IL NATALE VISTO DALLA BEATA SERAFINA MICHELI – di Don Marcello Stanzione

di Don Marcello Stanzione

 

 

La Madre Serafina del Sacro Cuore (al secolo Clotilde Micheli) è la Fondatrice dell’ Istituto “ Suore degli Angeli”. Nasce ad Imer, in provincia di Trento, allora Impero Austro-Ungarico, l’11 settembre 1849, secondogenita di Domenico e Anna Maria Domenica Carmelitana Orsingher.

Fino a 18 anni vive in famiglia, in ambiente cristiano; i genitori la educano all’amore per Dio e per micheliil prossimo. A pochi passi dalla casa paterna è la pieve di Imèr (Trento), ove la piccola è battezzata il 12 settembre 1849 da don Venanzio Facchini. In queste comunità montane il ruolo della parrocchia è fondamentale, perché vi si organizza il vissuto religioso e sociale del paese; viene curata e alimentata quotidianamente la pietà popolare intessuta di S. Messa, di adorazioni eucaristiche, di rosari, di pellegrinaggi.

La Micheli partecipa attivamente di questo universo religioso, espressione di una pratica cristiana domestica. Il 30 luglio 1852 Clotilde riceve il sacramento della confermazione all’età di tre anni dalle mani del vescovo mons. Giovanni Nepomuceno a Fiera di Primiero Tra il 1855 e il 1861 frequenta con profitto le classi elementari del tempo sotto la giurisdizione scolastica austriaca. Il 24 aprile 1859 all’età di 10 anni riceve la prima comunione. Ella si fa promotrice di diverse iniziative in parrocchia, fra cui, in seguito, la fondazione dell’Unione delle Figlie di Maria. Le pratiche di pietà trasmesse all’Istituto affondano le loro radici in questo ambiente religioso delle montagne trentine.

La beata vive in questo ambiente ben ancorato alle tradizioni, dove sembrava che nessuna novità avesse il potere di sconvolgere quel ritmo. Negli anni che seguono emerge nell’animo di Clotilde, in maniera incancellabile, l’assolutezza di una ascesi esigente e coraggiosa, del primato della volontà di Dio come continuo presente che la interpella e la muove. Man mano va dispiegandosi in lei il piano di Dio. A questo fa riscontro un nuovo atteggiamento: la disponibilità all’iniziativa di Dio, non con la logica dotta, ma con la ricchezza di un cuore traboccante di amore per la Trinità Santissima. Nel 1870 Clotilde si trova a Padova presso mons. Angelo Piacentini ed in una apparizione la Madonna le rinnova l’invito a seguire Gesù nella fondazione del nuovo Istituto. A novembre del 1876 Clotilde, alla morte di mons. Piacentini, lascia Padova ed insieme alle sue sorelle Fortunata e Oliva Agnese si trasferisce a Castellavazzo in provincia di Biella presso l’arciprete don Girolamo Barpi, su invito della signorina Giulia Andrich, nipote del sacerdote. Nel 1878 Clotilde lascia Castellavazzo e raggiunge i suoi genitori a Eppendorf, in Germania dove inizia a lavorare presso l’ospedale delle suore Elisabettiane. Il 6 gennaio la mamma muore in Germania ed il papà ritorna ad Imèr dove muore il 30 marzo 1885. Clotilde rientra al suo paese ed il 25 marzo fonda l’Unione delle figlie di Maria.

Clotilde nel maggio 1887 intraprende un pellegrinaggio a piedi verso Roma insieme alla nipote Giuditta. A Roma nell’agosto di quell’anno le due donne trovano ospitalità presso le suore Immacolatine, dette Turchine, fondate dalla Madre Fabiano, la quale chiede a Clotilde di vestire il loro abito religioso. Tra il 1888 ed il 1890 Clotilde diventa suora Immacolatina e prende il nome di Suor Annunziata. Viene mandata a Sgurgola d’Anagni dove nel settembre 1890 riceve una lettera di padre Francesco Fusco da Trani, che la invita a raggiungerlo in Piedimonte Matese, ove il vescovo del Luogo, mons. Scotti, aveva in mente di dare inizio ad una nuova fondazione. La suora però non accetta il progetto del vescovo, perché non corrisponde al progetto che Dio le aveva rivelato attraverso la Madonna. Abbandonata da tutti, si trasferisce a Caserta, insieme a Suor Scolastica, la consorella che l’aveva seguita quando aveva lasciato le Immacolatine. Per interessamento di padre Fusco e di don Giovanni Zimbella, parroco di Santa Filomena in Caserta, si reca a Casella in provincia di Caserta. In seguito, a loro due si uniscono altre tre ragazze del posto. Finalmente il 28 giugno 1891 ella fonda l’istituto delle Suore degli Angeli in Briano con il permesso di mons. Enrico De’ Rossi, vescovo di Caserta. La fondatrice assume il nome di Suor Maria Serafina del Sacro Cuore. Nei venti anni seguenti la suora fonda una quindicina di case in tutta Italia. Il 24 marzo 1911 Madre Serafina Micheli muore a Faicchio in provincia di Benevento, nella casa madre delle Suore degli Angeli. E’ vissuta 61 anni, 6 mesi e 13 giorni. I funerali si celebrarono in modo solenne il 27 marzo 1911.

L’incarnazione costituì senza dubbio un evento centrale della sua preghiera e della sua vita di fede e nella festività del Natale individuò alcuni momenti fondanti della sua esperienza di vita religiosa. Nell’ambito di questa particolare dimensione del mistero cristiano, Madre Serafina manifestò una particolarissima e delicata sensibilità verso Gesù bambino, il cui ricordo intenerì il cuore della fondatrice. Nella contemplazione del bambino a Betlemme, probabilmente davanti a un presepe della tradizione francescana e meridionale, Madre Serafina rivisitò e comprese il mistero cristiano, ritrovandosi le ragioni della speranza cristiana e una forza propulsiva per la vita delle suore: “ Chi non spererà nel Figliuolo di Dio se lasciò il cielo e venne a farsi Bambino in una stalla per cercare le nostre anime e guadagnarsi l’amore? Vive una vita povera, abietta in questa terra, patisce ogni privazione, per tre anni va in cerca dei peccatori; si umilia nei disprezzi e con duri cuori. Prega e ci insegna la penitenza nel deserto. Benefico con tutti ed è preso in dispetto da quelli che venuto era per salvarli e tradito dai suoi amici viene catturato, condannato e crocifisso. E’ morto per noi per difendere i diritti del padre Suo e insegnarci una vita che ci assicura la gloria. Chi non spererà che Lui ogni cura abbia delle anime se le comprò a sì caro prezzo? In tutto devono sperare le anime da Lui redente, ma più sperare quelle religiose che Iddio per sua misericordia le ha chiamate a professare questa regola, che portano sul capo il velo bianco segno di innocenza e per mezzo dei SS. Sacramenti la candidezza dell’anima per rendersi vere spose del nazareno Signore. Abbiano dunque la più grande fiducia nei meriti del Redentore e porteranno copiosissimi frutti di redenzione e saranno amate dallo Sposo. Dette anime con predilezione entreranno nel riposo nel sacro suo cuore ove in terra fu il luogo del suo rifugio”.

Proprio in una Predica di Gesù Bambino alle Suore degli Angeli, tenuta in Casolla il 30 luglio 1896, si avverte, più che in ogni altra composizione, la voce di Madre Serafina, una “veneziana schietta e scevra da rispetti umani”, come ebbe a definirsi in una manifestazione del 7 febbraio 1898; si comprendono le modalità concrete dei moniti alle sue religiose; si verificano gli esempi forniti e il linguaggio usato. E la lettura, per quanto non corrisponda ad una analisi fisiologicamente puntuale, fa risaltare, un carattere realmente schietto, diretto e senza cerimonie, che attingeva alla esperienza di vita, rendendosi idoneo ad essere assimilato da un pubblico eterogeneo quale era quello delle suore reclutate nei primi anni di vita dell’istituto. La parola di Madre Serafina fu, in tal modo, veramente improntata alla semplicità, che considerò una virtù spiccata della suora degli Angeli. La predica di Gesù Bambino, facendo appello alla propria obbedienza “alla Mamma, ed al babbo”, intendeva rimproverare le suore, nei loro diversi gradi, per la mancata corrispondenza alla straordinaria grandezza della loro vocazione religiosa.


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