di Giacomo Rocchi
fonte: Notizie PRO-LIFE
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Concludiamo la riflessione avviata dopo l’intervista a Beppino Englaro apparsa su Il Venerdì di Repubblica dl 27 luglio scorso. In quell’intervista Englaro sosteneva che la morte procurata di sua figlia non aveva niente a che fare con l’eutanasia;indicava, poi, le “parole chiave” per interpretare quella vicenda: il “diritto di rifiutare le cure” come frutto dell’incontro tra diritto e medicina, da lui auspicato e ricercato.
Un nuovo diritto, quindi, finalmente riconosciuto; un diritto che si dovrebbe ritenere “personalissimo”, perché ha a che fare con la decisione della persona sulla sua vita e la sua morte. Nei post precedenti abbiamo notato come la tendenza sia esattamente quella opposta: quella di attribuire ad altri il potere di decidere se una certa persona – malata, disabile, “imperfetta” – non tanto debba essere curata, ma direttamente sia “degna” di continuare a vivere, o sia “meglio per lei” (il famoso “best interest”) che la sua vita venga meno. Beppino Englaro, in realtà, è il massimo esempio in Italia di questa linea.
Qui, però, vogliamo fare un’ultima riflessione, che riguarda le decisioni dei pazienti sulle proprie cure: siamo sicuri che l’impostazione del problema giusto sia davvero quello del “diritto” (di accettare o rifiutare le terapie)? Di fronte alla malattia e alla sofferenza, di fronte alla paura di morire, al timore di affrontare una malattia lunga e dolorosa o un’operazione chirurgica rischiosa ma necessaria, quali diritti abbiamo? In realtà nessuno: abbiamo, piuttosto, sentimenti, timori, necessità di sostegno morale e psicologico, di consigli di carattere medico e non, di qualcuno che pianga insieme a noi …
Il “diritto”, la formalizzazione di una certa situazione in una formula giuridica, è quanto mai lontana dall’esperienza umana, che è ben altro. L’esperienza della malattia grave richiama, soprattutto, quel rapporto tra medico e paziente, quell’alleanza terapeutica in cui il medico, se il paziente di lui ha fiducia, mette tutta la sua professionalità e tutta la sua umanità per arrivare, insieme al malato, a decisioni giuste e ben ponderate.
Ma la rivendicazione del “diritto a rifiutare le terapie” si accompagna alla demonizzazione del “medico paternalista”, quello che – si sostiene – decide per conto suo senza rendere partecipe il paziente; il medico che viene evocato, invece, è quello che “rispetta la volontà del paziente”; quello che “dice di sì”, come Mario Riccio che, dicendo di sì a Piergiorgio Welby lo uccise (o come quei medici che sarebbero “buoni” se “non obbiettano” e dicono di sì, in ogni caso, alla volontà della donna di uccidere il bambino che cresce ne suo grembo …).
Il fatto è che, allontanandoci così dal medico, che si limita ad aspettare i nostri ordini, noi rimaniamo soli, soli a prendere decisioni troppo pesanti per noi.
Ecco che, al “diritto a rifiutare le cure” spesso non si accompagna la “libertà di prendere le decisioni” e ancora più spesso siamo invitati a prendere decisioni terapeutiche senza un’adeguata informazione.
L’anziano abbandonato nell’ospizio sarà davvero libero di rifiutare le cure o moralmente si sentirà obbligato a togliersi di mezzo perché si sentirà un peso per i suoi familiari e per la società? E i genitori di un neonato prematuro, quando il medico dirà loro: “si può salvare, ma potrebbe restare disabile per tutta la vita, decidete voi cosa fare”, saranno davvero liberi nel decidere, avranno avuto tutte le informazioni necessarie, avranno compreso le percentuali di probabilità e la natura della possibile disabilità del figlio? E coloro che firmano, in piena salute, il testamento biologico, rifiutando ora per allora le terapie nel caso si trovassero in una determinata situazione, davvero conoscono quella condizione; davvero possono escludere che, se fossero in quella condizione, preferirebbero continuare a vivere?
Il “diritto a rifiutare le cure” si trasforma facilmente nel suo contrario: l’obbligo a farlo o, spesso, una decisione adottata senza adeguata informazione.
Ma non vediamo che è proprio questo che i fautori dell’eutanasia vogliono? Essi vogliono che noi decidiamo di morire, credendo di avere esercitato un nostro diritto …