DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AGLI UOMINI DI AZIONE CATTOLICA
NEL XXX° DELLA LORO UNIONE
Domenica, 12 ottobre 1952
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Nel contemplare questa magnifica adunanza di Uomini di Azione Cattolica, la prima parola che viene alle Nostre labbra é di ringraziamento a Dio per averCi fatto dono di un così grandioso e devoto spettacolo; poi, di riconoscenza a voi, diletti figli, per averlo voluto attuare dinanzi al Nostro sguardo esultante.
Noi ben sappiamo quali minacciose nubi si addensano sul mondo, e solo il Signore Gesù conosce la Nostra continua trepidazione per la sorte di una umanità, di cui Egli, Supremo Pastore invisibile, volle che Noi fossimo visibile padre e maestro. Essa intanto procede per un cammino che ogni giorno si manifesta più arduo. mentre sembrerebbe che i mezzi portentosi della scienza dovessero, non diciamo « cospargerlo di fiori », ma almeno diminuire, se non addirittura estirpare, la congerie di triboli e di spine che lo ingombrano.
Di tanto in tanto però — a confermarCi in questa trepida ansia — vuole Gesù nella sua bontà che le nubi si squarcino e appaia trionfante un raggio di sole; segno che i nembi anche più oscuri non distruggono la luce, ma soltanto ne nascondono il fulgore.
Ed ecco ora un pacifico esercito di uomini militanti nell’Azione Cattolica Italiana; cristiani vivi e vivificatori; pane buono e insieme preziosissimo fermento in mezzo alla massa degli altri uomini; centocinquanta mila, la maggior parte padri di famiglia, che vivono il loro battesimo e si adoperano a farlo vivere dagli altri. Né siete tutti. Centinaia di migliaia di Uomini Cattolici, trattenuti da gravi motivi, sono qui presenti con l’ardore del loro spirito, della loro fede, del loro amore. Uomini maturi e di ogni condizione: dirigenti, professionisti, impiegati, insegnanti, operai, lavoratori dei campi, militari: tutti fratelli in Cristo, tutti uniti come in un solo palpito di un unico cuore.
Vorremmo che poteste ammirare anche voi la stupenda visione che si offre in questo momento ai Nostri occhi; brameremmo che sentiste nel profondo dell’animo con quanto amore Noi vorremmo — se fosse possibile — scendere in mezzo a voi e abbracciarvi tutti, come se foste uno solo.
Diletti figli! Voi siete venuti a Roma per festeggiare il trentennio della vostra Unione — la prima delle Associazioni Nazionali di A. C. — Cinque anni or sono, gli Uomini che convennero nell’Urbe erano settanta mila; oggi quel numero è raddoppiato ed è qualche cosa di più che un simbolo del moltiplicato fervore della vostra vita cristiana.
In quell’ormai lontano settembre del 1947 Noi benedicemmo il vostro Labaro e vi appuntammo una medaglia d’oro. Vogliamo dirvi qui, al cospetto di Roma e dell’Italia, che voi avete ben corrisposto alla Nostra aspettazione in questi anni di lotte acute per la civiltà cristiana e italiana. Quella medaglia sta bene là, sul vostro vessillo, perché voi siete stati fra i principali artefici della resistenza, che l’Italia, per sé e per il mondo, ha opposta alle forze del materialismo e della tirannia.
Oggi a mezzodì un nuovo concento di campane si è aggiunto allo squillo sonoro di tutti i sacri bronzi dell’Urbe, che salutano Maria e invitano i fedeli ad onorarla. In quell’ora voi avete inteso di fare a Noi, Vescovo di Roma, un dono particolarmente gradito. Nel cuore di un popolatissimo quartiere della Nostra diletta Città, per impulso dell’infaticabile vostro Assistente Ecclesiastico Centrale, sui disegni di un giovane architetto membro della Azione Cattolica, fra la meraviglia di quanti hanno potuto osservare la complessità del progetto e la rapidità della esecuzione, grazie alla bravura e alla tenacia delle maestranze, la vostra Unione ha fatto sorgere, con tutti gli edifici e le opere annesse, una bella e spaziosa chiesa, sede di parrocchia, intitolandola a S. Leone Magno.
Noi stimiamo di non far torto a nessuno dicendo che di questo Pontefice, grandissimo fra i grandi, pochi conoscono la intrepida attività per il bene civile e sociale di Roma e d’Italia, per conservare la purezza della fede e per riordinare e rafforzare l’organizzazione ecclesiastica; forse non molti ricordano che una gran parte della sua operosità fu spesa nella lotta contro l’eresia monofisita, la quale negava in Cristo due nature, la umana e la divina, realmente distinte, senza fusione né mescolanza.
Ma tutti sanno che, mentre Attila, re degli Unni, scendeva vittorioso in Italia, devastando la Venezia e la Liguria, e si apprestava a marciare su Roma, Leone Papa rincorò Imperatore, Senato e popolo, tutti in preda al terrore; poi partì inerme e andò incontro all’invasore sul Mincio. E Attila lo ricevette degnamente e tanto si rallegrò della presenza del summus sacerdos, che rinunziò ad ogni azione di guerra e si ritirò oltre il Danubio. Questo memorabile fatto avvenne nell’autunno dell’anno 452, onde Noi siamo lieti di commemorarne qui solennemente con voi la decimoquinta ricorrenza centenaria. Diletti figli, Uomini di Azione Cattolica! Quando abbiamo appreso che il nuovo tempio doveva essere dedicato a S. Leone I, salvatore di Roma e dell’Italia dall’impeto dei barbari, Ci è venuto il pensiero che forse voi volevate riferirvi alle condizioni odierne. Oggi non solo l’Urbe e l’Italia, ma il mondo intero è minacciato.
Oh, non chiedeteCi qual è il « nemico », né quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l’autorità; talvolta l’autorità senza la libertà. È un « nemico » divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio : Dio è morto; anzi : Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio. Il « nemico » si è adoperato e si adopera perché Cristo sia un estraneo nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell’amministrazione della giustizia, nell’attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace o la guerra.
Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l’amore fra gli sposi; inculca un nazionalismo che conduce alla guerra.
Voi vedete, diletti figli, che non è Attila a premere alle porte di Roma; voi comprendete che sarebbe vano, oggi, chiedere al Papa di muoversi e andargli incontro per fermarlo e impedirgli di seminare la rovina e la morte. Il Papa deve, al suo posto, incessantemente vigilare e pregare e prodigarsi, affinché il lupo non finisca col penetrare nell’ovile per rapire e disperdere il gregge (cfr. Io. 10, 12); anche coloro, che col Papa dividono la responsabilità del governo della Chiesa, fanno tutto il possibile per rispondere all’attesa di milioni di uomini, i quali — come esponemmo nello scorso febbraio — invocano un cambiamento di rotta e guardano alla Chiesa come a valida ed unica timoniera. Ma questo oggi non basta: tutti i fedeli di buona volontà debbono scuotersi e sentire la loro parte di responsabilità nell’esito di questa impresa di salvezza.
Diletti figli, Uomini di Azione Cattolica! L’umanità odierna disorientata, smarrita, sfiduciata, ha bisogno di luce, di orientamento, di fiducia. Volete voi con la vostra collaborazione — sotto la guida della sacra Gerarchia — essere gli araldi di questa speranza e i messaggeri di questa luce? Volete essere portatori di sicurezza e di pace? Volete essere il grande, il trionfante raggio di sole che invita a destarsi dal torpore e a fortemente operare? Volete divenire — se così a Dio piacerà — animatori di questa moltitudine umana, in attesa di avanguardie che la precedano?
Allora è necessario che la vostra azione sia anzitutto cosciente.
L’uomo di Azione Cattolica non può ignorare ciò che la Chiesa fa e intende di fare. Egli sa che la Chiesa vuole la pace; che vuole una più giusta distribuzione della ricchezza; che vuole sollevare le sorti degli umili e degl’indigenti; sa che Cristo, Dio fatto uomo, è il centro della storia umana; che tutte le cose sono state fatte in Lui e per Lui. Egli sa che la Chiesa, quando auspica un mondo diverso e migliore, pensa ad una società avente per base e fondamento Gesù Cristo con la sua dottrina, i suoi esempi, la sua redenzione.
In secondo luogo bisogna che la vostra azione sia illuminatrice.
Nelle vostre fabbriche, nei vostri uffici, per le strade, nei luoghi ove prendete il sano svago o il necessario riposo, vi capiterà d’imbattervi in uomini « che hanno occhi per vedere e non vedono » (Ezech. 12, 2). Oggi. per esempio, s’incontra povera gente persuasa che la Chiesa, che il Papa, vogliono lo sfrutta mento del popolo, vogliono la miseria, vogliono — parrebbe inimmaginabile — la guerra! Gli autori e i propagatori di queste orrende calunnie riusciranno a sfuggire alla giustizia degli uomini, ma non potranno sottrarsi al giudizio di Dio. « Verrà un giorno… »! Signore, perdona loro! Intanto però è necessario di cogliere ogni occasione per aprire gli occhi a quei ciechi, spesso piuttosto vittime d’inganno che colpevoli.
Ancora : occorre che la vostra azione sia vivificatrice.
L’Azione Cattolica non sarà veramente tale, se non agirà sulle anime. Le grandi adunanze, i magnifici cortei, le pubbliche manifestazioni, sono certamente utili. Ma guai a confondere gli strumenti col fine per il quale debbono essere adoperati! Se la vostra azione non portasse la vita dello spirito dove è la morte; se non cercasse di sanare quella stessa vita dove è malata; se non la fortificasse dove è debole; sarebbe vana. Sappiamo che la vostra Presidenza Generale ha approntato un programma di lavoro « capillare », per rendere efficiente la presenza dei cattolici militanti in ogni luogo e con tutte le persone, in mezzo a cui vivono. Di quella « base missionaria », come si è voluto chiamarla, siate dunque voi i principali componenti e propulsori.
La vostra azione sia inoltre unificatrice.
Siate uniti fra i membri di una stessa Associazione; uniti fra le diverse Associazioni; uniti con gli altri « rami » dell’Azione Cattolica. Ma siate uniti e fatevi promotori di unione anche con le altre forze cattoliche, che combattono le vostre stesse incruente battaglie e son protese a vincere la vostra stessa lotta. — Diletti figli! Volete essere forti? Volete essere, con l’aiuto di Dio, invincibili? Siate pronti a sacrificare al bene supremo dell’unione, non diciamo i capricci — è chiaro —, ma anche qualche idea o programma, che potesse sembrarvi geniale. L’unione, tuttavia, non è unicità; questa distruggerebbe la varietà delle forze; varietà che non ha soltanto un valore estetico, ma arreca altresì vantaggi strategici e tattici di primissimo ordine.
La vostra azione sia finalmente obbediente.
Nessuno più di Noi desidera che il laicato esca da un certo stato di minorità, oggi più che mai immeritato nel campo dell’apostolato. Ma, d’altra parte, è evidente la necessità di una obbedienza pronta e filiale, ogniqualvolta la Chiesa parla per istruire le menti dei fedeli e per dirigerne l’attività. Essa si guarda bene dall’invadere la competenza dell’Autorità civile. Ma quando si tratta di questioni che toccano la religione o la morale, è dovere di tutti i cristiani, e specialmente dei militanti di Azione Cattolica, di adempire le sue disposizioni, di comprendere e seguire i suoi insegnamenti. Vorremmo anzi aggiungere che anche nel seno dell’Azione Cattolica è necessario di osservare una stretta disciplina fra i vari gradi delle Associazioni. Quando infatti si ha di fronte un esercito di ferrea organizzazione, a quale pericolo si esporrebbe una milizia scompaginata, nella quale ognuno si credesse autorizzato a giudicare e ad agire di proprio arbitrio?
Ed ora, prima di conchiudere queste Nostre parole, vorremmo affidarvi una «consegna». Voi certamente ricordate che nello scorso mese di febbraio abbiamo rivolto ai fedeli di Roma una calda esortazione, affinché il volto anche esterno dell’Urbe appaia fulgido di santità e di bellezza. Dobbiamo dire che clero e popolo sono fervidi all’opera, acciocché non rimangano vane le Nostre speranze, non sia frustrata la Nostra fiducia. Ma Noi abbiamo al tempo stesso espresso l’augurio che il potente risveglio, a cui abbiamo esortato Roma, sia « presto imitato dalle vicine e lontane diocesi, affinché ai Nostri occhi sia concesso di veder tornare a Cristo non soltanto le città, ma le nazioni, i continenti, l’umanità intera ». Per questo, che potremmo chiamare « secondo tempo », Noi contiamo sugli Uomini di Azione Cattolica, su tutta l’Azione Cattolica.
Allora, mentre gli empi continuano a diffondere i germi dell’odio, mentre gridano ancora : «Non vogliamo che Gesù regni sopra di noi »: « nolumus hunc regnare super nos » (Luc. 19, 15), un altro canto si leverà, canto di amore e di liberazione, spirante fermezza e coraggio. Esso si leverà nei campi e nelle officine, nelle case e nelle strade, nei parlamenti e nei tribunali, nelle famiglie e nella scuola.
Diletti figli, Uomini di Azione Cattolica! Fra qualche istante Noi impartiremo con tutta l’effusione del Nostro cuore paterno l’Apostolica Benedizione a voi, ai vostri cari, alle vostre opere, alle vostre Associazioni. Poi riprenderete il vostro cammino, tornerete alle vostre dimore, ritroverete il vostro lavoro.
Portate dappertutto la vostra azione illuminatrice e vivificatrice.
E sia il vostro canto un canto di certezza e di vittoria.
Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!
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