di Stefano Arnoldi
fonte: Corsia dei Servi
Sulla Nuova Bussola Quotidiana è comparso un articolo di Massimo Introvigne in cui si esamina la scelta di Madi Allam di abbandonare la Chiesa Cattolica.
Non ci sarebbe nulla da dire sull’intervento di Introvigne se non che la sua riflessione finisce così: “L’errore di Magdi Allam è proprio quello del relativismo, di cui accusa la Chiesa. Chi non è relativista accetta l’insegnamento della Chiesa, il Catechismo, il Magistero quando gli piace ed eventualmente anche quando non gli piace, si tratti di fede o di morale, di islam o di rapporti prematrimoniali. Invece sia il progressista sia l’ultra-conservatore stanno con il Catechismo, il Magistero, il Papa solo quando questi «riflettono il consenso del Popolo di Dio» o «rispettano la Tradizione», cioè – detto in altre parole, e poiché senza Magistero è impossibile identificare dove sia e che cosa sia la Tradizione o quale sia il consenso del Popolo di Dio – solo quando coincidono con le loro soggettive opinioni”.
Queste considerazioni inducono a pensare che, in fatto di cantonate, Magdi Allam sia in “buona” compagnia. Sostenere che “colui che non è relativista accetta l’insegnamento della Chiesa, il Catechismo, il Magistero quando gli piace ed eventualmente anche quando non gli piace” è corretto e veritiero. Ma il pensiero di Introvigne arrugginisce e cigola laddove dichiara che “il progressista e l’ultra-conservatore stanno con il Catechismo, il Magistero, il Papa solo quando questi «riflettono il consenso del Popolo di Dio» o «rispettano la Tradizione», cioè solo quando coincidono con le loro soggettive opinioni”.
La malizia gioca brutti scherzi e il trucchetto di mischiare “progressisti” con “ultra-conservatori” non regge proprio. Anche perché basta aver letto qualche articolessa di Introvigne per sapere che il suo vero obiettivo è rappresentato da tutti coloro che nel mondo conservatore e tradizionale non si identificano con la sua linea, verrebbe quasi da dire il “suo magistero”.
Francamente, il disco comincia a essere ripetitivo e, se il professor Introvigne continua a farlo girare, forse dipende dal fatto che lo ascoltano in pochi e non ha troppo effetto. Ma serve anche un po’ di stile e, visto che siamo cattolici, anche un po’ di carità persino in queste operazioni. Elementi che qui paiono scarseggiare, tanto da prendere a pretesto il dramma di un fratello nella fede che abbandona la Chiesa quale occasione per colpire, neanche tanto indirettamente, coloro che hanno un pensiero diverso quanto alla vita della Chiesa.
Ma, a questo punto, bisogna entrare anche nel merito della questione. Introvigne sostiene che “senza Magistero è impossibile identificare dove sia e che cosa sia la Tradizione o quale sia il consenso del Popolo di Dio”. Se le sue parole corrispondono al suo pensiero, il professore dice che la Tradizione deve essere interpretata dal Magistero “in corso” e che sottoporre al vaglio della Tradizione perenne il Magistero è un peccato di orgoglio e di superbia.
Ebbene invece, non è il Magistero che “giudica” la Tradizione ma la Tradizione che “giudica” il Magistero. Anche se non piace al professor Introvigne e al “suo magistero”.
Se così non fosse ci troveremmo a considerare la Tradizione alla stessa stregua di un codice di diritto composto da norme giuridiche. La norma giuridica è per definizione generale e astratta e tocca al giudice di turno interpretarla con il rischio concreto che, in una determinata fattispecie, questi fornisca interpretazione persino opposta a quella di un altro togato… Se si lasciasse che la Tradizione venisse “giudicata” dal Magistero, a seconda del Papa eletto, ci si potrebbe trovare oggi di fronte a un giudizio, domani a uno perfettamente opposto… Basandosi impropriamente sul concetto di “tradizione vivente” quale caratteristica del deposito rivelato e trasmesso dalla Chiesa si correrebbe il rischio di produrre un Magistero che si trasforma e si adatta ai tempi e alle circostanze. La Chiesa cadrebbe in contraddizione con l’insegnamento infallibile del passato distruggendo il concetto stesso di Verità e azzerando nell’uomo il criterio per riconoscerla.
Così non può essere, evidentemente. Il deposito della fede che ci è stato dato dalla Rivelazione, ossia la parola di Dio affidata agli Apostoli la cui trasmissione è assicurata dai loro successori, è immutabile e irreformabile poiché è, appunto, un deposito divino che la Chiesa custodisce e infallibilmente interpreta alla luce della Tradizione.
Verrebbe da dire che chi di relativismo ferisce di relativismo perisce. Perché è proprio la posizione concettuale di Introvigne a risentire strutturalmente dei venti e delle mode. Se il professore, per essere cattolico, ritiene sufficiente comportarsi come le tre scimmiette del “non vedo, non parlo, non sento” faccia pure, ma sembra davvero poco. Certo, è più faticoso rammentare ogni giorno che il Magistero è illuminato dalla Tradizione, che il Papa non è un monarca svincolato da una Verità più grande di lui, che fede e ragione vanno sempre a braccetto, e agire di conseguenza.
Perciò viva il Papa, stiamo stretti al Papa, preghiamo incessantemente per il nostro Papa… Ma se Questi ci dice di gettarci nel pozzo, prego, professor Introvigne, si accomodi lei….