appoggia ha perso la ragione, è in contrasto con sé stesso. Domenica scorsa alla Messa ho citato Dániel Berzsenyi: “Il sostegno, la base di ogni paese / è la morale pulita che se si guasta: / Roma crolla e diventa schiavitù”. Queste righe oggi principalmente si riferiscono all’Europa e sussiste il pericolo che “l’Europa crolli e diventi schiavitù”. Nello stesso momento ci sono segni incoraggianti perché una persona cristiana non può essere mai pessimista.

In una persona cristiana vive sempre la speranza. Lei come vede il futuro con la speranza?

Essere cristiani vuol dire sperare. Sperare nella forza di Dio, o con l’aiuto di Dio sperare in noi stessi. Come esempio menzionerei questo: nel 2012 è entrata in vigore la nostra nuova costituzione. “Siamo orgogliosi che il nostro re Santo Stefano mille anni fa ha collocato su basi solide lo stato ungherese e l’ha reso parte dell’Europa cristiana…”. Gli elementi decadenti dell’Europa attaccano le frasi della costituzione, ma da questo si capisce che esse puntano verso il futuro. È molto positivo che mi chiamano sempre più spesso per benedire e consacrare ciò che di per sé è profano. È positiva la riscoperta dei santuari, che siano di nuovo popolari i pellegrinaggi e che le persone rispettino le reliquie. Santo Padre Pio ha predetto: “L’Ungheria è una gabbia da cui uscirà un uccello meraviglioso. Dovranno soffrire molto, ma in tutta l’Europa avranno una gloria senza precedenti. Invidio gli ungheresi perché porteranno grande felicità a tutta l’umanità. Poche nazioni hanno un angelo custode così potente come quello degli ungheresi e sarebbe giusto chiedere di più la sua protezione più potente per il loro paese”. Io spero che arriverà una rinnovamento morale e spirituale che oggi non si vede ancora e possiamo sperare che a questo contribuirà anche l’Ungheria.

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fonte: https://veol.hu/hirek/egy-kereszteny-ember-sosem-lehet-pesszimista-marfi-gyulat-kerdeztuk-a-migraciorol-is-1852967

6 commenti su “Intervista a Mons. Gyula Márfi, arcivescovo di Veszprém (Ungheria). I decenni passati, l’immigrazione, e il futuro. Traduzione di Andras Kovacs”

  1. Averne come Mons. Gyula Márfi…
    Speriamo in bene e confidiamo nella nostra Santa Chiesa Cattolica.
    Speriamo in un grande risveglio cattolico cristiano.

  2. Già Saint Thomas More nel suo Dialogo del Conforto nelle Tribolazioni, aveva preso l’Ungheria, resistente alla pressione turca, come paradigma eroico della resistenza cristiana alo stupro musulmano. Noi qui invece abbiamo uno stuolo infinito di paraninfi dell’accoppiamento con i musulmani, in abito bianco e rosso e nero!

    Grande questo Vescovo, come da noi nemmeno l’esistenza si sospetta più!

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