Gli scenari dell’attuale migrazione africana hanno per così dire soppiantato, nella coscienza collettiva, il ricordo della prima ondata migratoria, araba, di trent’anni fa. Le dinamiche della migrazione islamica non vanno però dimenticate, non è andato in prescrizione il diritto di comprendere appieno quanto ieri è accaduto nel bacino del Mediterraneo, e che continua oggi ad accadere.
È possibile infatti comprendere le vicende in corso, solo alla condizione di leggere secondo verità, non secondo propaganda, quelle passate.
Una volta ben comprese le une e quindi le altre, apparirà più chiara la logica che anima individui come il ministro Lamorgese, progressista purosangue che si è attivata per cancellare i Decreti sicurezza del passato governo e dunque, di fatto, per aprire un canale istituzionale di accesso alle ONG impegnate a traghettare clandestini dal Nord Africa.
Così, una volta superata l’emergenza Covid, le loro navi potranno riprendere a pieno regime il lavoro, che certo non mancherà mai per mancanza di materia prima: gli istituti demografici hanno valutato che i paesi sub-sahariani, dai quali provengono i maggiori flussi migratori, sono avviati verso un incremento demografico impressionante.
La Banca Mondiale nel 2006 ha registrato la densità di popolazione in quell’area: 770 milioni di individui (1) mentre L’ONU ha previsto che nel 2050 tale popolazione raddoppierà, raggiungendo 1,5 miliardi. (2)
Ignorano questi dati, Lamorgese e affini? Sembra anzi che per costoro questo rappresenti una buona notizia, visto che il Decreto immigrazione prevede la riapertura dei porti e la cancellazione delle pesanti multe per le navi ONG previste dal Decreto Sicurezza Salvini. Tutto il necessario perché le ONG raccolgano il messaggio di benevolenza e di invito che trasuda dal Decreto e quindi alzino l’asticella del loro zelo, mentre Soros alzerà l’asticella dei finanziamenti. È notizia di cronaca che questo speculatore internazionale finanzi l’immigrazione in Europa.
La “Open Society” di George Soros, informa l’agenzia Adnkronos, ha finanziato per 8,5 milioni di dollari, divisi tra il Partito Radicale, istituti, Onlus e Ong, iniziative tese a favorire l’immigrazione e l’accoglienza (3).
Con queste premesse, verosimilmente il Decreto incrementerà il numero dei clandestini africani fino a quote che oggi non è dato prevedere.
Ed è ciò che Lamorgese vuole, par di capire, visto che non le mancherà il cervello per comprendere che favorire le Ong, significa favorire i trafficanti di uomini. Questo non lo dice solo la logica, lo dichiara anche l’Ammiraglio Nicola De Felice, un posto d’onore nella Marina militare italiana e un curriculum di alto profilo (4). L’Ammiraglio così si è espresso nel corso di un’intervista della quale riprendiamo alcuni passaggi (5):
La domanda dell’intervistatore: il ruolo delle ONG è in qualche modo collusivo nei confronti delle organizzazioni criminali?
La risposta dell’Ammiraglio: «Hanno interessi e finalità diverse, ma collaborano con i trafficanti, perché il risultato è buono per tutti e due. Nessun barcone o gommone parte dalle coste libiche se prima non c’è una nave ONG nei paraggi (…) Ricordo, che ogni anno, alle ONG che raccolgono i migranti clandestini, l’Unione Europea regala – e sottolineo, regala – 11 miliardi di euro (…) Sicuramente, la presenza delle navi ONG nel Mediterraneo favorisce e incrementa indirettamente il traffico di esseri umani che non andrebbe avanti senza la loro presenza. (…) Nessuna persona sana di mente si avventurerebbe con un gommone dalla Libia all’Italia. Lo fanno perché dopo poche miglia sanno di poter incontrare la nave ONG che li traghetta in Italia».
Perchè, infine, tanto zelo migratorio, da parte del PD e affini? Le prime ragioni sono banali. La sinistra deve restare fedele all’immagine di difensore degli oppressi, e i migranti sono un’occasione da non perdere. Inoltre i clandestini sono alleati naturali contro l’avversario di destra, nemica giurata di questa invasione mascherata da migrazione.
Ma la ragione ultima non è banale, ed è l’odio per la nostra società che la sinistra post-comunista ha ereditato dal passato. L’odio del 68 è scomparso dalle piazze, ma non dai cuori della buona borghesia di sinistra, che ieri dalle terrazze romane e dai salotti milanesi brindava al comunismo rurale di Mao e al comunismo industriale sovietico. Oggi, inebriata di “progressismo”, brinda alla prospettiva di un’Italia meticcia e islamizzata.
INGEGNERIA SOCIALE PIANIFICATA Siamo da decenni tenuti a credere che i migranti clandestini fuggano da vite impossibili e che si imponga quindi il dovere di accoglierli, sempre e comunque. Il sistema mediatico, ben guidato, non ha mai concesso spazio ad una diversa lettura degli eventi, così non è lecito dubitare della povertà assoluta dei migranti nè della spontaneità delle migrazioni.
Non è cioè concesso intravedere una regia politica del fenomeno. In realtà vi sono motivi in abbondanza per credere proprio a questo, a una segreta conduzione degli eventi, e non solo in forza di deduzioni ma di constatazioni di fatto: ne prenderemo atto nel corso della trattazione.
Del resto, già a un primo esame, il fenomeno migratorio appare del tutto coerente con i progetti delle élite apolidi che governano la globalizzazione, tenacemente impegnate nella costruzione di una nuova società europea multietnica, multiculturale, non più cristiana, degna di un futuro mondo unico attraversato da un “pensiero unico”.
Con tali presupposti, forse il grande sottinteso del nuovo ordine mondiale è la formazione anche di una “razza unica”? D’altra parte chi osasse aprire un pubblico dibattito in quest’ottica, sarebbe marchiato di “complottismo” e “xenofobia”, parole magiche dal potere paralizzante. La coscienza collettiva deve infatti restare all’idea classica, per così dire, delle migrazioni di massa: miseria, persecuzioni, guerre.
MISERIA, PERSECUZIONI, GUERRE? Nell’ottobre 1992, un barcone carico di tunisini (tali si dichiararono) attraccò per la prima volta a Lampedusa, al largo delle coste siciliane. Questo primo stock di nordafricani, una settantina, fu ospitato per un mese nella caserma dei Carabinieri, mantenuti dai Carabinieri stessi, dal parroco e dalla popolazione. Infine, fu pagato loro il viaggio per Porto Empedocle e nessuno ne ebbe più notizie.
Il comandante della stazione dei Carabinieri precisò in seguito che questi individui non spiegarono i motivi del loro gesto e riportò le parole di uno di loro, che parlava italiano: “…ci disse che loro erano i primi, ma che ne sarebbero giunti tanti altri. Nessuno di noi capì che cosa intendeva. Solo dopo capimmo quello che stava accadendo” (6) .
I tunisini erano evidentemente osservatori, con il compito di valutare e riferire. Lampedusa da allora è entrata nella storia, meta perenne di barconi stracarichi di migranti, ovviamente “disperati”. Uno scenario che il sistema pubblico di informazione, ben guidato, ribattezzò subito “viaggi della speranza” .
Cosa lasciavano alle loro spalle le masse di clandestini che sbarcavano sulle coste italiane, greche e spagnole? Miseria, conflitti? Non riferivano questo gli europei che tornavano dagli alberghi e dai villaggi turistici sparsi nel Maghreb e in Medio Oriente.
Non raccontavano né di guerre civili né di masse affamate. Forse le popolazioni locali nascondevano la loro “disperazione”? Improbabile: non vi era menzione di emergenze umanitarie, nei dossier delle Agenzie ONU, nei bollettini missionari, nelle relazioni della Croce Rossa, nei rapporti della Caritas internazionale.
La vita scorreva in quei paesi nell’assoluta normalità. Dunque? A cosa si doveva quell’esodo di massa, e perché la pubblica informazione non spiegava, precisamente, quali ragioni muovessero intere fasce di popolazione ad abbandonare i loro Paesi?
Un silenzio mediatico surreale, cui da sempre ha fatto eco, da parte delle istituzioni internazionali, un’indifferenza ancor meno spiegabile. Se un terremoto o una carestia colpiscono la più sperduta regione del pianeta, i piani di soccorso internazionali si attivano nel giro di 24 ore. Diversamente, per i “disperati” accalcati nei barconi non solo non è mai stato attuato alcun programma di aiuto, ma non è mai stato neppure ventilato. Eppure i Paesi arabi interessati dall’emigrazione sono membri delle Nazioni Unite e per sovrapprezzo anche della Lega musulmana mondiale presieduta dall’Arabia Saudita, nazione che trabocca di petrodollari, naturalmente preposta all’aiuto di poveri musulmani costretti a emigrare nell’odiata Europa degli infedeli.
Nulla è accaduto in tal senso ed anzi, Arabia Saudita, Nazioni Unite, Unione Europea e Ong, hanno sempre operato in una direzione perfettamente opposta: non hanno mai aiutato arabi e africani a vivere in casa propria, li hanno solo aiutati ad emigrare in casa altrui.
Questo non dice nulla? Il sistema mediatico, dal canto suo, si è sempre limitato a registrare gli effetti del fenomeno senza monitorarne le cause, cosicché l’opinione pubblica si è dovuta accontentare di un sottinteso, di un’apparente ovvietà: si è sempre convenuto che il motore dell’immigrazione fossero la miseria, le persecuzioni e le guerre.
LA VULGATA E LA REALTÀ È una lettura plausibile? Non è plausibile. In primo luogo questa narrazione è insensata fino all’idiozia se rapportata a “persecuzioni e guerre”, perché queste o ci sono o non ci sono, e, al tempo della prima ondata migratoria, in Nord Africa e in Medio Oriente, persecuzioni e guerre, molto semplicemente, non c’erano (questo vale, si noti, anche per l’attuale migrazione africana).
Il quadro non cambia se si prende in considerazione la povertà di quelle popolazioni, perchè neanche in quest’ottica si spiega l’invasamento migratorio che ha attraversato i paesi islamici del Mediterraneo.
Un invasamento sincronico: con gli stessi tempi, gli stessi mezzi e le stesse modalità strappalacrime, intere masse si sono riversate in Europa come se fuggissero da una rovina incombente. Quale rovina?
Il sottosviluppo di quelle aree è storia vecchia e non aveva mai dato luogo a psicodrammi collettivi. Piuttosto, come era logico che fosse, la migrazione economica era sempre stata regolata dagli uffici competenti. Già negli anni 50 centinaia di migliaia di algerini, marocchini e tunisini partivano ogni anno per l’Europa (in nave, non su barconi) per lavori stagionali o a termine. Questo avveniva nell’ambito di accordi governativi bilaterali con Francia, Germania e Paesi Bassi.
I migranti, scaduto il contratto di lavoro a termine, tornavano però in patria, non chiedevano ricongiungimenti familiari, non disseminavano l’Europa di imam, non costruivano moschee ( con il denaro dell’Arabia Saudita), non creavano énclave islamiche metropolitane ( come oggi a Parigi, Rotterdam, Bruxelles), non si rivestivano dei panni del “disperato”per obbligare all’assistenza.
Che cosa era cambiato, negli Anni 80, in Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Giordania, perché i migranti passassero dalla dignitosa condizione di lavoratori al ruolo di disperati di professione?
Non era cambiato nulla. Quei Paesi vivevano nella più assoluta normalità: i barconi carichi di “disperati” non hanno mai avuto ragione di esistere. Del resto un migrante vero tiene a presentarsi come soggetto potenzialmente produttivo nella società che lo accoglie. Passa per uffici, non per spiagge, meno che mai vi arriva come fosse un rottame sbattuto dalle onde, con la promessa di rappresentare, da quel momento in poi, soltanto un “problema”.
Così il fenomeno migratorio procedette nella più assoluta vaghezza: le cause sfuggivano e nessuno le cercava.
Da una parte i governi dei paesi arabi non chiarivano le cause dell’esodo, dall’altra i governi dei paesi europei ospitanti non le indagavano, come se un sistema di potere coordinasse il silenzio degli uni e degli altri, vigilando affinché, par di capire, la coscienza europea in genere e italiana in particolare, restasse incatenata al dovere di dare rifugio a masse di “disperati” disposti a pagare un viaggio in Europa migliaia di dollari per porre fine alla loro disperazione. Davvero?
In primo luogo non si comprende che strano tipo di disperati essi fossero: il pagamento cash di tali somme sarebbe un problema per gran parte delle famiglie monoreddito italiane. Si può credere che persone prive di un vestito di ricambio e di scorte d’acqua, poche ore prima dell’imbarco avessero in tasca migliaia di dollari? Infine che senso aveva per i migranti, possedendo tali cifre, affidare le loro vite e quelle dei loro figli a scafisti la cui criminalità era nota in tutto il bacino del Mediterraneo?
Con una spesa modesta e in veste di turisti (se hai migliaia di dollari puoi comprarti un vestito decente, una valigia e un biglietto per una nave di linea) avrebbero potuto imbarcarsi per l’Italia, la Spagna e la Grecia, e poi far perdere le loro tracce una volta sbarcati.
Il trattato di Schengen, in vigore dal 1990 in l’Italia, dal 1991 in Spagna e dal 1992 in Grecia, avrebbe loro permesso di entrare legalmente nelle nazioni dove per anni sono sbarcati come clandestini.
I documenti sono un problema? Se hai migliaia di dollari, non sono un problema. Ma davvero i clandestini potevano pagarsi il viaggio “dopo aver venduto tutto ciò che possedevano”, secondo il ritornello del sistema mediatico, sempre così puntuale nell’assecondare l’immigrazione?
I FINANZIATORI DEI “VIAGGI DELLA SPERANZA” Dovremmo credere che i “disperati” possedessero beni vendibili per migliaia di dollari. E chi sarebbe stato l’acquirente, in quelle fasce di popolazione, disposto a comprare non si capisce che cosa, per quelle cifre?
La verità era tutt’altra, con grande evidenza: i “viaggi della speranza” erano finanziati da “altri”.
L’islamologo Onorato Bucci (7): “Non c’è dubbio che ogni immigrato clandestino paghi una quota per venire nel nostro Paese. Il problema resta di sapere da dove provengano questi soldi e chi dà a costoro, o direttamente ai padroni delle barcacce, somme ingenti di denaro. Poiché a venire in Italia sono interi nuclei familiari composti fino a 7 o 8 persone, si ha l’assurdo di volere far credere che ogni capo famiglia paga dai cinquanta ai sessanta milioni per venire in Italia. Scherziamo? C’è qualcuno che paga ingenti somme di denaro direttamente ai padroni delle carrette del mare per far viaggiare migliaia di persone provenienti dall’area mediorientale e dai Paesi del Corno d’Africa. L’immigrazione musulmana è il mezzo per islamizzare l’Italia”
L’immigrazione, da sempre, nasconde più di quanto mostri. Ne prese atto Giorgio Bocca, allora tra le migliori firme del giornalismo di sinistra. Scriveva nel 1990, al tempo dei primi flussi migratori via terra: “Dalle notizie sparse nelle cronache italiane veniamo a sapere che il numero degli immigrati che spacciano droga è in continuo aumento e che le loro casbah diventano sempre meno frequentabili. A Torino i vigili urbani che si avventurano nel quartiere di Murazzi, in riva al Po, possono trovarsi circondati da spacciatori armati di spranghe e bottiglie rotte (…) La pervicacia con cui i nostri grandi partiti, i nostri politici, legiferano sempre in astratto, senza mai tener conto di quello che poi immancabilmente avviene nella pratica, diffonde sospetti: ci si chiede: ma quali interessi ci saranno dietro questa permissività verso gli immigrati?” (8).
MIGRAZIONI SPONTANEE? L’allora ministro italiano dell’Interno italiano, Giuseppe Pisanu, denunciava l’operato di “centinaia di criminali”(9) in azione dal Marocco fino all’Eritrea, per offrire imbarchi verso l’Italia.
Criminali diretti da chi? Mafie africane locali avrebbero appaltato un traffico di uomini che dal Maghreb al Corno d’Africa, dall’Africa sub-sahariana alle rotte balcaniche, abbraccia decine di migliaia di chilometri di territorio? Un traffico che ha movimentato miliardi di dollari? (tale è la valutazione dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) nel rapporto del 2016).
Con grande evidenza, i trafficanti di uomini erano solo l’ultimo anello di una catena di comando. Con grande evidenza era in campo un sistema di potere “superiore”che promuoveva e coordinava i flussi migratori. Dunque un “potere forte”, molto forte.
Un sistema che agiva con la consulenza di esperti di psicologia e comunicazione. Ne prendiamo atto dalle fangose modalità (fangose perché artefatte, almeno per chi abbia abbastanza cervello per capirlo) che hanno caratterizzato per decenni l’immigrazione: imbarcazioni di fortuna, gente senza un vestito di ricambio e senza scorte d’acqua sufficienti, donne incinte, minori. Tutto il necessario per ricattare l’opinione pubblica europea e obbligare all’accoglienza, cancellando le leggi che regolano l’ingresso degli stranieri nei paesi europei.
Le morti e i naufragi che hanno funestato l’immigrazione non la nobilitano e non ne cancellano la menzogna. A distanza di vent’anni, dopo la “Fase A”, araba, ha oggi luogo la “Fase B”, africana, il secondo ciclo di rappresentazioni perchè, ancora una volta, di rappresentazioni si tratta.
Dietro agli scenari della “povertà assoluta”, infatti, predisposti per eliminare sul nascere qualunque resistenza all’immigrazione clandestina, si nasconde ancora una volta un’operazione preordinata. La povertà assoluta ha sempre avuto un’altra faccia, che non quella dei disperati di professione che sbarcano sulle nostre coste.
È il volto di madri africane che rimestano cibo di fortuna su fuochi di legna, di vecchi senza cure, di bambini che frugano nelle immondizie delle baraccopoli. Ma costoro non emigreranno mai, per il solo fatto che non vogliono l’Europa, vogliono solo vivere umanamente in casa propria.
In una logica “progressista” dunque, quella della costruzione di una società multietnica, gente del genere non serve, è impresentabile.
Non per un caso le ONG stipendiate da Soros e dall’Unione Europea, di questi poveri politicamente scorretti non si occupano mai. Le loro attenzioni sono riservate a giovani attivi e in buona salute: quelli sì, possono figurare come nuovi cittadini di una Europa!
Che la “povertà assoluta” dei migranti fosse una bufala, lo avevamo capito da tempo, ma ne abbiamo conferma da fonti insospettabili, a partire proprio da un istituto umanitario che predica l’accoglienza sempre e comunque. La Caritas italiana in un documento ufficiale articolato in 10 punti, da una parte predica per l’ennesima volta un’accoglienza incondizionata e l’arricchimento che deriverebbe da un intreccio di culture, dall’altra è poi costretta ad ammettere che il quadro economico-sociale dei migranti non corrisponde a quello che il sistema mediatico ci propina da anni. Leggiamo nel documento: “Gli immigrati non arrivano dai paesi più poveri del mondo e non sono i più poveri dei loro paesi: per emigrare occorre disporre di risorse. Questo vale anche per i rifugiati. I più poveri di norma fanno poca strada” (10).
NOTE
1) devdata.worldbank.org. Fonte: Wikipedia, voce “ Africasubsahariana”
2) esa.un.org. Fonte: Wikipedia, voce “ Africasubsahariana”
3) www.adnkronos.com Articolo di Marco Liconti, 15 ottobre 2019
4) Ammiraglio di divisione (ris) Nicola De Felice, classe 1958, già responsabile dello sviluppo di programmi missilistici e di munizionamento di precisione a lunghissima distanza; responsabile della pianificazione finanziaria della Difesa; direttore del Centro Innovazione della Difesa e responsabile dei Centri di Eccellenza nazionali della NATO. Ha terminato la sua carriera di servizio attivo quale responsabile regionale (area Siciliana) per la Marina Militare italiana.
5) Giornale online “Orwell”, art. di Marco Giorgetti, 14 dicembre 2019
6) giornale online “La Repubblica Palermo.it, 7 luglio 2013 palermo.repubblica.it/cronaca/2013/07/07/news/storia_di_carletto
7) “Il Tempo”, lunedì 13 luglio 1998, p.9
8) Settimanale ESPRESSO, 11 marzo 1990, p.17
9) “La Stampa” , 22 luglio 2004
10) Documento “ Dieci cose da sapere su migranti e immigrazione”, a cura dell’ “Ufficio Politiche Migratorie e Protezione Internazionale”, disponibile in rete.