Il dato fondamentale è che fra tanto fumo di sapore cattolico diffuso pour épater les buorgeois, viene sempre ossessivamente ribadita la necessità di sostituire ai principi della Chiesa cattolica, l’attenzione per le condizioni esistenziali concrete, perché sono queste che dettano le regole…
di Patrizia Fermani
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Chi si è inflitto la pena di leggere l’intero volume dei documenti sinodali, ha avuto davanti il quadro completo del rapporto che la Chiesa di Bergoglio ha inteso stabilire ufficialmente col mondo. E dunque aspettando la Relatio finale, c’erano buoni motivi per pensare che in ogni caso l’esito del Sinodo sarebbe stato negativo. Si è detto che nella migliore delle ipotesi, sarebbe stata riconfermata teoricamente la dottrina di sempre, e lasciato alla prassi il compito di eroderne a poco a poco il dettato. Del resto è quanto si verifica già da decenni, con quel distacco tra dottrina e prassi persino teorizzata dai teologi, di cui pochi si sono accorti, molti hanno fatto finta di non accorgersi, mentre altri hanno ritenuto la cosa un dato del tutto trascurabile. Ma è chiaro che il solo parlare di riconferma della dottrina, sul presupposto che essa possa diventare oggetto di decisione assembleare, sta ad indicare come siamo già stati traghettati fuori dal cattolicesimo perché Vangelo e comandamenti dipendono dal consenso, vero pilastro della attuale religione civile.
Tuttavia, si è anche detto che l’esito peggiore del sinodo sarebbe stato quello di rimettere caso per caso ogni decisione sulla questione cruciale della ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati, oggi al vescovo, domani al consiglio pastorale e poi al capo scout, tutti abilitati ad impiegare l’ormai noto criterio di nuovo conio ecclesiastico del discernimento. Una parola questa, che un tempo evocava la paziente fatica dell’intelligenza, ma ora è entrata stabilmente nel formulario della chiesa, che la impiega con insistenza per rassicurare il popolo di Dio sulla ponderazione e la accortezza dell’azione pastorale. Ma in realtà sta ad indicare come e perché l’azione pastorale debba accomodarsi al meglio alle richieste del mondo. Infatti per la nuova chiesa il discernimento è il sostitutivo del giudizio e della legge che lo presuppone. Ovvero in senso inverso, una volta abolita la legge, e abolito quindi il criterio per giudicare, qualunque realtà deve essere accolta se comunemente accettata, e questa arte di adeguarsi hegelianamente allo spirito del tempo, cosa che può persino evocare ad orecchio lo Spirito Santo, si chiama appunto “ discernimento”. E siccome è anche utile dare a tale vasta accoglienza del reale una connotazione virtuosa, la si chiama senza troppo scrupolo, “misericordia”. Così non vengono tirati in ballo i principi, è assicurata la benevolenza della clientela e ci si risparmia l’ostilità degli avversari. Vantaggi di tutto rispetto si dirà. Se non fosse che il rovescio di questa medaglietta di cartapesta segna il suicidio religioso, oltre a quello civile, morale e perfino giuridico.
Ora, nella relatio finale l’atteso riferimento alla questione in parola emerge quasi a fatica in certi passi abilmente fumosi, in mezzo ad una estenuante matassa di luoghi comuni, evidenze lapalissiane , banalità sociologiche, doverosi omaggi ai principi del nuovo collettivismo parrocchiale, trasferita da un documento sinodale all’altro con asfissiante ripetitività.
Improvvisamente ogni riferimento esplicito alla comunione per i divorziati risposati è scomparso. Tuttavia apprendiamo che essi : 1) sono fratelli e sorelle battezzati ai quali lo Spirito Santo riversa doni e carismi per il bene di tutti. 2) devono perciò essere più integrati nelle comunità cristiane “evitando ogni occasione di scandalo”(?) (e qui non si capisce se sono costoro che non devono dare scandalo o sono gli altri fedeli che non debbono scandalizzarsi), secondo la logica dell’accompagnamento pastorale. 3) ai fini di tale integrazione, possono essere impiegati in diversi servizi ecclesiali. Sicché bisogna discernere quali forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possono essere superate(4).
Ora in modo molto felpato è così pronto il piatto di portata su cui potrà essere depositata la decisione finale di Bregoglio che ha l’ultima parola. In ogni caso, anche se non verrà detto in termini più espliciti per l’immediato, magari in considerazione della opposizione interna che in qualche modo si è manifestata ( i 72, 80 e 64 no ricavati dai paragrafi 84,85 e 86 nella votazione finale), il terreno è stato preparato a dovere ufficialmente sulla scia di quanto Begoglio ha largamente anticipato fin dall’inizio a partire dalla Evangelii Gaudium dove per la prima volta nella storia del pontificato, è stata dichiarata superata la legge naturale che per la chiesa è la legge divina esplicitata attraverso dottrina cattolica.
Alla fine del paragrafo 84 leggiamo in controluce il passaggio concettuale di base che rende possibile questo trapasso dalla legge assoluta scolpita nella dottrina al nuovo criterio relativista. Partendo dal valore della tenerezza che guida i rapporti famigliari, si passa ad esortare, con le parole di Bergoglio, ad accogliere con tenerezza le situazioni difficili di chi ci sta accanto piuttosto che adottare “soluzioni impersonali”. Poiché l’esortazione, nel contesto da cui è tratta, era rivolta alla chiesa stessa, ancora una volta qui come altrove ripetutamente, si insinua la confusione tra piani diversissimi ed irriducibili quali sono quelli della disposizione personale richiesta ai pastori come a qualunque cristiano, con la regola valida oggettivamente che da tutti deve essere rispettata. Come se la validità di questa e il rispetto che le è dovuto in quanto legge giusta, possa compromettere la inclinazione soccorrevole verso il prossimo. Come se l’obbligo morale di soccorrere anche il reo ferito avesse qualcosa a che fare con la legge che questi ha appena violato aggredendo qualcuno. Su questo equivoco scivola continuamente la supposta paideia bergogliana che conduce inevitabilmente alla confusione tra bene e male, osservanza e disobbedienza, colpevoli e innocenti e alla abolizione del giudizio e del timor di Dio.
Ora, per tornare alla questione discussa, è evidente che se si rimuovono le conseguenze sacramentali della violazione della indissolubilità matrimoniale, si rimuove il sacramento che ha il significato indiscutibile di elevare il vincolo matrimoniale ad istituzione di diritto divino. Il matrimonio cattolico si pone al disopra della finitezza degli sposi perché essi vi attivano le proprie facoltà superiori: la capacità di impegnare la propria ragione e il proprio senso morale, di dominare gli istinti in vista di un fine superiore assegnato alle proprie azioni, di riflettere sul significato e sulle conseguenze di esse, di dirigere al bene la propria volontà, di esercitare le virtù cristiane e soprattutto quella fortezza e quel coraggio divenuti estranei nella diffusa cultura del piagnisteo. Il sacrificio di Cristo, che non ha chiesto sconti di pena come non li ha concessi, fornisce anche in questo il modello per l’uomo.
Tommaso Moro ha messo in gioco la propria vita non perché ritenesse frivola e insensata la passione d’amore che il proprio re nutriva per la dama di corte di sua moglie, o perché considerasse quella ragazza inadeguata a ricoprire il ruolo di nuova regina. Ma perché sapeva che il matrimonio del re, come di chiunque altro mortale, doveva rimanere una cosa più grande dei suoi desideri e delle sue passioni. Perché il sacramento testimoniava il valore trascendente che ad esso aveva espressamente attribuito il Salvatore.
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Non bisogna dimenticare a questo proposito come Joseph Ratzinger abbia sempre indicato in quattro elementi fondamentali l’essenza del cattolicesimo: i Comandamenti, il Padre Nostro, il Credo e i Sacramenti. I primi non vengono più nominati da tempo perché sopravvivono per la nuova religione civile postcattolica solo quelli che coincidono con la legge dello stato e nei limiti consentiti dallo stato sovranazionale. Il credo è svuotato di gran parte della maggior parte dei suoi contenuti, come il fiat voluntas tua del Padre è stata sostituito bergoglianamente con la tenerezza materna. I sacramenti vanno ridotti al minimo come nella sintesi luterana proprio perché il “sacer” che sta alla loro radice etimologica è stato il primo nemico combattuto dalla nuova “teologia” postconciliare, tutta intenta a staccare l’uomo dalla trascendenza. Basti ricordare come Bruno Forte, l’altro capomastro della chiesa di Bergoglio, dicesse insieme agli altri demolitori del cattolicesimo, che era stata la esasperata accentuazione del sacro ad impedire alla chiesa preconciliare di apprezzare adeguatamente i valori del mondo.
La questione della Comunione ai divorziati risposati, di rilievo sociologico del tutto marginale, ha alimentato da tanti anni una polemica interna alla Chiesa perché, enfatizzata ad arte, doveva fungere da piede di porco per quell’indebolimento progressivo del cattolicesimo che lo ha avviato ad assimilarsi al protestantesimo .
Ecco dunque perché l’esito del sinodo, che non ha individuato le cause della crisi della famiglia, come ci si sarebbe dovuti aspettare, nello abbandono dei principi cristiani, era segnato. Esso era già tutto contenuto in quell’insano corpus che va dalla Evangelii Gaudium, ai documenti premessi o seguiti alla fase sinodale intermedia. Al tutto si sono aggiunti, anch’essi ampiamente preannunciati negli stessi documenti sinodali, i Motu Proprio sulle cause di nullità del matrimonio canonico. Non bisogna dimenticare che la questione era stata inserita fin dall’inizio fra le materie che dovevano essere discusse, e che poi è stata stralciata d’autorità perché superata preventivamente proprio con i Motu proprio pubblicati poco prima dell’inizio della Sessione di ottobre .
Il dato fondamentale è che in tutta questa congerie di scritti, fra tanto fumo di sapore cattolico diffuso pour épater les buorgeois, viene sempre ossessivamente ribadita la necessità di sostituire ai principi della Chiesa cattolica, l’attenzione per condizioni esistenziali concrete, perché sono queste che dettano le regole. Solo che la regola del caso concreto diventa il caso concreto che si regola da sé e quindi supera ogni esigenza di disciplina. E’ la regola del relativo , imponderabile, fluida e autodistruttiva per una comunità che invece, per non naufragare, dovrebbe avere sempre segnata con precisione la rotta da seguire. Nella nuova prospettiva sfacciatamente relativistica del discernimento a conduzione variabile, è segnato il naufragio della società, insieme a quello della civiltà cristiana. Un naufragio in cui saranno inghiottite anche tutte le esistenze singole, e che tuttavia sembra uscire clamorosamente dall’interesse di questi pastori teneri e misericordiosi.
Intanto gli accorti ideatori dell’abbraccio col mondo, nella sintesi dialettica tra demagogia comunista e liberalismo etico, non si sono accorti neppure che la regola da adottare ad personam, come legge della misericordia per il caso concreto, cozzi paradossalmente con il comandamento egualitario della Costituzione, quella che per tanti di essi ha sostituito il Vangelo, secondo l’esempio di un gigante della teologia cattolica come Don Gallo. Di quella Costituzione e di quella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, cui la nuova chiesa postconciliare si è votata e che anche il sinodo non ha mancato di evocare con compunzione.
Altra curiosità : se i Motu proprio firmati da Bergoglio e le nuove linee guida sinodali hanno abolito per vie traverse, ma non troppo, l’indissolubilità matrimoniale sull’esempio biblico di Mosè che aveva dovuto tenere conto della “durezza dei cuori” e delle cervici, bisognerà prender atto che Cristo è venuto ad annunciare invano il logos di Dio, anche per il tempo successivo a quello in cui Giovanni aveva constatato in modo lapidario che i suoi “non lo avevano riconosciuto”.
Di certo, in mezzo a questa orgia di misericordia spavaldamente sottratta ai disegni imperscrutabili di Dio, i provvidi pastori hanno dimenticato del tutto le ragioni profonde della disfatta etica e culturale in atto, cioè proprio di quello che avrebbe dovuto attrarre la loro attenzione. Insomma sembra proprio che ai “padri sinodali” plaudenti, e forse impazienti di mettere fine alla telenovela, continui a sfuggire che il risultato di questo surreale lavoro sarà una energica spinta verso il completamento dell’opera distruttiva. Insomma un capolavoro della demolizione cattolica applaudita da certi zelanti ufficiali di Bergoglio. In fondo lo erano anche i generali che tornavano a rapporto a Parigi dopo le riuscite campagne della Vandea.
9 commenti su “Il sinodo in cui si specchia la Chiesa – di Patrizia Fermani”
che i teologi postconciliari abbiano preso di mira quella che loro chiamano “concezione magico-sacrale” della religione lo confermo per esperienza indiretta (i progressisti tenevano negli anni ’80 dei workshop mensili i cui partecipanti si prodigavano nel diffondere i risultati: ogni workshop un’eresia).
Gli eretici amano servirsi di parole cristiane stravolgendone il senso (nuova Pentecoste, misericordia, tenerezza). Una parola molto amata da Martini (rip) era il discernimento. Credo che lei sia riuscita a dimostrare come il discernimento ammantato da pensosa riflessione sia un ottimo passe-partout per il relativismo antropocentrico. Grazie.
Proprio così, caro signore.
Il “sacerdote” della Neo-Chiesa sarebbe,”un esperto nell’investigazione sull’inconoscibile Dio”. Cioè sarebbe “sacerdote” nel senso non di “dare le Cose di Dio” (Sacramenti, sacramentali…), ma nel senso di “poter dare responsi a chi volesse chiedersi qualcosa su Ciò che non si può conoscere”. Cioè sarebbe “profeta” nel senso di “invasato dallo Spirito” (??). Cioè sarebbe una sorta di Sibilla Cumana.
Fuggendo dal “magico”, sono arrivati alla Magia- come già avvenuto ai Modernisti di fine Ottocento
Grazie di cuore.
Tra le parole d’inizio governo di questa chiesa, quando si trattò di giustificare la scelta di Santa Marta come abitazione , si fece un fugace accenno, che avrebbe voluto essere umoristico, a problemi psichiatrci. Nessuno rise. E nessuno ride.
Enrico Maria Radaelli ha scritto un libro dal titolo significativo, la Chiesa ribaltata.
Che il ribaltamento della Chisa sia in atto da tempo ad opera di persone con problemi, per quelli che non hanno di questi problemi è chiaro.
Come aiutare i ribaltatori problematici, a ribaltar se stessi liberandosi dei loro problemi? Come evitare che l’epidemia dilaghi?
Non trovo soluzione se non nella preghiera piena di fervore e nell’attenersi rigorosamente al sì sì, no, no.
Ognuno di noi, ogni giorno, può indossare questa semplice armatura a prova di tutte le follie di tutti i ribaltatori.
Cara Irina, ma il ribaltamento dei cervelli dei rivoluzionari risale alla rivoluzone francese, per passare poi a quella comunista russa e, infine, a quella dei falsi cattolici, preparata per lunghi anni dopo la morte di S. Pio X (con la Nouvelle Théologie di tipi quali Chenu, Congar, Danielou, De Lubac, ecc) e poi sfociata nel conciliabolo rivoluzionario chiamato impropriamente CV II (da depennare dall’elenco dei concili, quelli veri). Il “caso per caso” di Schonborn, rinnegamento del comando di Cristo “si si, no no” non ne è che un’ulteriore, superflua conferma: Quindi “lotta dura, senza paura” a questi modernisti, tanto per usare il linguaggio dei contestatori sessantottini, a loro tanto cari.
La residenza all'”hotel” Santa Marta, le scarpe nere, la stella a cinque punte nello stemma frettolosamente cambiata con quella ad otto dopo la nomina, i gesti “misericordiosi” da Pope-Star, “buongiorno”, “buonasera”, “buon pranzo”… Sappiate che niente, dico niente, è lasciato al caso! …chi ha orecchie per intendere…
Laudetur Jesus Christus!
Infatti, caro Ioannes, Lucifero non lascia niente al caso, è molto intelligente ed astuto, sicuramente ci batte tutti. Ma ciò che lo perde è la sua superbia, il suo orgoglio smisurato; e quale non è la sua rabbia sapendo che la Divinaa Sapienza ha deciso di fargli schiacciare la testa da un esponente del genere umano, da una donna, l’umile Ancella del Signore, a lui, che si ritiene al di sopra di tutti i mortali, che disprezza e odia e vuole morti, invidioso comn’è della predilezion che Iddio ha per loro (cioè per noi, pur poveri peccatori). Ecco quindi il motivo di tuttta questa commedia, questa misera sceneggiata volta a ingannare il gregge, a manipolarlo per indirizzarlo, a sua insaputa (felici e contenti) verso l’abisso senza ritorno. Chissà a quale ricompensa pensa di aver diritto ust’uomo…poveri noi!
E intanto il cattolAico Tornielli esulta e ci tiene a specificare che questo conciliabolo ha “aperto” alla Comunione a chi è in stato di peccato mortale: come si fa ad essere cosi ciechi e asserviti al sistema? Non pensa che un giorno verrà giudicato da quel Dio che, secondo lui, “merita” di essere profanato?
Risposta alla sua domanda, caro Diego: semplice, basta pensare che Torino sia un faro di civiltà, che Cavour e i Valdesi abbiano liberato la Chiesa dal “vecchiume”, che “La Stampa” sia un giornale prestigioso
P.S. Questo è ciò che pensa l’ 80% del Clero piemontese. Forse anche di più.